L'ombra di una persona dietro le sbarre in una cella di prigione. Foto: Y. Jinghan/Unsplash
L'ombra di una persona dietro le sbarre in una cella di prigione. Foto: Y. Jinghan/Unsplash

I diritti dei detenuti sono stati violati più di 30mila volte in sette anni

Solo nel 2024 gli Uffici di sorveglianza italiani hanno accolto 5.837 reclami per detenzione in condizioni disumane, il 23 per cento in più dell'anno precedente. La Corte europea dei diritti dell'uomo e i tribunali nazionali condannano situazioni di sovraffollamento, cibo immangiabile e medicinali negati

Andrea Oleandri

Andrea OleandriResponsabile comunicazione di Antigone

31 ottobre 2025

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Un uomo scrive ad Antigone dal carcere di Pescara: “Per andare in bagno devo prendere il numeretto”. E continua: “Le celle da quattro sono diventate da sette. La puzza del sovraffollamento macchia la dignità dell’essere umano”. È una delle tante lettere arrivate all'associazione negli ultimi mesi, che si somma a quella dei detenuti di Reggio Calabria, in cui si denuncia un’“invasione di ratti” e spazi inferiori ai tre metri quadrati, o a quella della moglie di un recluso a Frosinone, che racconta di celle senza vetri, cibo immangiabile e medicinali negati. Non sono eccezioni. 

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Sono la normalità del carcere italiano nel 2025, raccontate anche dall’attività dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione di Antigone: nelle 75 carceri visitate negli ultimi 12 mesi, in 31 c’erano celle dove non si rispetta il parametro minimo dei tre metri quadri a persona.

Nelle 75 carceri visitate negli ultimi 12 mesi, in 31 c’erano celle dove non si rispettva il parametro minimo dei tre metri quadri a persona

Anche per questo motivo, gli Uffici di sorveglianza dei tribunali italiani hanno condannato più di 30mila volte il sistema carcerario del nostro Paese per “detenzione in condizioni inumane”. Un’accusa che aveva mosso già 12 anni fa la Corte europea per i diritti dell’uomo. 

Dall'indignazione al silenzio

Nel gennaio del 2013, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per violazione dell’articolo 3 della Convenzione, quello che vieta la tortura o i trattamenti inumani o degradanti. La sentenza Torreggiani – nata da poco più di quattromila ricorsi di persone detenute – costrinse il Paese a reagire. Allora, si parlò di “emergenza”.

Napolitano nella sua lettera alle Camere ribadiva la gravità dei contenuti della sentenza e denunciava la corresponsabilità delle istituzioni nel permettere che nelle carceri i detenuti potessero vivere in quelle condizioni

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano inviò un messaggio alle Camere, nel quale sottolineava che la decisione della Corte rappresentasse "una mortificante conferma della perdurante incapacità del nostro Stato a garantire i diritti elementari dei reclusi in attesa di giudizio e in esecuzione di pena e nello stesso tempo una sollecitazione pressante da parte della Corte a imboccare una strada efficace per il superamento di tale ingiustificabile stato di cose". 

Per questo, sottoponeva “all'attenzione del parlamento l'inderogabile necessità di porre fine, senza indugio, a uno stato di cose che ci rende tutti corresponsabili delle violazioni contestate all'Italia dalla Corte di Strasburgo: esse si configurano, non possiamo ignorarlo, come inammissibile allontanamento dai principi e dall'ordinamento su cui si fonda quell'integrazione europea cui il nostro paese ha legato i suoi destini”. In altre parole, Napolitano ribadiva la gravità dei contenuti della sentenza e denunciava la corresponsabilità delle istituzioni nel permettere che nelle carceri i detenuti potessero vivere in quelle condizioni. 

Nell’anno di tempo che quella sentenza diede all’Italia per riportare nella legalità il proprio sistema penitenziario si approvarono riforme di vario tipo:

  • istituzione del Garante nazionale delle persone private della libertà personale;
  • introduzione del regime delle celle aperte e della sorveglianza dinamica, garantendo alle persone detenute di poter rimanere fuori dalla propria cella per la maggior parte della giornata;
  • accesso al rimedio risarcitorio per chi subisse trattamenti inumani o degradanti;
  • inserimento dei provvedimenti momentanei per riportare il numero delle persone detenute entro limiti sostenibili (ad esempio l’aumento di giorni della liberazione anticipata da 45 a 70 ogni semestre).

Finita quella stagione riformatrice le carceri sono tornate a chiudersi, ad affollarsi e quelle violazioni sono diventate ancora una volta la quotidianità, senza fare notizia. A certificarlo non è arrivata più una condanna da Strasburgo, ma migliaia di sentenze dei tribunali italiani. Solo nel 2024 gli Uffici di Sorveglianza italiani hanno accolto 5.837 reclami per detenzione in condizioni disumane: il 23 per cento in più dell’anno precedente. Quasi seimila condanne l’anno, eppure nessuno sembra accorgersene.

Condanne di casa nostra

Con la fine di quella stagione riformatrice, durata un anno, le carceri sono tornate a chiudersi, ad affollarsi e quelle violazioni sono diventate ancora una volta la quotidianità, senza fare notizia

Il tasso di sovraffollamento nelle carceri italiane ha superato il 135 per cento: oltre 63mila persone recluse per meno di 47 mila posti realmente disponibili. A Regina Coeli, dove il tasso ha raggiunto il 187 per cento, le celle da tre ospitano anche cinque persone.

Nel 2025, il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha riconosciuto a un detenuto 987 giorni di detenzione degradante, con spazi inferiori a tre metri quadrati e acqua calda assente. Riduzione di pena: 98 giorni. Risarcimento: 56 euro.  Sei mesi di vita al di sotto della soglia della decenza valgono, in media, poco più di 1.400 euro o diciotto giorni di sconto di pena.

Nel 2025, il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha riconosciuto a un detenuto 987 giorni di detenzione degradante, con spazi inferiori a tre metri quadrati e acqua calda assente

 Nonostante questo a migliaia ricorrono ai Tribunali di Sorveglianza e, con il peggiorare della condizione di sovraffollamento, aumentano anche le condanne. Gli accoglimenti erano stati infatti 3.115 nel 2018, 4.347 nel 2019, 3.382 nel 2020, 4.212 nel 2021, 4.514 nel 2022, 4.731 nel 2023 e, come già detto, quasi 6.000 nel 2024.

Eppure, a differenza di allora, quando l’indignazione europea spinse lo Stato a cambiare, oggi la risposta è il silenzio. Guai se l’Europa ci ha definito, più di 10 anni fa, indegni di un paese civile, poco male se a farlo sono i nostri stessi giudici.

Una campagna per tornare a seguire la Costituzione

Ogni giorno, i tribunali italiani ci dicono che migliaia di persone vivono in condizioni “inumane o degradanti”. È la formula tecnica con cui si descrive ciò che, in un Paese civile, dovrebbe essere indicibile.
È da questo paradosso che nasce la nuova campagna di Antigone Inumane e degradanti. Il carcere italiano è fuori dalla legalità costituzionale. L’obiettivo è riportare il sistema penitenziario dentro i confini della Carta, partendo da una petizione indirizzata al Parlamento e al Governo (si può firmare qui).

La politica viola il diritto dei detenuti a coltivare i propri affetti

Le proposte sono chiare: zero sovraffollamento, ampliamento delle alternative alla detenzione; diritto all’affettività e telefonate quotidiane per rompere l’isolamento; celle aperte, più attività e meno isolamento; telecamere e trasparenza; un piano straordinario di assunzioni per il personale penitenziario e investimenti nella salute.

E ancora: l’abrogazione del reato di “rivolta penitenziaria”, che punisce anche la resistenza passiva, e del “decreto Caivano”, che ha indebolito la giustizia minorile. Con queste richieste si prova a restituire senso alle parole e spazio alla Costituzione. Perché se il carcere resta fuori dalla legalità, lo è anche lo Stato.

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