Foto di Antigone
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Carcere, Antigone: "È emergenza suicidi"

Dopo il record del 2022, il 2023 ha continuato a registrare numeri mai visti negli ultimi 30 anni. Ma è il trend di inizio 2024 a preoccupare. Intanto, oggi un'operazione ha portato all'arresto di 13 agenti di polizia penitenziaria, e alla sospensione di altri otto, per presunte torture verso gli under 18 detenuti nel carcere minorile Beccaria di Milano

Redazione <br> lavialibera

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22 aprile 2024

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Uno aveva 45 anni, era originario di Gela, e si dichiarava innocente. L'altro chiedeva di scontare la propria condanna in madrepatria, la Russia. Il primo non ha mangiato per 41 giorni, il secondo per 61. Entrambi erano detenuti nel carcere di Augusta e non sono stati ascoltati. Entrambi sono morti dopo un lungo sciopero della fame. Ignorati dai media.

Emergenza suicidi nelle carceri. Cucchi: "Sistema insostenibile"

Sono due delle storie raccolte nell'annuale rapporto di Antigone, l'associazione per i diritti dei detenuti, arrivato alla XX edizione (Nodo alla gola). Questa volta il focus è la continua emergenza suicidi negli istituti penitenziari. Dopo il 2022, anno record con 85 suicidi accertati, il 2023 ha continuato a registrare numeri mai visti: in 70 hanno deciso di togliersi la vita nelle carceri italiane. Una cifra a cui negli ultimi trent'anni ci si è avvicinati solo una volta: nel 2001, con 69 decessi. 

Ma è soprattutto il trend di inizio 2024 a preoccupare: tra inizio gennaio e metà aprile, negli istituti penitenziari si sono uccise 30 persone. Una ogni tre giorni e mezzo. Mentre nel 2022, a metà aprile, se ne contavano 20. "Se il ritmo dovesse continuare in questo modo – precisa l'associazione Antigone – a fine anno rischieremmo di arrivare a livelli ancor più drammatici rispetto a quelli dell'ultimo biennio".

Intanto, oggi un'operazione ha portato all'arresto di 13 agenti di Polizia penitenziaria, e alla sospensione di altri 8, per presunte torture e violenze inflitte agli under 18 detenuti nel carcere minorile Beccaria di Milano.

In carcere ci si suicida 18 volte in più che fuori

Un importante indicatore dell’ampiezza del fenomeno è il cosiddetto tasso di suicidio, cioè la relazione tra il numero dei decessi e la media delle persone detenute nel corso dell’anno. Nel 2023 è stato pari a 12 casi ogni 10.000 persone, registrando – dopo il 2022 – il valore più alto dell’ultimo ventennio. Valore che, al momento, sembra persino destinato a crescere nel 2024.

Nelle carceri italiane oltre 6 suicidi al mese

Ulteriore prova della natura strutturale del problema è il confronto con quanto succede fuori dagli istituti di pena. Secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), il tasso di suicidio in Italia nel 2019 è stato pari a 0,67 casi ogni 10.000 persone. Nello stesso anno, ma in carcere, il valore è stato di 8,7 ogni 10.000 detenuti. Questo significa che in cella ci si leva la vita ben 18 volte in più rispetto a fuori.

Non solo. Se a livello europeo, l’Italia è considerata un paese con un basso tasso di suicidio, si colloca invece al di sopra della media Ue per le morti volontarie in carcere. Secondo gli ultimi dati del Consiglio d’Europa, risalenti al 2021, nel nostro Paese il tasso di suicidio negli istituti di pena è di 10,6 casi ogni 10.000 persone, mentre la media europea si attesta a 9,4.

Donne, stranieri e persone con problemi psichici: l'identikit di chi si toglie la vita 

Delle 100 persone che si sono tolte la vita in carcere tra il 2023 e il 2024, cinque erano donne. In percentuale, l'incidenza è maggiore rispetto agli uomini, ma non solo: si tratta anche di un numero particolarmente alto se consideriamo che la popolazione detenuta femminile rappresenta solo il 4,3 per cento del totale. In particolare, nell’estate del 2023 tre donne si sono tolte la vita all’interno della sezione femminile della casa circondariale di Torino. 

La prima aveva 52 anni ed era di origine romena. Aveva quasi finito di scontare la sua condanna e sarebbe dovuta uscire nel giro di due mesi. Sempre a Torino, il 9 agosto si è spenta S. J., una nigeriana di 42 anni. Era in cella dal 21 luglio, dopo un lungo periodo agli arresti domiciliari. Da quando era entrata in carcere, aveva smesso di bere e mangiare, rifiutando ogni tipo di cura. L’unica richiesta era quella di vedere i figli e il marito. Dopo 18 giorni di detenzione, si è lasciata morire di fame e di sete. Dopo poche ore, nella stessa sezione è morta A. C., una ragazza ligure di 28 anni. Era in prigione da circa tre mesi per una condanna arrivata ad aprile per un cumulo di reati, soprattutto piccoli furti. Molti risalivano al 2013 e al 2014 ed erano legati ai suoi problemi di tossicodipendenza. 

Notizie dal carcere. La rubrica di Antigone per lavialibera

Guardando alle nazionalità, emerge che l’incidenza dei decessi volontari è maggiore tra le persone di origine straniera (28 suicidi per una popolazione detenuta media di 18.185), con un tasso pari a 15 casi ogni 10.000 persone, rispetto a 10,5 tra gli italiani.

Per quel che riguarda, invece, l'età: quella media è di 40 anni. La fascia più rappresentata è tra i 30 e i 39 anni, con 33 casi di suicidi. Segue quella tra i 40 e i 49, con 27 episodi. Ci sono poi i più giovani, con 17 suicidi commessi da ragazzi e ragazze tra i 20 e i 29 anni. Oltre ai dati anagrafici, i media danno qualche notizia sulle patologie sofferte. Precisa Antigone: "Si tratta di un terreno delicato, in cui, in assenza di maggiori strumenti di verifica, l’utilizzo del condizionale è d’obbligo". Ma dai dati a disposizione, almeno 22 delle 100 persone decedute soffrivano di patologie psichiatriche. Almeno 12 avevano già provato a togliersi la vita in altre occasioni, mentre in sette avevano un passato di tossicodipendenza. Erano invece almeno sei le persone senza fissa dimora.

Psicofarmaci e isolamento per la sofferenza psichica nelle carceri

Uno dei problemi principali in carcere rimane la presenza di un diffuso disagio psichico: il 12 per cento dei detenuti ha una diagnosi psichiatrica grave. E l’uso massiccio di psicofarmaci resta lo strumento principale per trattare la salute mentale in cella: il 20 per cento dei reclusi fa regolare uso di stabilizzanti dell’umore, antipsicotici e antidepressivi. Il 40 per cento di sedativi o ipnotici. Viceversa, un percorso terapeutico è quasi inesistente. Nel 2023, in media, 100 detenuti hanno avuto a disposizione dieci ore a settimana per gli psichiatri e 20 ore a settimana per gli psicologi. Mentre le articolazioni per la tutela della salute mentale, sezioni a gestione prevalentemente sanitaria, sono a oggi concentrate in pochi istituti. Nel nostro Paese quelle attive sono 34 in 32 istituti penitenziari (su 190 carceri totali) e accolgono circa 300 persone. 

Nel 2023, Antigone ha registrato 122 trattamenti sanitari obbligatori (Tso) effettuati in carcere: una pratica illegale se svolta all’interno delle sezioni detentive senza ricoverare la persona in un ospedale (Servizio psichiatrico di diagnosi e cura - Spdc), come richiesto dalla legge.

Nessuno si prende cura della sofferenza psichica nelle carceri 

Un'altra questione allarmante registrata dall'associazione è che i detenuti con disagio psichico o disabilità mentali sono sempre più spesso sottoposti a un regime di isolamento, che può essere usato per motivi disciplinari, sanitari o giudiziari. Per esempio, dalla visita nella casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere è emerso che alcune delle persone in isolamento avevano diagnosi psichiatriche, anche gravi. In generale, "l’isolamento fa male ed è usato troppo", fa presente l'osservatorio di Antigone, aggiungendo che nel 2023 quello disciplinare è stato utilizzato soprattutto negli istituti in cui più della metà della popolazione era straniera.

Liste d'attesa e nodi delle Rems (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza)

Un altro tema sono le liste d'attesa per entrare nelle Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), a cui dovrebbero essere destinate le persone dichiarate socialmente pericolose e (in tutto o in parte) incapaci di intendere e di volere quando hanno commesso il reato, i cosiddetti folli rei. Le Rems dal 2014 hanno progressivamente sostituito gli ospedali psichiatrici giudiziari. Ma le lunghe liste d'attesa – a parere della Corte costituzionale, che nel 2022 ha chiesto una riforma complessiva del sistema – non garantiscono “né la tutela effettiva dei diritti fondamentali delle potenziali vittime di aggressioni, che il soggetto affetto da patologie psichiche potrebbe nuovamente realizzare” né “il diritto alla salute del malato, al quale nell’attesa non vengono praticati i trattamenti che dovrebbero essergli invece assicurati”.

A fine gennaio 2024 erano 755 le persone che aspettavano di entrare in Rems, 45 di loro attendevano in carcere, in molti casi senza un titolo detentivo valido. Non si tratta di un iter inusuale. Nel 2023, un ospite su cinque, prima di entrare in Rems, aveva trascorso un periodo in carcere: percorsi poco in linea con le norme e potenzialmente dannosi per la salute. Secondo l'associazione, però, la soluzione non è la costruzione di altre strutture. Una misura, si legge, "poco giustificabile sul piano terapeutico e per nulla sostenibile sul piano economico, che rischierebbe di tradire la riforma di chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari". Il nodo è evitare che le Rems siano occupate da soggetti che potrebbero usufruire di misure alternative, come l’invio in comunità.

Affollamento record. Effetto Meloni

Al 31 marzo 2024, erano 61.049 le persone detenute, a fronte di una capienza ufficiale di 51.178 posti, a cui vanno però sottratti i posti non disponibili: 3.640. Si tratta di un numero che cambia nel tempo, ma dalla Relazione del Ministero sull’amministrazione della giustizia del 2023 emerge che nella migliore delle ipotesi tende verso una “soglia fisiologica del cinque per cento”. Almeno 2.500 posti detentivi in meno in ciascun momento sono, quindi, inevitabili. 

Di contro, continuano crescere le presenze, e nell’ultimo anno in maniera ancora più decisa. Dalla fine del 2019 alla fine del 2020, a causa delle misure deflattive adottate durante la pandemia, le presenze in carcere erano calate di 7.405 unità. Ma sono subito tornate a crescere. Prima lentamente, con un aumento delle presenze di 770 unità nel 2021, a cui però è poi seguita una crescita di 2.062 nel 2022 e addirittura di 3.970 nel 2023. Nell’ultimo anno dunque la crescita delle presenze è stata in media di 331 unità al mese, un tasso di crescita allarmante, che se dovesse venire confermato anche nel 2024 ci porterebbe oltre le 65.000 persone entro la fine dell’anno. 

Un crescendo che si lega a una stretta repressiva sul fronte politico e legislativo. La stagione dei nuovi reati e degli innalzamenti di pena è iniziata con il cosiddetto decreto rave, è proseguita con il decreto Caivano, poi con il ddl Sicurezza, quest’ultimo ancora al vaglio del Parlamento, con cui si punisce: la detenzione di materiale con finalità di terrorismo (da 2 a 6 anni), l’occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui (da 2 a 7 anni), si modifica l’articolo 600-octies del codice Penale inserendo l’induzione e costrizione all’accattonaggio (pena da 2 a 6 anni), si modifica di nuovo l’articolo 583-quater del Codice penale per punire chi provoca lesioni personali a un ufficiale o a un agente di polizia giudiziaria (da 2 a 5 anni) e si introduce il reato di rivolta in istituto penitenziario (da 2 a 8 anni).

Dati di Antigone alla mano, gli effetti del decreto Caivano sono stati immediati. A inizio 2024, erano circa 500 i ragazzi detenuti negli Istituti penali per minorenni (Ipm) italiani. Non si raggiungeva una cifra simile da oltre dieci anni.

Decreto Caivano, da dieci anni mai così tanti minori nelle carceri

Le proposte di Antigone per le carceri

Il report di Antigone si conclude con quattro proposte per migliorare la situazione. 

  • Percorsi alternativi per chi ha problemi psichiatrici e di dipendenza. Oltre a favorire percorsi alternativi alla detenzione intramuraria, soprattutto per chi ha problematiche psichiatriche e di dipendenza, è necessario migliorare la vita all’interno degli istituti, per ridurre il più possibile il senso di isolamento e di marginalizzazione. C'è bisogno di garantire una disponibilità maggiore di attività, che siano lavorative, formative, culturali.
     
  • Più contatti tra dentro il carcere e fuori. Una maggiore apertura nei rapporti con l’esterno. Non basta aumentare da 4 a 6 le telefonate mensili (di 10 minuti ognuna). Le telefonate andrebbero liberalizzate. Andrebbe poi dato seguito alla sentenza della corte Costituzionale in merito al diritto all'affettività, prevedendo nelle carceri anche luoghi dove siano possibili colloqui intimi.
     
  • Reparti ad hoc e percorsi psicologici per chi entra o esce dal carcere. L’inizio e la fine di un percorso detentivo sono fasi molto delicate. L’introduzione alla vita dell’istituto dovrebbe avvenire in maniera graduale e pgni istituto dovrebbe avere reparti ad hoc per i cosiddetti nuovi giunti. Allo stesso modo, dovrebbero essere investite risorse per la fase di preparazione al rilascio. La persona deve essere accompagnata al rientro in società e dotata dei principali strumenti necessari. Sarebbe necessario un servizio di preparazione al rilascio, in collegamento con gli enti e i servizi territoriali esterni. 
     
  • Contatti umani significativi. Oltre alle fasi iniziali e conclusive della detenzione, particolare attenzione andrebbe dedicata a tutti quei momenti della vita penitenziaria in cui le persone detenute si trovano separate dal resto della popolazione detenuta perché in isolamento o sottoposti a un regime più rigido e con meno contatti con altre persone. In questi casi è sempre necessario garantire contatti umani significativi con il personale per ridurre il rischio suicidio.
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