Foto di Nathan Dumlao/Unsplash
Foto di Nathan Dumlao/Unsplash

Carcere e razzismo, gli esperti dell'Onu bocciano l'Italia

Una delegazione delle Nazioni Unite ha visitato l'Italia e stilato un report sul rispetto dei diritti umani. Condannate le pratiche discriminatorie nei fermi e nelle perquisizioni delle forze di polizia, ma anche il trattamento riservato ai detenuti stranieri

Andrea Oleandri

Andrea OleandriResponsabile comunicazione di Antigone

25 ottobre 2024

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Sovraffollamento, condizioni degradate, difficoltà nell’accesso ai servizi, come la salute e il supporto psicologico, suicidi e autolesionismo. Sono i problemi delle carceri italiane di cui abbiamo spesso parlato in questa rubrica, che sono stati rilanciati con forza da un rapporto pubblicato dal Meccanismo indipendente internazionale delle Nazioni Unite per promuovere la giustizia razziale e l’uguaglianza nell’applicazione della legge, composto da un gruppo di esperti dell’Onu, che dal 2 al 10 maggio scorso hanno visitato l’Italia, incontrando rappresentanti governativi, forze dell'ordine, persone detenute e organizzazioni della società civile.

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Discriminazione nei fermi di polizia

Nel rapporto, pubblicato lo scorso 27 settembre, gli esperti  hanno affrontato sia la condizione delle carceri sia questioni che più o meno indirettamente incidono sulla detenzione, come ad esempio la profilazione razziale nei fermi di polizia. Nel report è evidenziato come la provenienza giochi un ruolo importante quando bisogna decidere se fermare o meno una persona, soprattutto se di origine africana. Era stata la stessa Funtamental Rights Agency (Fra) del Consiglio d’Europa a segnalare come si tratti di una pratica illegale, ma presente.

La provenienza gioca un ruolo importante quando bisogna decidere se fermare o meno una persona, soprattutto se di origine africana

Nel report del 2023 dal titolo Being black in the EU veniva segnalato come un quarto delle 6.752 persone nere intervistate in 13 Stati membri dell’Ue (tra cui l’Italia) era stato fermato dalla polizia nei cinque anni precedenti al sondaggio e, tra questi, circa la metà (48 per cento) ha definito il fermo più recente come come una pratica di profilazione razziale. Gli esperti delle Nazioni Unite hanno evidenziato, inoltre, come esista una paura diffusa nel denunciare tali episodi.

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“Le persone hanno dichiarato che rivolgersi alla polizia è intimidatorio e che chiedere spiegazioni durante un controllo delle forze dell'ordine può far degenerare la situazione, portando potenzialmente a ulteriori ripercussioni”. Il profiling razziale, è spiegato nel report, perpetua una visione distorta della società, in cui gli stereotipi, i pregiudizi, i preconcetti e la discriminazione razziale non solo sono tollerati, ma in alcuni casi sono incoraggiati. In più ha effetti dannosi anche nel minare la fiducia che la comunità investe sulle forze dell’ordine.

Perquisizioni senza mandato

Direttamente collegato alla profilazione razziale, è un altro aspetto messo in risalto dalla relazione, cioè la possibilità per le forze dell’ordine di condurre perquisizioni senza un mandato giudiziario, nel caso in cui vi sia il sospetto di possesso di sostanze illecite. Il report specifica come la mancata distinzione tra possesso per uso personale e il possesso per il traffico sia spesso poco chiara, il che porta a frequenti arresti, alla criminalizzazione delle persone che fanno uso di droghe e al fatto che una percentuale significativa di processi legati alla droga si conclude con una condanna.

“L'approccio punitivo dell'Italia all'applicazione della legge sulla droga – si legge – solleva notevoli preoccupazioni in materia di diritti umani e colpisce in modo sproporzionato gli africani e le persone di origine africana”. Per l’Onu, queste pratiche e politiche determinano una sovrarappresentazione delle persone straniere (in particolar modo africane) nelle carceri italiane, dettata da vari fattori tra cui la povertà, l'accesso limitato a un'istruzione di qualità, l'occupazione, l'assistenza sanitaria e un alloggio adeguato, nonché la mancanza di reti sociali e familiari.

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Questi problemi sono esacerbati dal profiling razziale e dalla criminalizzazione degli individui in base al loro status migratorio, contribuendo ad alimentare il razzismo sistemico che colpisce gli africani e le persone di origine africana.

Il sovraffollamento è una tortura

“È particolarmente preoccupante – scrivono gli esperti – osservare che i minori stranieri spesso subiscono misure più restrittive rispetto alle loro controparti italiane, indipendentemente dalla gravità del reato commesso”. Tutto questo contribuisce anche ai numeri crescenti delle incarcerazioni. “Il sovraffollamento – ricordano dalla delegazione – ha un impatto significativo sulle condizioni di detenzione e, di conseguenza, sui diritti umani dei detenuti”.

I minori stranieri spesso subiscono misure più restrittive rispetto alle loro controparti italiane, indipendentemente dalla gravità del reato commesso

A preoccupare sono anche le strutture di detenzione obsolete e non adatte all'uso previsto, dove si segnala l'inadeguatezza dell'approvvigionamento idrico, temperature eccessive in estate e la mancanza di acqua calda, soprattutto in inverno. Su questi punti, gli esperti spiegano che “il sovraffollamento e le condizioni di detenzione al di sotto degli standard possono costituire una grave forma di maltrattamento, se non addirittura di tortura”.

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Altro problema finito sotto la lente della delegazione Onu riguarda l’accesso ai servizi, su tutti quelli sanitari, ad esempio per le persone detenute certificate come tossicodipendenti, laddove i trattamenti di riduzione del danno e i servizi di riabilitazione sono spesso insufficienti, anche a causa della mancanza di continuità nel trattamento tra servizi esterni e interni, nonché tra le diverse strutture detentive. Accesso inadeguato anche alle informazioni essenziali per orientarsi nella vita di detenzione e, nel caso dei detenuti in attesa di giudizio, per preparare in modo adeguato la loro difesa.

Anche in questo caso le persone straniere sono tra le più colpite a causa della carenza di traduttori e mediatori culturali. Infine, gli esperti hanno riportato profondo turbamento per le notizie di ricorrenti atti di autolesionismo e di suicidi tra le persone detenute, già 76 nel 2024. Di fronte a questa situazione, il richiamo verso i decisori politici è di applicare a ogni circostanza approcci basati sui diritti umani, in conformità con gli standard internazionali previsti dalle convenzioni.

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In particolare, sulle droghe, il rapporto segnala la necessità di decriminalizzare il possesso per uso personale e ridurre l'impatto sproporzionato delle leggi antidroga su minoranze e gruppi vulnerabili. Sulla profilazione razziale, occorre pensare a una legislazione che la vieti esplicitamente, oltre a stabilire misure per prevenire e combattere le pratiche “distorte” durante controlli, arresti e altre attività delle forze dell'ordine. Per le carceri, infine, l’obiettivo è ridurre il sovraffollamento e garantire un trattamento equo per tutte le persone detenute, in linea anche con le Mandela Rules, le regole minime standard per il trattamento dei detenuti.

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