23 luglio 2021
Le chiamano le "sorelle della morte". Sono sei navi della compagnia nazionale saudita Bahri che, a volte, oltre alle classiche merci trasportano armamenti diretti nei teatri di guerra del mondo. Una di queste – la Bahri Jazan – è attraccata ieri alle 3:14 nel porto di Genova. Ad attenderla c'erano alcuni membri del Collettivo autonomo lavoratori portuali (Calp) che da due anni si oppongono al transito delle sei sorelle nel porto. Insieme all'Unione sindacale di base (Usb) hanno organizzato un presidio davanti a palazzo San Giorgio, sede dell'Autorità portuale. A sostenerli, c'erano associazioni antimilitariste, attivisti, ong e il fumettista Zerocalcare.
La battaglia è iniziata nel maggio 2019 quando un gruppo di portuali genovesi è riuscito a bloccare una delle sei sorelle, impedendole di caricare materiale bellico destinato alla guerra in Yemen. Per il loro impegno, a giugno i portuali hanno ricevuto il sostegno del Papa, che li ha invitati a proseguire le azioni di boicottaggio. Ieri, dopo due ore di protesta, i lavoratori sono riusciti a ottenere un primo incontro con l'Autorità portuale. Chiedono di conoscere il carico della nave e che il porto adotti subito un codice etico che permetta loro di "lavorare per il commercio pacifico al servizio del benessere dei popoli e non per la guerra e la violazione dei diritti umani".
Le mani delle mafie sui porti d'Italia
Le sorelle della morte (la Jeddah, la Tabuk, la Abha, la Hofuf, la Yanbu e la Jazan) sulla carta non figurano come tali. In gergo si definiscono Ro-ro cargo ship: navi per il trasporto merci, caricano e scaricano container nei porti di tutto il mondo. Container che, a volte, oltre alle classiche merci trasportano armamenti diretti nei teatri di guerra del mondo. Il primo caso è scoppiato a maggio 2019 e riguardava la Bahri Yanbu. Il sito d'inchiesta francese Disclose segnalò la presenza di cannoni Cesar venduti dalla Francia e diretti in Yemen, dove dal 2015 è in corso una guerra civile che vede l’Arabia Saudita guidare la Coalizione contro i ribelli Houthi. La Yanbu doveva passare da Le Havre, in Francia, ma la segnalazione diede il via a una mobilitazione di associazioni pacifiste, ong e attivisti che impedì alla nave di attraccare. Al boicottaggio si unirono i portuali genovesi, forti all'ora del sostegno della Cgil che proclamò uno sciopero sulla base della non corrispondenza tra il carico dichiarato e la segnalazione del sito francese. La nave arrivò nel porto di Genova ma ripartì senza aver caricato i container incriminati.
Da quel momento, i portuali chiedono che venga rispettata la legge 185/1990 che vieta esplicitamente "l'esportazione ed il transito di materiali di armamento verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani".
Ieri mattina al centro dell'attenzione è finita la Bahri Jazan, una nave di 225 metri di lunghezza proveniente da Dundalk, il porto di Baltimora negli Usa, e diretta a Iskenderun, in Turchia, il punto più vicino al confine con la Siria. I portuali hanno chiesto all'Autorità portuale: di conoscere il carico della nave per controllare la corrispondenza alle norme di sicurezza dei lavoratori e al commercio internazionale di armi; garanzie per potere lavorare in un porto sostenibile non solo dal punto di vista ambientale (come previsto dagli imminenti investimenti previsti dal Pnrr), ma anche sociale; di poter lavorare per il commercio pacifico al servizio del benessere dei popoli e non per la guerra e la violazione dei diritti umani; l'archiviazione del procedimento penale che vede coinvolti sette portuali (vedi paragrafo seguente). "Il trasporto di armi sta diventando normale – è l'accusa del portuale Riccardo Rudino –. Questo per noi è sia un problema etico che di sicurezza".
Alla manifestazione era presente anche Zerocalcare: ”Ero in città per il ventennale del G8, ho conosciuto il Calp e scoperto dell'iniziativa. Sono qui per solidarietà con i portuali sotto inchiesta, ma anche per sostenere una battaglia che non dovrebbe nemmeno esistere: permettendo il transito di armamenti dall'Italia a Paesi in guerra stanno infrangendo una legge e la stessa Costituzione. Ci sono delle persone accusate di associazione a delinquere per aver difeso la Costituzione, questo ci riguarda tutti".
Sul retro delle magliette che molti portuali e sostenitori indossano in piazza c'è scritto: "Calp, associazione a delinquere". Una scritta stampata dopo l'inchiesta della procura di Genova che vede indagati sette portuali per associazione a delinquere finalizzata alla resistenza a pubblico ufficiale e all'attentato alla sicurezza pubblica dei trasporti. "Dentro al porto siamo ormai osservati speciali, è difficile portare avanti azioni di protesta contro le navi che attraccano", ci racconta Rosario, 43 anni, tra gli indagati. Tra le accuse è compresa infatti l'accensione di fumogeni utilizzati durante le proteste contro le navi Bahri attraccate in questi due anni nel porto. Rosario questo lavoro lo fa da quando aveva 21 anni, ma in oltre vent'anni di lavoro non aveva mai avuto problemi con la giustizia. "Ci sono entrati in casa all'alba, hanno perquisito le nostre abitazioni, sequestrato telefonini e cellulari. Ma non abbiamo paura: siamo dalla parte della ragione e non facciamo del male a nessuno".
I portuali non demordono, forti anche dell'appoggio di Papa Francesco che il 23 giugno scorso ha incontrato personalmente una delegazione di lavoratori. "Avete coraggio a non caricare le armi – ha detto loro il Papa –. Continuate queste lotte, bene avete fatto a bloccare queste navi da guerra cariche di armi, continuate così". "Il Papa ci ha detto di andare avanti – ha ribadito ieri in piazza un esponente dell'Unione sindacale di base (Usb), il sindacato che sostiene la lotta dei portuali –. Vorrei che la Digos lo ascoltasse. Noi andiamo avanti perché è inaccettabile che la nostra città rifornisca armi da guerra e le autorità si girino dall’altra parte. Questa è una battaglia di tutta la città, c’è bisogno che i movimenti e le istituzioni si esprimano sul mancato rispetto delle leggi in questo Paese, da parte dell'Autorità portuale che avrebbe il compito di vigilare e invece dorme, perché evidentemente ci sono accordi di natura economica, che contano di più non solo delle regole, ma anche della pace. Tutti devono chiarire da che parte stanno: per la guerra e per gli affari o per la pace e per l’ospitalità dei popoli”.
Droga e porti, la via del mare
“Non avevano ancora letto la lettera che gli avevamo inviato – ha spiegato Josè Nivoi del Calp all'uscita dall'incontro con l'Autorità portuale –. Faranno un passaggio con la Prefettura e poi di nuovo a fine settembre con noi. Per quanto riguarda la sicurezza, hanno inviato gli ispettori di garanzia dell’Autorità portuale”. La denuncia era partita dopo il caso dello spostamento di merce sospesa sopra dodici container contenenti esplosivo, episodio in seguito al quale i portuali hanno inoltrato una nota al Genoa metal terminal (Gmt), operatore leader in Italia per la logistica dei metalli.
Nel frattempo, i portuali si stanno organizzando per dar vita a una rete internazionale che blocchi le attività delle navi Bahri nel maggior numero possibile di porti al mondo. Il 16 luglio si è tenuta online la prima Conferenza internazionale dei portuali. Alla videochiamata hanno preso parte portuali provenienti dai porti di Livorno, Napoli, Trieste, Barcellona, Motril e Segunto (Spagna), Pireo (Grecia), Marsiglia (Francia) Esbjerg (California), Durban (Sudafrica), nonché le organizzazioni Block the boat, Amnesty international, La guerra empieza aqui e l'Assemblea internazionale dei popoli Europa.
Un primo passo a cui faranno seguito una seconda assemblea prevista per metà settembre e una giornata di sciopero internazionale. “Le nostre iniziative non si fermano con le letterine e con gli incontri – ha concluso Nivoi –. Se riusciremo a bloccare il carico e lo scarico di merci per un'intera giornata, non potranno più evitare le nostre domande".
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