
Le armi bruciano il pianeta



1 novembre 2025
Almeno mille miliardi di euro per sicurezza, difesa e spazio da qui al 2034, più una fetta non quantificabile dei quasi 1.300 miliardi di fondi per programmi civili che ora si intende aprire all’utilizzo militare. Il tutto mentre si allenta il controllo democratico e la trasparenza su come questi soldi verranno spesi e a che prezzo per la collettività. Una mobilitazione di risorse così massiccia e rapida non si era mai vista nella storia dell’Unione europea: mai osata per rispondere alla crisi climatica, tentata, ma comunque in scala più ridotta, solo per la ripresa post-covid. Ora, resa possibile, anzi presentata come necessaria, per "prepararsi alla guerra entro il 2030", come ha dichiarato Ursula von der Leyen.
La Commissione l’ha rivendicato con orgoglio: nel quadro finanziario pluriennale dell’Unione 2028- 2034 proposto lo scorso luglio, i fondi destinati al settore difesa e spazio sono cinque volte quelli stanziati nel settennato precedente. Un gruzzolo da 131 miliardi di euro, il 6,6 per cento del budget complessivo dell’Unione, da quasi duemila miliardi, a cui se ne aggiungono altri 18 per le infrastrutture destinate alla mobilità militare e 30 per lo "strumento europeo per la pace", che finanzia l’invio di armi e l’assistenza a paesi terzi, tra cui l’Ucraina, per un totale di 179 miliardi.
Ma se, al netto dell’inflazione, il valore complessivo del bilancio non si discosta di molto da quello del ciclo 2021-2027, a quali voci saranno sottratte risorse per finanziare un incremento così importante delle spese militari? Rispondere non è semplice: la Commissione ha stravolto la struttura del bilancio, rendendo praticamente impossibile il confronto con gli anni precedenti. Da nove capitoli di spesa si è passati a quattro, da 52 a 16 programmi, da otto a tre strumenti speciali extra-budget. Una scelta motivata da esigenze di "semplificazione", di cui però fa le spese la trasparenza. "Più il calderone è grande e meno articolato, più diventa facile per chi lo controlla dirottare i fondi e difficile per noi anticipare quanto verrà speso per cosa e seguire questi movimenti", dice a lavialibera Laëtitia Sédou, responsabile Ue per l’European network against arms trade (Enaat). Proteste sono arrivate anche dalla maggioranza che sostiene von der Leyen: "Il bilancio Ue deve essere trasparente e supportato da una struttura dettagliata che consenta un controllo significativo", ha dichiarato l’eurodeputata portoghese socialista Carla Tavares, co-relatrice del quadro finanziario pluriennale.
Se capire quanti e quali fondi siano stati dirottati verso il riarmo risulta difficile, sappiamo invece per certo quali voci di spesa sono scese o addirittura sparite dalla proposta della Commissione, su cui nei prossimi mesi si dovrà trovare un accordo con il parlamento e il Consiglio europeo: rispetto al bilancio pluriennale 2021-2027, sono ridotti del 10 per cento i fondi destinati alla Politica agricola comune (Pac) e alla pesca, mentre è scomparso il capitolo Risorse naturali e ambiente. Al suo posto è stato introdotto un target trasversale: almeno il 35 per cento del budget dovrà finanziare programmi che contribuiscono "all’azione per il clima e agli obiettivi ambientali", ma "la spesa per la difesa e la sicurezza è esclusa dalla base di calcolo". Tradotto, dal 2028 al 2034 gli investimenti “green” ammonterebbero a meno di 650 miliardi: un taglio di 100 miliardi rispetto a quanto stanziato nel settennato precedente, se riportato ai prezzi attuali. Stralciato anche il Fondo sociale europeo plus (Esf+), il principale strumento finanziario dedicato al sostegno all’occupazione e alla riduzione della povertà: verrà inglobato nei singoli piani di partenariato per la gestione dei fondi di coesione che ognuno dei 27 Stati membri siglerà con la Commissione. "Anziché affrontare le gravi difficoltà che toccano più del 21 per cento della popolazione europea, a rischio povertà, la Commissione ha scelto di dare priorità alla competitività, alla sicurezza e alla difesa a scapito degli investimenti verdi e sociali", ha denunciato in un comunicato l’European anti poverty network.
Il parlamento europeo ha approvato la proposta della Commissione che introduce tra gli obiettivi dei fondi di coesione "il rafforzamento delle capacità industriali per potenziare la difesa" e "lo sviluppo di infrastrutture di difesa resilienti, anche per promuovere la mobilità militare nell’Unione"
L’impatto della corsa al riarmo sui fondi comunitari non si limita all’aumento vertiginoso delle spese esplicitamente dedicate al settore militare. Ora, il tentativo è aprire all’industria bellica anche parte dei programmi civili finanziati dall’Unione. Lo scorso settembre, il parlamento europeo ha approvato la proposta della Commissione che introduce tra gli obiettivi dei fondi di coesione "il rafforzamento delle capacità industriali per potenziare la difesa" e "lo sviluppo di infrastrutture di difesa resilienti, anche per promuovere la mobilità militare nell’Unione". Gli Stati membri saranno quindi autorizzati, e anzi incentivati con agevolazioni ad hoc, a finanziare progetti a scopo militare o “dual use” (doppio utilizzo civile e militare) attingendo al più consistente dei fondi del bilancio europeo, al quale sono stati allocati oltre 630 miliardi di euro da qui al 2034.
"È molto preoccupante – commenta Sédou –. Si tratta di tantissimi soldi, di cui sarà difficile monitorare la destinazione perché sarà tutto in mano ai singoli governi, che hanno ottenuto dalla Commissione di avere maggior controllo e minori vincoli. Tra l’altro, questo è in evidente contraddizione con l’obiettivo dichiarato di armonizzare e coordinare la spesa militare tra gli Stati membri e evitare “doppioni”. A differenza dei bandi europei esplicitamente dedicati alla difesa, poi, sarà quasi impossibile sapere preventivamente quanto verrà assegnato a quali aziende. Bisognerà aspettare che i progetti siano approvati e poi provare ad avere informazioni, anche se, specialmente in materia di difesa, ci sono sempre motivi per negare la trasparenza per ragioni di “sicurezza”".
L’apertura al riarmo riguarda anche altri fondi europei nati per scopi non militari. A inizio ottobre, il Consiglio ha approvato la proposta della Commissione, su cui già il parlamento ha espresso parere positivo, di "incentivare gli investimenti legati alla difesa" in quattro programmi comunitari: Horizon Europe, dedicato alla ricerca e all’innovazione, il programma Europa digitale, il settore digitale del Meccanismo per collegare l’Europa e la Piattaforma per le tecnologie strategiche per l’Europa (Step). A finire nel mirino anche il Fondo sociale europeo plus: lo scorso aprile, la Commissione von der Leyen ha proposto una riforma che incoraggia gli Stati membri, soprattutto quelli che confinano con la Russia, a indirizzare le risorse previste dal fondo verso "programmi di sostegno allo sviluppo delle competenze nell’industria della difesa". Queste iniziative verrebbero inoltre scorporate dal calcolo delle quote degli investimenti da destinare, secondo i vincoli del regolamento, all’inclusione sociale delle persone straniere, alla riduzione della povertà, compresa quella infantile, e alla promozione dell’occupazione giovanile.
La prossima frontiera del riarmo della spesa pubblica europea è lo Strumento di ripresa e resilienza, che alimenta i piani nazionali post-covid come il Pnrr italiano. Lo scorso giugno, la Commissione ha ufficialmente aperto alla possibilità che gli Stati membri "estendano il mandato dei piani nazionali ad attività in linea con le priorità dell’Unione ", tra cui "sicurezza e difesa", ambito non previsto inizialmente. Più concretamente, si suggerisce di destinare parte dei 335 miliardi non ancora spesi al nuovo Programma europeo per l’industria della difesa (Edip). Già a maggio, Bruxelles aveva approvato la richiesta della Polonia di rimodulare il piano di ripresa per dirottare sei miliardi in progetti legati a "difesa e sicurezza", e non è da escludere che altri governi seguano l’esempio.
Oltre ai fondi propri del bilancio dell’Unione, il riarmo europeo si appoggerà su due misure finanziate a debito. La prima è la "clausola di salvaguardia nazionale": gli Stati membri potranno escludere le "spese per la difesa" sostenute entro il 2028 dai vincoli del patto di stabilità, l’insieme delle regole, fino a poco fa ritenute intoccabili, che impongono di limitare il debito pubblico. Il meccanismo, che permetterà di mettere a disposizione dei governi 650 miliardi di euro, è stato attivato per 16 Stati che ne hanno fatto richiesta. L’Italia ha rimandato la decisione "a una fase successiva", come è scritto nel Documento programmatico di bilancio 2026. Roma approfitterà invece dello strumento Safe (Security action for Europe), la seconda misura extra-budget prevista dal piano di riarmo europeo, che consiste in prestiti agli Stati membri per acquisti congiunti di materiale bellico. L’Italia si è aggiudicata 14,9 miliardi del pacchetto complessivo da 150, risorse che l’Unione raccoglierà indebitandosi.
Completa il quadro la Banca europea degli investimenti (Bei), che ad aprile 2024 ha modificato le proprie policy per contribuire al riarmo: se prima gli investimenti nel settore difesa erano esclusi, ad eccezione di progetti dual use, ora l’istituto potrà finanziare "attrezzature e infrastrutture destinate a scopi militari o di polizia, escluse armi e munizioni". Per il 2025, le risorse allocate sono 3,5 miliardi, ma, fanno sapere dalla Bei, "chiederemo al nostro consiglio di amministrazione di aumentare ulteriormente le risorse da assegnare a questo settore".
Tra i progetti già approvati, 540 milioni per una nuova base Nato in Lituania e un prestito da 260 milioni all’italiana Leonardo per "promuovere le attività di ricerca, sviluppo e innovazione nel campo dell’elicotteristica, della sicurezza e dell’elettronica per la difesa e lo spazio". Un investimento etichettato come "legato a obiettivi di sostenibilità", "a conferma dell’impegno di Leonardo nel contribuire alla lotta ai cambiamenti climatici".
"Protezione della privacy e dell’integrità dell’individuo": così la Commissione europea ha motivato la decisione di negare a lavialibera, e al pubblico in generale, l’accesso alla lista dei nomi di chi dovrà coordinare e monitorare gli acquisti di armamenti finanziati con i 150 miliardi di euro di prestiti dello strumento Safe (Security action for Europe).
Lo scorso luglio, Bruxelles ha annunciato l’istituzione di un "gruppo speciale di rappresentanti", nominati da ogni Stato membro e incaricati di "supportare l’implementazione di Safe fornendo consulenza esperta e coordinamento strategico". Abbiamo chiesto tramite un’istanza di accesso civico chi ne fa parte: ci è stato risposto che la divulgazione dei nomi e delle funzioni dei membri "comprometterebbe la protezione della privacy e dell’integrità dell’individuo" e non sarebbe giustificata da una "specifica finalità di interesse pubblico". Impossibile quindi verificare "l’assenza di conflitti d’interessi" posta come condizione dai regolamenti interni (pubblicati solo lo scorso 21 ottobre, dopo due riunioni). Eppure, alla trasparenza è dedicato un intero articolo. Con una postilla: potrà essere negata per proteggere "la sicurezza pubblica, gli affari militari, le relazioni internazionali, le politiche finanziarie, monetarie ed economiche, gli interessi commerciali e i processi decisionali dell’istituzione".
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