Agenti del reparto mobile della polizia di Stato impegnati in una manifestazione dell'estrema destra a Roma, il 6 giugno 2020 (Alberto Pizzoli/Ansa)
Agenti del reparto mobile della polizia di Stato impegnati in una manifestazione dell'estrema destra a Roma, il 6 giugno 2020 (Alberto Pizzoli/Ansa)

I codici identificativi delle forze dell'ordine sono ancora un tabù

In parlamento sono ferme le due proposte di legge per introdurre segnali di riconoscimento degli agenti. Amnesty international chiede a Lamorgese e al capo della polizia Giannini di trovare una soluzione. Per Notari (Siulp) bisogna affrontare questioni strutturali come la formazione e la mentalità

Mauro Ravarino

Mauro RavarinoGiornalista

20 luglio 2021

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Eppure è da tanti anni che se ne parla, troppi. Eppure c’è stata Genova, vent’anni fa, “la più grave sospensione dei diritti democratici in Europa dopo la Seconda guerra mondiale”, come la definì Amnesty International. Eppure c’è stata una risoluzione del Parlamento europeo, datata 12 dicembre 2012, che esortava gli Stati membri a garantire che il personale di polizia portasse un numero identificativo. Eppure, in Parlamento, ci sono tuttora due proposte di legge, ferme in Commissione Affari costituzionali della Camera, che intendono introdurre i codici identificativi per il personale delle forze di polizia impegnato in servizio di ordine pubblico. Nonostante tutto ciò, l’argomento resta tabù.

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"Crediamo fortemente che l’introduzione dei codici identificativi sarebbe non solo uno strumento di garanzia per il cittadino, ma anche e soprattutto di maggiore tutela per tutti gli agenti"Amnesty international

La proposta di legge della deputata Giuditta Pini del Partito democratico è stata presentata il 23 gennaio 2019. Chiede che il casco di protezione indossato dal personale delle forze di polizia riporti sui due lati e sulla parte posteriore un codice alfanumerico che consenta l'identificazione dell'operatore che lo indossa. E che l'amministrazione di appartenenza tenga un registro aggiornato degli agenti, funzionari, sottufficiali o ufficiali ai quali è stato assegnato il casco. E ritiene indispensabile l’applicazione di microtelecamere alle uniformi, denominate “bodycam”, per l'eventuale ripresa di quanto avviene in situazione di criticità per l'ordine pubblico. Il 13 giugno del 2019 è stato il deputato radicale Riccardo Magi di +Europa a depositare una proposta di legge simile, in cui si chiede che il casco di protezione e le uniformi riportino sui due lati e sulla parte posteriore del casco di servizio, nella parte superiore dell'uniforme, sia sul petto sia sul dorso, nonché sul corpetto protettivo, un codice alfanumerico individuale, per consentirne la visibilità da almeno 15 metri o in condizioni di scarsa illuminazione. Per gli agenti esonerati dall'obbligo di indossare l'uniforme, il codice deve essere apposto sui dispositivi di riconoscimento utilizzati dai medesimi agenti.

La resistenza dell’apparato e la scarsa autonomia della politica ritardano i tempi della norma. Amnesty, ma non solo, reclama l’istituzione di un codice che faciliti l’identificazione degli agenti. L’organizzazione ha promosso un appello, lo aveva già fatto nel 2011, in occasione del decimo anniversario del G8 di Genova. Ora, la petizione online si rivolge alla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese e al capo della polizia Lamberto Giannini: “Vent’anni dopo il G8 di Genova, benché le violenze gravi e sistematiche compiute siano state accertate in sede di giudizio, molti fra gli agenti coinvolti in quegli eventi sono rimasti impuniti, in parte per effetto della prescrizione e in parte proprio perché non fu possibile risalire all’identità di tutti gli agenti presenti […] Crediamo fortemente che l’introduzione dei codici identificativi sarebbe non solo uno strumento di garanzia per il cittadino, ma anche e soprattutto di maggiore tutela per tutti gli agenti che svolgono il proprio lavoro in maniera corretta. Per questo chiediamo di varare una normativa in linea con gli standard internazionali che preveda l’utilizzo di codici alfanumerici identificativi ben visibili sulle uniformi degli agenti impegnati in attività di ordine pubblico”.

“Sono necessari ma non saranno sufficienti se non si affrontano questioni di sistema, quelle strutturali della formazione, ovvero di mentalità e cultura, e della cittadinanza dei poliziotti"Luigi Notari - Ex segretario Siulp

Nella maggior parte degli Stati Ue questa è una regola già diffusa. Lo è in Belgio, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia e Spagna. La Germania la prevede in nove regioni su 16. Nel Regno Unito c’è la “Dress Code Policy” per la polizia metropolitana di Londra.

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Luigi Notari, già segretario del Sindacato italiano unitario dei lavoratori della polizia (Siulp), primo sindacato della categoria, fu uno dei primi poliziotti a esprimersi pubblicamente dopo la repressione del luglio 2001 al G8 di Genova. In Al di sotto della legge (Edizioni Gruppo Abele, 2015) ha sviscerato la relazione tra polizia e democrazia; oggi, si dice favorevole ai codici identificativi ma precisa: “Sono necessari ma non saranno sufficienti se non si affrontano questioni di sistema, quelle strutturali della formazione, ovvero di mentalità e cultura, e della cittadinanza dei poliziotti, affinché si annulli la separazione tra loro e la società. La polizia in difficoltà chiede il tifo, ma chi tifa polizia non è disposto a dare piena cittadinanza agli agenti. Il deficit di formazione – fino a poco fa si entrava nei ruoli esecutivi solo passando dall’esercito (far la guerra è cosa assai diversa) – ha creato conformismo. A questo ha contribuito lo scardinamento costituzionale dell'articolo 52 relativo al servizio militare obbligatorio, cambiando l'ordine dei fattori tra sicurezza interna ed esterna, a favore di quest'ultima, introducendo così una servitù militare nel reclutamento delle forze dell'ordine. E nella società, anche a causa del maggioritario, sono mancati i corpi intermedi e gli anticorpi per evitare questa deriva”. Infine, Notari aggiunge: “Il numero identificativo sarebbe una tutela nei confronti degli agenti in ordine pubblico. È bene, però, precisare che ogni lavoratore di polizia compare sul foglio di servizio giornaliero e che, in autotutela o per doveri d’ufficio o di rapporti con l’autorità giudiziaria, compila una relazione di servizio. Il controllo esiste già. Caso vuole che questo succeda meno nei reparti mobili”, proprio quei reparti in prima linea durante le manifestazioni di piazza o sportive.

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