Foto di Gras Grun/Unsplash
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Spaccio e consumo di sostanze, il carcere non è la soluzione

Negli istituti di pena italiani il 34 per cento del totale dei detenuti è recluso per aver violato le normative sulle droghe, ma in cella finiscono soprattutto i "pesci piccoli", mentre i vertici del narcotraffico continuano ad arricchirsi. La Germania sembra averlo capito ed è pronta a legalizzare la cannabis

Andrea Oleandri

Andrea OleandriResponsabile comunicazione di Antigone

25 agosto 2023

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Nei giorni a cavallo di ferragosto, la Germania ha compiuto il primo passo verso la legalizzazione della cannabis. Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera alla proposta presentata dal ministro della Salute Karl Lauterbach del partito socialdemocratico (Spd), che consentirebbe a ogni adulto di possedere legalmente 25 grammi di cannabis e un massimo di tre piante. La coltivazione sarebbe permessa in appositi club, con una serie di limiti di produzione e consumo, mentre in una fase successiva è prevista la vendita nei negozi cittadini e in distretti selezionati

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Ora è atteso il via libera definitivo del parlamento che, di fatto, renderebbe il paese tedesco il terzo in Europa a seguire la strada della legalizzazione dopo Malta e Lussemburgo. A giustificare la scelta, come ha spiegato lo stesso ministro della Salute, è il consumo crescente fra adolescenti e giovani, che il governo vorrebbe tenere sotto controllo e, quantomeno, rendere più sicuro. Inoltre, vi è la volontà di infliggere un duro colpo alla criminalità organizzata e al mercato nero.  

In Germania, si attende l’ok del parlamento per legalizzare la cannabis. Il governo vuole tenere sotto controllo il consumo e renderlo più sicuro

Un approccio completamente opposto a quello in vigore in Italia dove, da oltre 30 anni, le politiche sulle droghe sono di stampo proibizionista e criminalizzante, con ripercussioni anche sulle carceri. Sono, infatti, circa 20mila le persone recluse negli istituti di pena – a fronte di 57mila presenze, il 34 per cento del totale di tutti i ristretti – per aver violato le normative sulle droghe. Un numero altissimo, che viaggia molto al di sopra della media europea, ferma al 18 per cento, e che contribuisce in maniera concreta al sovraffollamento. 

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Proprio le politiche sulle droghe, nel 2013, hanno portato alla condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha certificato il trattamento inumano e degradante registrato nelle carceri nostrane. All’epoca, prima che venisse abolita per incostituzionalità, era ancora in vigore la legge Fini-Giovanardi, che prevedeva condanne draconiane, cancellando i reati di lieve entità e alzando le pene per i reati legati alle droghe “leggere”. Il numero delle persone in carcere per questo reato aveva oltrepassato il 40 per cento del totale dei detenuti, che in quegli anni erano più di 68mila.

Un approccio fallimentare

Solo poche settimane fa è stato presentato il XIV Libro Biancosulle droghe, un rapporto indipendente realizzato da diverse organizzazioni, fondamentale per analizzare e fare il punto sull’impatto delle politiche in materia. Il bilancio è fallimentare, proprio come quello della “guerra alla droga, sia a livello globale che italiano. L’utilizzo del sistema penale come principale strumento per affrontare una questione tanto complessa qual è il traffico e il consumo di sostanze – a oltre 30 anni di distanza dall’approvazione del Testo unico sugli stupefacenti avvenuta nel 1990 – ha portato a numeri impressionanti per quanto riguarda carcerazioni e segnalazioni alle prefetture, senza incidere sulla riduzione dei consumi né tantomeno dei traffici illeciti. 

L’utilizzo del sistema penale ha portato a numeri impressionanti di carcerazioni e segnalazioni alle prefetture, senza incidere sulla riduzione dei consumi e dei traffici illeciti

Questo perché, come evidenzia bene il documento, a essere perseguiti sono soprattutto i reati meno gravi, commessi da persone che non occupano posti di vertice nelle organizzazioni criminali. Sui 56.196 detenuti presenti in carcere al 31 dicembre 2022, 12.147 erano accusati di avere violato l’articolo 73 del Testo unico, che consente di perseguire soprattutto reati di spaccio e di produzione di piccola scala. Ben diversi sono i numeri se si guarda ai reati più gravi di traffico illecito, puniti dall’articolo 74: 1.010 persone sono in carcere per la violazione di questa norma, mentre altri 6.126 sono in associazione con l’articolo 73. 

La repressione “grazia” i narcotrafficanti

La repressione colpisce maggiormente la cannabis, a cui si deve il 75,4 per cento delle segnalazioni. Più lontane la cocaina (18,1 per cento) e l’eroina (4,2 per cento). Dal 1990 oltre un milione di persone sono state segnalate per possesso di derivati della cannabis, con il 38 per cento di tali segnalazioni che sfocia in una sanzione amministrativa: le più comuni sono la sospensione della patente (o il divieto di conseguirla) e del passaporto. 

La repressione colpisce maggiormente la cannabis, a cui si deve il 75,4% delle segnalazioni. Più lontane la cocaina (18,1%) e l’eroina (4,2%)

Queste sanzioni – che riguardano generalmente l’uso personale e quindi il possesso di quantità minime – possono incidere nella vita delle persone, anche a livello lavorativo, ad esempio per chi ha necessità di guidare o effettuare viaggi all’estero. Tra l’altro, la sospensione della patente è indipendente dal fatto che il fermo sia avvenuto mentre si era al volante. 

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I dati confermano dunque come l’attuale legislazione sulle droghe colpisca gli ultimi anelli di una catena criminale più ricca. Non a caso finiscono solitamente in carcere le persone straniere che, così come molti italiani ai margini, con più facilità possono diventare la bassa manovalanza, sacrificabile e facilmente sostituibile, delle organizzazioni dedite al narcotraffico.

A essere perseguiti sono soprattutto i reati meno gravi, commessi da persone che non occupano posti di vertice nelle organizzazioni criminali

Un altro dato fondamentale che emerge dal rapporto è il numero delle persone con diagnosi di tossicodipendenza presenti in carcere. A dicembre 2022 erano 16.845, il 30 per cento del totale dei detenuti, una presenza record mai registrata in precedenza, almeno dal 2006 a oggi. In molti casi queste persone commettono reati di piccola criminalità (spaccio, oppure legati al patrimonio) “necessari” per racimolare i soldi e acquistare le sostanze. Il carcere, però, non è il luogo adatto per loro o, comunque, non dovrebbe esserlo. 

A dicembre 2022, le persone con diagnosi di tossicodipendenza presenti in carcere erano 16.845, il 30% del totale dei detenuti, numeri record mai registrati in precedenza

Negli istituti di pena, i Serd – i servizi delle Asl per il trattamento delle dipendenze patologiche – offrono terapie sostitutive con metadone, che non puntano al recupero della persona senza neppure avviarla in percorsi di disintossicazione. E così, una volta in libertà, molti tornano a commettere nuovi reati, sempre per lo stesso motivo. Affrontare una dipendenza in carcere non è semplice, anche a causa della scarsa presenza di servizi di supporto psicologico e psichiatrico. Accade quindi che queste persone facciano utilizzo di psicofarmaci di vario tipo, il che non giova alla salute fisica e mentale.

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