A sinistra, Hyso Telharaj
A sinistra, Hyso Telharaj

Ucciso dai caporali, dopo 21 anni ha un po' di giustizia

Il 9 luglio scorso è stato estradato in Italia Luan Vrapi, uno dei tre uomini condannati per l'omicidio del giovane albanese Hyso Telharaj nei campi di Cerignola (Foggia)

Toni Mira

Toni MiraGiornalista e componente del comitato scientifico de lavialibera

8 settembre 2020

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Il 9 luglio una notizia è passata quasi inosservata sui quotidiani e i tg nazionali. L'arrivo in Italia, estradato dall'Albania, di Luan Vrapi, 47 anni, accusato e condannato come autore, in concorso con altri, dell'omicidio a Cerignola (Foggia) di Hyso Telharaj, giovane bracciante albanese, morto l'8 settembre 1999, dopo tre giorni di agonia, per le gravi lesioni provocate da alcuni caporali. Era la punizione per essersi rifiutato di cedere ai loro ricatti e di consegnare parte dei suoi guadagni. Aveva appena 22 anni.

Quei braccianti sfruttati e uccisi nel silenzio 

Una vicenda drammatica che per anni è stata solo un nome, senza un viso né una storia. Presto dimenticata. Ma non dal mondo del volontariato pugliese né dalla magistratura che dopo aver individuato e fatto condannare i responsabili dell'omicidio, ha operato con convinzione per assicurarli alla giustizia. Anche dopo più di venti anni. Vrapi — destinatario di un’ordinanza cautelare emessa il 24 novembre 1999 per omicidio volontario e lesioni personali aggravate — è stato riportato in Italia dal personale del Servizio per la cooperazione internazionale di Polizia (Scip) che lo ha rintracciato a Tirana grazie alla collaborazione costante con la polizia albanese. Un'operazione che conferma la crescente sinergia tra Italia e Albania nella lotta all'illegalità, dai traffici di droga alla tratta di esseri umani. Ma anche che Hyso non era stato dimenticato. "Anche se dopo tanti anni si arriva a questo importante risultato. È la concretezza della giustizia — commenta il procuratore di Foggia, Ludovico Vaccaro —. Oltretutto per un evento simbolico. Noi il nostro dovere lo avevamo fatto condannando i responsabili, ma non avevamo dimenticato. E questo conferma il momento particolarmente positivo sul nostro territorio nel contrasto all'odioso fenomeno dello sfruttamento, col massimo impegno della magistratura e delle forze dell'ordine, come dimostrano le tante operazioni contro imprenditori e caporali".

Questo conferma il momento positivo sul nostro territorio nel contrasto al fenomeno dello sfruttamento, col massimo impegno della magistratura e delle forze dell'ordine, come dimostrano le tante operazioni contro imprenditori e caporali Ludovico Vaccaro - procuratore di Foggia

La procura di Foggia è sicuramente tra le più impegnate nella lotta allo sfruttamento dei braccianti immigrati. Operazioni importanti, favorite dalla legge anticaporalato, la 199 del 2016 (leggi la storia e il funzionamento di questa legge). Lavoratori "liberati", aziende agricole sequestrate, ripristino della legalità, imprese uscite dal nero, lavoratori regolarizzati in collaborazione con la Caritas di Foggia. E addirittura immigrati impiegati in Procura. Ma la vicenda simbolo di Hyso non poteva finire nell'oblio.

Paola Clemente, la donna che ha acceso i riflettori sul caporalato 

Da pochi mesi il ragazzo aveva iniziato a lavorare alla raccolta dei pomodori tra Cerignola e Borgo Incoronata. Ma già a 16 anni era emigrato in Grecia per aiutare la famiglia, lui il più piccolo di sei figli, ma già molto maturo e responsabile. Poi il dramma. Il suo nome è inserito nel lunghissimo elenco che ogni 21 marzo viene letto in occasione della Giornata della memoria e dell’impegno, in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, promossa da Libera. Nel 2004 viene scelto per il primo vino prodotto sui terreni confiscati alla mafia nel brindisino dalla Cooperativa Terre di Puglia – Libera Terra. E nel 2010 dal presidio di Libera di Cerignola. Ma è solo il nome di un ragazzo ucciso per aver difeso i suoi diritti.

Di lui non c’è neanche una foto. Fino a quando Ajada, una ragazza di origine albanese, in Italia dall’età di 11 anni, partecipa nel 2012 a un campo di Libera a Mesagne, nella villa confiscata al boss della Sacra Corona Unita, Donato Screti, e assegnata alla Cooperativa Terre di Puglia. Vede uno striscione con la scritta "La terra di Hiso" (anche il nome non era corretto), vede le bottiglie a lui dedicate: "Mi colpiva che di tutte le vittime veniva raccontata la storia, di lui niente, non era possibile che non ci fosse nessuna informazione. Così ho preso una bottiglia e mi sono messa a cercare". Finalmente nel giugno 2016, grazie a internet, ritrova Polikseni, la sorella di Hyso, va a conoscere la famiglia in Albania e li convince a venire in Italia. Portano con loro dei regali preziosi, le fotografie del ragazzo e il suo passaporto.

Lavoratori migranti, sfruttatori italiani

Finalmente Hyso oltre che un nome è anche un volto, sorridente. Un incontro commovente che si conclude nel bene confiscato della cooperativa Pietra di scarto di Cerignola. Qui, su un muro bianco, sono scritti i nomi delle vittime innocenti pugliesi. I fratelli ora scrivono quello di Hyso che scelse da che parte stare. Venne avvisato che le persone a cui si era opposto stavano venendo a cercarlo. Gli suggerirono di andare via. Ma lui non accettò di fuggire di fronte alle ingiustizie. A bordo di un auto guidata da Addolorato Pompeo Todisco, un imprenditore agricolo di Orta Nova, arrivarono tre albanesi, Vrapi Edmond, Celhaka Kuitim e Vrapi Luan. Una spedizione punitiva finita con la morte di Hyso. Tutti e cinque vennero indagati. In primo grado la corte d'assise di Foggia, il 24 novembre 2009, condannò i tre albanesi a 21 anni a testa, e Todisco a 14 anni per concorso anomalo in omicidio. In appello a Bari, 1'8 febbraio 2011, venne confermata la condanna dei tre albanesi a 21 e 18 anni, l'imprenditore venne assolto dall'accusa di concorso in omicidio, derubricata in quella di favoreggiamento, reato prescritto. E la giustizia non si è fermata. Ora Hyso finalmente ha una storia, un volto e un po' di giustizia concreta.

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