Frederic Jaeger a Torino. Foto: Marco Panzarella
Frederic Jaeger a Torino. Foto: Marco Panzarella

Droga, Frederic: "Aiuto gli altri a non farsi più male"

Frederic Jaeger vive ormai da anni a Torino e fa il peer supporter: consiglia gli altri, ascolta, aiuta i servizi di bassa soglia a capire cosa serve alle persone ai margini

Natalie Sclippa

Natalie SclippaRedattrice lavialibera

25 novembre 2022

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Da più di vent’anni Frédéric Jaeger vive in strada, entrando e uscendo dal carcere. Ha cominciato a spacciare e usare eroina da giovanissimo: "Mi passava talmente tanta roba tra le mani, che a un certo punto mi sono chiesto come mai tutta questa gente si drogasse". Quando ha incontrato gli educatori si è avvicinato alla cultura e, da detenuto, ha intrapreso un percorso di disintossicazione.

Droghe, una mano tra pari

Oggi Fréderic è un peer supporter, figura che vive situazioni di illegalità ed emarginazione, che per sopravvivere sviluppa competenze capaci di aiutare le persone in difficoltà. "È facile entrare in sintonia con chi vive un disagio, basta una cosa semplice, l’ascolto, e quando parlo sono credibile. Esistono dinamiche che chi ha una casa o non ha dipendenze difficilmente può capire". Fréderic lo incontriamo a Torino, dove oltre al peer supporting, coltiva la passione per la musica.

Come hai capito che potevi essere d’aiuto agli altri?

Attraverso le esperienze vissute, ho compreso che mi drogavo per trovare una scappatoia dalle responsabilità. Quando inizi, cerchi solo una scusa per continuare. Poi ho incontrato gli educatori, mi hanno trasmesso la passione per la letteratura ed è avvenuto un cambiamento. Mi sono chiesto se era giusto continuare a vivere come uno zombie, finalmente avevo trovato il coraggio di affrontare la realtà.

Perché hai scelto di fare il peer supporter?

Per scardinare una chiusura mentale e fare in modo che le persone si fidino e si facciano aiutare; non devo convincerli a smettere, ma posso evitare che si procurino ancora più male. Per questo motivo studio e parlo di riduzione del danno e del rischio. Un esempio pratico può essere utile a comprendere: in tutti questi anni non ho preso l’Hiv perché ho sempre utilizzato siringhe monouso, ma molte persone non avevano idea di quali rischi stessero correndo usando un'unica siringa.

C’è un episodio degli ultimi anni che ti ha particolarmente segnato?

Era notte e un uomo vicino a me si stava drogando, quando mi ha detto che in fin dei conti non aveva fatto mancare nulla alla sua famiglia. Mi sono arrabbiato e gli ho risposto: "Sono le due del mattino, hai due figli e uno di loro potrebbe avere un incubo e svegliarsi. Chi c'è ad abbracciarlo e a dirgli che è stato solo un brutto sogno?". Ho deciso di rendere conto solo a me stesso, ma c’è sempre un prezzo da pagare.

Quando hai iniziato questo lavoro?

Era il 2010, cominciava a diffondersi l’idea che i pari potessero essere fondamentali per i servizi di bassa soglia. Sono convinto che oltre alle competenze di medici, educatori e assistenti sociali servano figure che il contesto lo vivono, sappiano cosa cercare e dove guardare. Ho partecipato a corsi per centinaia di ore, ma non è mai abbastanza, quando incontro le persone è più facile instaurare un dialogo, capiscono che non sono lì per insegnare, ma per aiutarli.

Da lavialibera n°17

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