Genova, 20 luglio 2001. A. Ferrari/Wikipedia
Genova, 20 luglio 2001. A. Ferrari/Wikipedia

Dal G8 di Genova al Covid: voi siete la malattia, noi la cura

Dalle lotte no global del 2001 alle disuguaglianze nella distribuzione del vaccino anti covid, i problemi da affrontare rimangono gli stessi, le soluzioni pure: scardinare il modello capitalista

Vittorio Agnoletto

Vittorio AgnolettoMedico, politico e attivista

15 luglio 2021

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Disuguaglianze, violenze di genere, crisi climatica, sistematiche violazioni dei diritti umani, restrizioni alla libera circolazione dei migranti, difesa della proprietà intellettuale, militarismo. È sorprendente l’attualità dei temi al centro delle contestazioni e delle proposte politiche del luglio 2001, quando in occasione del G8 di Genova migliaia di persone scesero in piazza contro gli effetti più devastanti del neoliberismo. Certo, ogni movimento ha la sua storia ed è responsabile delle proprie scelte, così come nessuno può pretendere di dare lezioni, ma capire cosa è stato Genova 2001 è oggi fondamentale. Non solo perché l’uccisione del 23enne Carlo Giuliani è rimasta senza processo o perché nessuno dei dirigenti di polizia condannati (anche ai massimi livelli) ha mai scontato un solo giorno di carcere. Bensì per cogliere i fili che da almeno due decenni legano le riflessioni e gli sforzi per l’elaborazione di una cultura differente: Covid-19 altro non è che il paradigma di un mondo liberista che ha rinnegato il grido di migliaia di persone a Genova nel luglio 2001.

Genova, 20 luglio 2001. Il corpo di Carlo Giuliani, morto in piazza Alimonda durante gli scontri del G8. L. Zennaro/Ansa
Genova, 20 luglio 2001. Il corpo di Carlo Giuliani, morto in piazza Alimonda durante gli scontri del G8. L. Zennaro/Ansa

Le contestazioni del 2001

Venti anni fa, il Fondo monetario internazionale (Fmi) era contestato dalle associazioni della cooperazione internazionale perché condizionava i prestiti per lo sviluppo verso i Paesi più poveri a pesanti tagli alla sanità pubblica e all’istruzione. La Banca mondiale (Bm) favoriva la sanità privata. L’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) impediva ai Paesi africani di proteggere attraverso i dazi le proprie colture, ma permetteva all’Unione europea di sostenere con ingenti sussidi le grandi multinazionali europee del settore agricolo. Molti gruppi, movimenti e associazioni impegnati nel sociale si resero conto che per ottenere risultati significativi era necessario imparare a fare rete contro l’unico avversario: l’oligopolio finanziario che aveva in Omc, Bm e Fmi i suoi principali protagonisti.

Sulla riforma della Politica agricola europea vince ancora la lobby dell'agrobusiness

Nel 2000 nacque così il Genoa social forum (Gsf), una rete di 1300 realtà provenienti da tutto il mondo, di cui quasi mille italiane, costituita in vista del G8 di Genova: il luogo (simbolico, ma non troppo) che unificava il dominio del neoliberismo sul pianeta. La definizione “no global” che ci fu attribuita dai media mainstream non descriveva realmente la natura di ciò che stava maturando. Al contrario di quanto si disse, il movimento Altermondialista è stato il primo movimento globale della Storia.

Ci hanno chiamati “no global” ma il movimento Altermondialista è stato il primo movimento globale della Storia

Genova voleva dire anche Seattle, Porto Alegre, Forum sociale mondiale. Noi non contestavamo la globalizzazione, ma quella globalizzazione, chiedendo un modello di sviluppo mondiale più equo. Purtroppo quel blocco di potere, impaurito dell’impetuosa crescita di una mobilitazione che, dal primo ritrovo a Seattle nel novembre 1999 si diffuse in tutto il pianeta (il cosiddetto popolo di Seattle), decise di reprimere duramente il movimento dei movimenti: Praga, settembre 2000, in occasione del meeting di Fmi e Bm; Napoli, marzo 2001, durante il Global forum; Goteborg, giugno 2001, dov’era in corso un vertice Ue. E infine Genova, luglio 2001: migliaia di persone pacifiche picchiate, Carlo Giuliani ucciso, la "macelleria messicana" alla scuola Diaz, le torture nella caserma di Bolzaneto, le menzogne sottoscritte nei verbali da alti dirigenti di polizia, le prove false costruite ad arte, come le molotov collocate dalle forze dell’ordine per incastrare i manifestanti.

No global e Genova 2001: di cosa parliamo?

Genova, 20 luglio 2001. Un manifestante no global bloccato dalla polizia durante gli scontri. S. Rellandini/Ansa-Reuters
Genova, 20 luglio 2001. Un manifestante no global bloccato dalla polizia durante gli scontri. S. Rellandini/Ansa-Reuters

Brace sotto la cenere

Il Genoa social forum resistette fino al 15 febbraio 2003 quando – nonostante le immense manifestazioni di massa svoltesi in tutto il mondo – il movimento pacifista, la seconda superpotenza mondiale, come definito dal New York Times, non riuscì a fermare la guerra contro l’Iraq. La consapevolezza di quanto fosse complicato cambiare la realtà quando ci si scontra con istituzioni finanziarie e politiche che dispongono di poteri immensi, unita alla necessità di evitare un confronto che era stato integralmente trasferito sul terreno della repressione, della delegittimazione mediatica e delle aule dei tribunali, indusse molte realtà del movimento a tornare nel proprio specifico ambito d’impegno. Il movimento, però, non scomparve: si fece brace sotto la cenere.

In Italia nel 2011 molte delle associazioni che avevano costituito il Gsf sono state protagoniste della straordinaria vittoria nei referendum per l’acqua pubblica e contro il nucleare, che hanno affermato pubblicamente il concetto di beni comuni. Un concetto elaborato nel 2001 tra Porto Alegre in Brasile (dove si svolse il primo Forum sociale mondiale in contrapposizione al Forum economico mondiale di Davos) e Genova. In questo caso il potere ha reagito però con scaltrezza, lasciando cadere nel nulla la volontà popolare espressa nei referendum

Sempre nel 2011 negli Stati Uniti è stata la volta del movimento Occupy Wall street contro la finanza speculativa che – come pronosticato da Susan George, presidente di Attac France, nell’assemblea di apertura a Genova il 16 luglio 2001 – aveva determinato la più grande crisi sociale ed economica dell’Occidente dal dopoguerra. 

Dal 2001 a oggi, i codici identificativi per le forze dell'ordine restano un tabù

Le contestazioni di oggi

Nel 2020, nelle tematiche al centro dell’azione di Black lives matter contro il razzismo riecheggiano i suoni del corteo in solidarietà dei migranti del 19 luglio 2001, quando il movimento dei movimenti, per primo, ha indicato i migranti come le principali vittime del modello neoliberista. 

A Genova, Walden Bello, sociologo fondatore di Focus on the Global South sostenne allora che "la crisi è relativa al capitalismo e alla sua tendenza a trasformare ogni risorsa in un prodotto da vendere, un sistema antitetico all’interesse della biosfera. La crisi dei cambiamenti climatici si è acuita drasticamente e la contrapposizione tra economia capitalista ed ecologia è evidente". Come non vedere in questo un’anticipazione della lotta di Greta Thunberg e dei Fridays for future due decenni dopo? Molte delle lotte per la giustizia sociale che hanno segnato gli ultimi due decenni hanno avuto come attori individuali e collettivi coloro che condivisero le giornate di Genova: i protagonisti della lotta per la casa a Barcellona; gli Indignados spagnoli del 2011 contro il secondo governo Zapatero; il partito spagnolo Podemos contrario all’austerità dell’Ue; l’esperienza politica greca di Syriza.

Covid, le responsabilità della Commissione Ue

Ad oggi solo il 24,4% della popolazione mondiale ha ricevuto almeno una dose di vaccino contro il Covid-19. Tra i Paesi a basso reddito la quota scende all’1%
Our world in data, dati aggiornati al 6 luglio 2021

In tutto questo, la pandemia non è stato altro che il prodotto di un modello di sviluppo che ha travolto tutto e non ha lasciato fuori nessuno. Il Covid-19 è arrivato in modo imprevisto, ma non imprevedibile. Altri virus, nel recente passato, erano transitati dagli animali selvatici agli esseri umani provocando epidemie limitate ad alcune regioni del pianeta. 

La pandemia non è altro che il prodotto di un modello economico di sviluppo che ha travolto tutto e non ha lasciato fuori nessuno

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La questione salute più in generale rende evidente, nell’attualità, come i temi di allora siano ancora i temi del presente. Nel 2001 con la Lega italiana per la lotta contro l’aids (Lila), di cui sono stato presidente, ci battevamo per il diritto alla cura, all’accesso alle terapie, per un’assistenza sanitaria universale, fornivamo supporto psicologico alle persone sieropositive e alle loro famiglie. Nel frattempo cresceva la campagna europea per l’accesso ai farmaci al fianco del Sudafrica, un Paese con il 30 per cento della popolazione femminile tra i 14 e i 40 anni sieropositiva all’Hiv. Di fronte ai prezzi proibitivi degli antiretrovirali e all’impossibilità di trovare un accordo con le multinazionali del farmaco, il presidente Nelson Mandela autorizzò le aziende sudafricane a produrli da sé. Per tutta risposta l’Omc obbligò il Sudafrica a fare marcia indietro, accogliendo le proteste di Big pharma che difendeva i propri brevetti.

Sono le stesse dinamiche portate oggi a galla dalla campagna europea Diritto alla cura. Nessun profitto sulla pandemia. Adesso come allora si tratta di garantire l’accesso universale alla cura, ai vaccini e ai farmaci. Da un lato ci sono un pugno di aziende, l’Omc, la Commissione europea e la logica del profitto. Dall’altro, 7,8 miliardi di persone e la salute come bene comune. 

"Un altro mondo è possibile", dicevamo allora. Oggi sappiamo che un altro mondo è urgentemente necessario. "Voi G8, noi sei miliardi", scrivevamo nel 2001, vent’anni dopo: "Voi siete la malattia, noi la cura": la cura dell’umanità e del pianeta.

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