
Le armi bruciano il pianeta



1 novembre 2025
È una legge importante. La 185/1990 permette al parlamento e alla società civile di controllare l’import e l’export di armi e materiali bellici per evitare che prodotti italiani alimentino conflitti nel mondo. Ma il governo vuole riformarla, limitando la trasparenza. Il Senato ha già dato il suo ok, ma da marzo la discussione è ferma sui tavoli della commissione Difesa della Camera dei deputati, grazie all’opposizione di Pd, Avs e M5s.
La legge era stata voluta da alcune organizzazioni dell’associazionismo cattolico (Acli, Mani tese, Pax christi e altre) che negli anni Ottanta avevano denunciato l’aumento di affari dell’industria bellica, in particolare verso paesi del Sud del mondo, e avevano avviato la mobilitazione Contro i mercanti di morte. Si era scoperto in quel periodo che alcune aziende italiane vendevano mine antiuomo a Iran e Iraq, in guerra tra di loro, o altri prodotti al Sudafrica, che era sotto embargo a causa dell’apartheid. Su questi e altri affari del settore militare però vigeva il segreto di Stato, in base a un regio decreto del Ventennio. Dal 1990, quando il disegno di legge proposto nel 1987 è stato approvato, la situazione è cambiata.
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La 185/1990 ha introdotto un controllo sulle imprese che vendono all’estero, obbligandole a chiedere un’autorizzazione al governo che valuta le richieste. I destinatari delle armi possono essere soltanto governi esteri, le imprese da questi autorizzate o le organizzazioni internazionali riconosciute da Roma, e devono consegnare un "certificato di uso finale", garantendo che non ci saranno altri passaggi. La legge vieta l’esportazione di armamenti verso Stati coinvolti in conflitti o che, in contrasto con l’articolo 11 della Costituzione, usano la guerra come uno strumento di offesa e risoluzione delle controversie internazionali; oppure ancora verso Stati sotto embargo o quelli che violano i diritti umani.
È in base a questa legge, ad esempio, che "Leonardo non vende armi ad Israele da quando è scoppiato il conflitto ", ha affermato l’azienda per rispondere alle accuse sorte dopo il rapporto della relatrice speciale dell’Onu sulla Palestina, Francesca Albanese che indicava invece il ruolo di Leonardo nella costruzione degli aerei F-35 utilizzati negli attacchi su Gaza. Il governo, dopo il 7 ottobre 2023, ha sospeso le nuove richieste di autorizzazioni, mentre quelle approvate in precedenza sarebbero valutate caso per caso.
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La legge obbliga l’esecutivo a presentare ogni anno una relazione dettagliata al parlamento, così che possa monitorare il settore e il rispetto delle regole. Le prime relazioni contenevano "informazioni chiare, semplici, comprensibili anche ai non addetti ai lavori ", si legge in un rapporto della Rete italiana pace e disarmo sui trent’anni della legge. Via via i dati sono diventati sempre più incompleti e diluiti tra migliaia di pagine: "Nel corso degli anni queste informazioni sono state scorporate in una serie di tabelle che oggi non permettono più di sapere quali armi effettivamente sono esportate verso i diversi paesi acquirenti. Inoltre, ormai da quasi dieci anni è diventato impossibile conoscere le singole operazioni svolte dagli istituti di credito ", si legge ancora nel rapporto.
L’11 agosto 2023 il consiglio dei ministri (dove il ministro della Difesa è Guido Crosetto, ex presidente dell’Aiad, associazione che rappresenta le industrie del settore militare) ha presentato la proposta di modifica della legge. La riforma reintroduce il Comitato interministeriale per gli scambi di materiale di armamento per la difesa (Cisd), che dovrà garantire il coordinamento a livello politico delle scelte strategiche e dare degli indirizzi generali. Il Cisd potrebbe controllare tutto e prendere decisioni senza il parere tecnico garantito dall’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (Uama).
Inoltre viene cancellato l’ufficio che aveva il compito di prevedere eventuali progetti di riconversione dell’industria militare. Altro punto debole della riforma: non sono più previste interlocuzioni con le organizzazioni riconosciute da Onu e Ue e con le ong che fornivano informazioni sulla tutela dei diritti umani nei paesi con cui l’Italia fa affari. In un’audizione, Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (Opal), ha spiegato che in base alle nuove norme sarà più difficile capire quali tipi di armi saranno fornite e a chi. Un altro aspetto sulla trasparenza riguarda i legami tra industria bellica e finanza. Il governo vuole abolire l’obbligo di dar conto, nella relazione annuale, delle attività degli istituti di credito, tenuti a informare il ministero dell’Economia "in materia di esportazione, importazione e transito di materiali di armamento" per ottenere le autorizzazioni.
Per queste ragioni, dopo la proposta di riforma, la Rete italiana pace e disarmo ha avviato la campagna Basta favori ai mercanti di armi! Fermiamo lo svuotamento della Legge 185/90, promossa da 84 associazioni e sostenuta da altre 132.
Libera ha inserito la tutela della legge 185 tra i punti della campagna Fame di verità e giustizia, chiedendo "lo spostamento dell’investimento in armamenti, che è un investimento in morte, a favore di programmi di sviluppo della vita, come quelli per l’educazione e per l’accompagnamento delle vittime" e "l’aumento di risorse per il Servizio civile universale".
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