Il carcere di Torino. Credits: Marco Panzarella
Il carcere di Torino. Credits: Marco Panzarella

Carcere di Torino, boom di giovani e nessuna rieducazione

Sono in maggioranza stranieri, accusati di piccolo spaccio, furti o rapine: uno su due abita in Barriera di Milano, zona periferica del capoluogo piemontese. All'interno del Lorusso-Cutugno, condividono gli spazi con gli adulti, sono abbandonati a loro stessi e preoccupa l'uso di psicofarmaci

Rosita Rijtano

Rosita RijtanoRedattrice lavialibera

13 gennaio 2023

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La media di giovani presenti nelle carceri d’Italia è del 5,8 per cento, a Torino del 9,8: la più alta del nostro Paese. Sono in maggioranza stranieri, arrivati qui da soli, e accusati di piccolo spaccio, furti o rapine: uno su due abita in Barriera di Milano, zona periferica della città. In istituto sono abbandonati a loro stessi e preoccupa il “frequente uso di psicofarmaci”. È quanto denuncia una ricerca dal titolo Giovani dentro e fuori condotta dagli studenti della clinica legale Carcere e diritti I del dipartimento di Giurisprudenza dell’università di Torino, guidati dalla professoressa di sociologia del diritto, Cecilia Blengino.

"La popolazione giovanile reclusa nel carcere per adulti della città ha raggiunto livelli preoccupanti, è necessario aprire una profonda riflessione a tutti i livelli" Monica Gallo - Garante di Torino delle persone private della libertà personale

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Lo studio, promosso dall’ufficio del Garante delle persone private della libertà del capoluogo piemontese, ha analizzato le condizioni di vita delle persone tra i 18 e i 25 anni detenute al Lorusso-Cutugno nei primi mesi del 2022. Il primo dato, quantitativo, mette in risalto come la presenza di giovani adulti nella casa circondariale di Torino non solo sia mediamente più alta rispetto a tutte le altre carceri di Italia, ma anche rispetto agli altri istituti penitenziari di dimensioni paragonabili a quelle del Lorusso-Cutugno. Al 21 settembre 2022 i detenuti di Rebibbia nati tra il 1998 e il 2004 erano 76 su un totale di 1436 persone, il 5,3 per cento. A Santa Maria Capua Vetere erano 36 su 824, il 4,4 per cento. A Poggioreale, 139 su 2085, il 6,7 per cento. Al 21 settembre 2022, invece, a Torino i detenuti d’età compresa tra i 18 e i 24 anni erano 109, l’8 per cento della popolazione carceraria.

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Lo studio era partito dalla percezione da parte dell’ufficio del garante del capoluogo piemontese di “un incremento significativo delle misure restrittive adottate nei confronti dei giovani detenuti”. “È un dato di fatto che la popolazione giovanile reclusa nel carcere per adulti della città abbia raggiunto livelli preoccupanti e sia necessario aprire una profonda riflessione a tutti i livelli”, dice a lavialibera Monica Gallo, garante di Torino. “Commentando la nostra ricerca, il questore di Torino Vincenzo Ciarambino ha affermato che quando un giovane finisce in carcere siamo tutti sconfitti. Mi sento di aggiungere che quando il giovane è destinato al carcere per adulti per aver commesso un reato anche solo dopo alcuni mesi dal compimento del suo 18esimo anno di età la sconfitta è maggiore. La giustizia ordinaria, a cui questi giovani sono affidati, riserva trattamenti e percorsi in totale assenza di opportunità trattamentali adeguate e che non tiene conto delle esigenze evolutive individuali".

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Il 28,86 per cento di questi giovani adulti si trova in carcere per violazione del testo unico sugli stupefacenti, il 28,19 per furto e il 12,75 per rapina. Per la pena residua, molti detenuti avrebbero diritto ad accedere a misure alternative alle detenzione e/o alla detenzione domiciliare. Ma spesso ciò non avviene, anche perché non hanno una rete sociale di riferimento. Le domande poste a un campione di 149 persone, di cui 144 uomini e 5 donne, permettono di scattare una fotografia. La maggior parte (74,5 per cento) proviene da uno Stato estero: in primis Marocco, seguito da Senegal, Nigeria e Romania. Il 24,16 per cento è italiano. Più della metà degli stranieri, è arrivata in Italia da sola, l'88 per cento senza un regolare permesso di soggiorno. Il 43,14 per cento degli intervistati abita in Barriera di Milano.

"C'è un problema verso i minori stranieri non accompagnati che arrivano a Torino dopo percorsi di inclusione brevissimi e fallimentari – prosegue Gallo –: giovani che si trovano ad affrontare una giustizia che non si sofferma abbastanza sui loro viaggi migratori sempre più rischiosi, violenti e traumatici. Poi, senza dubbio, ci sono luoghi della città in profonda sofferenza dove i giovani non trovano un contesto accogliente ma di esclusione".

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Analizzando la vita quotidiana all’interno delle mura carcerarie, si scopre che nonostante il regolamento penitenziario stabilisca una separazione dei giovani al di sotto dei 25 anni dagli adulti, al Lorusso-Cutugno c’è una "commistione quasi totale": gli under 25 trascorrono le giornate negli stessi spazi abitati dagli adulti, facendo ciò che fanno gli adulti, cioè quasi nulla. "La fetta di popolazione detenuta tra le più fragili, che necessiterebbe di specifiche attenzioni e di prassi che valorizzino il più possibile i percorsi trattamentali futuri, risulta destinataria sin dall'ingresso dello stesso trattamento dedicato alle persone detenute adulte, caratterizzato da tempo vuoto e sofferenza", scrivono gli autori della ricerca.

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Una mancata separazione dei percorsi è evidente sin da subito, dalla permanenza prolungata nella sezione dedicata ai nuovi arrivi, dove la vita si svolge esclusivamente all’interno delle camere pernottamento, che rimangono sempre chiuse tranne per due ore: “Un ambiente che pare totalmente inidoneo alla salvaguardia della loro condizione psicofisica, molto spesso vulnerabile”. Poco cambia una volta che vengono spostati. Nessuna attività trattamentale, nessun colloquio con le figure di supporto interne all’istituto, nessun inserimento lavorativo. Eppure, precisano gli autori dello studio, il 49 per cento di loro lavorava prima di entrare in carcere, e ha una "qualifica spendibile sul mercato del lavoro".

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Inoltre, quasi tutti avrebbero avuto diritto a continuare il proprio percorso di studi, interrotto per l'ingresso in istituto, ma non l'ha fatto. Fragili, se ci sono, anche i contatti con l'esterno del carcere: più della metà non fa colloqui quando si trova in istituto e molti non riescono per nulla a contattare la propria famiglia di origine, amici o familiari, con il risultato “che una volta tornata in libertà si troverà nuovamente costretto agli stessi contesti socio-relazionali di quando è entrato in cella”. Non solo: "questo rientro – conclude la ricerca – avverrà con il possesso delle stesse risorse e delle stesse competenze di quell'ingresso o, nella peggiore delle ipotesi, con competenze delinquenziali acquisite nel corso della detenzione. In questa cornice, l'esito è allora scontato: presto o tardi, questi soggetti finiranno per fare ritorno in carcere”.

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In questa cornice, l'esito è allora scontato: presto o tardi, questi soggetti finiranno per fare ritorno in carcere

Un paragrafo a parte merita l’uso di psicofarmaci da parte dei giovani detenuti: una situazione analoga a quella del Ferrante Aporti già denunciata a lavialibera da Gallo. Anche al Lorusso-Cutugno gli studenti – supportati da Vincenzo Villari, psichiatra e psicoterapeuta – hanno riscontrato “una prevalenza rilevante di dipendenza da psicofarmaci nella popolazione di giovani adulti del carcere”. Il fenomeno riguarda soprattutto molecole con azione sedative e ansiolitica, come le benzodiazepine. Una parte di detenuti riceve la prescrizione prima dell’ingresso in istituto, in altri è successiva all’entrata in carcere.

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Farmaci di cui l’uso cronico, secondo gli autori della ricerca, andrebbe evitato. Inoltre, la prescrizione di farmaci all’interno della casa circondariale non sempre risponde a specifiche diagnosi ma “può avere il ruolo di attenuare alterazioni comportamentali e aggressività rappresentando più che una cura a uno specifico disturbo, una forma di controllo del comportamento finalizzato al mantenimento dell’ordine”. "La casa circondariale di Torino soffre da anni di gravi carenze strutturali e di personale, quindi non può essere un luogo adatto a soddisfare le esigenze dei giovani reclusi. L'analisi dei risultati qualitativi evidenzia una condizione di abbandono e un trattamento senza alcuna particolare attenzione verso i ragazzi", conclude la garante.

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