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29 maggio 2025
Migranti in transito o stanziali, spesso provenienti dai paesi del Nord Africa, dai Balcani e dalla Medio Oriente. Persone ai margini ed esclusi, che si recano in giornata a Rogoredo, o vi si fermano per qualche giorno perché sanno che lì troveranno crack o eroina. Rogoredo è un quartiere periferico a sud-est di Milano, da anni considerato la piazza dell’eroina, anche se da qualche anno la sostanza più diffusa è il crack.
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“Da due anni assistiamo a un aumento del consumo di crack – spiega Rita Gallizzi, responsabile dell’area consumi abusi e dipendenze di cooperativa Lotta – tant’è che abbiamo cominciato a distribuire stagnole invece che siringhe”. La Regione Lombardia ha deciso di finanziare una serie di interventi a Rogoredo, ma altre zone della città meritano attenzione, ad esempio le aree prossime alla stazione centrale. “La vera emergenza non è la droga, ma la resistenza a dare risposte concrete, umane e strutturate”, dice Andrea Travagin, operatore dell’unità mobile di strada di cooperativa Lotta.
Di Rogoredo si parla con insistenza dal 2014, quando è stato coniato l’appellativo di “boschetto dell’eroina”, ma in realtà il quartiere è sempre stato un luogo “dentro, ma fuori” dalla città, separato da raccordi autostradali, binari ferroviari e una grande area verde. La zona “ideale” per spacciare e consumare. Oggi, a distanza di dieci anni, qualcosa è cambiato. Le aree di consumo si sono spostate verso zone più nascoste e difficili da raggiungere, lontane dalla stazione e protette dalla vegetazione. Sono cambiate anche le sostanze consumate e i fruitori, che in quell'area sono per lo più persone provenienti da Nord Africa, Pakistan, Sri Lanka, India e Bangladesh, ma anche dai Balcani.
Di Rogoredo si parla con insistenza dal 2014, quando è stato coniato l’appellativo di “boschetto dell’eroina”, ma in realtà il quartiere è sempre stato un luogo “dentro, ma fuori” dalla città
“Le persone provenienti soprattutto da Nord Africa e Mezzaluna fertile principalmente fumano – aggiunge Travagin – e in parte associo a questo il cambiamento che stiamo osservando, perché fino a qualche anno fa l’idea di fumare era quasi assente. Oggi, invece, il crack è tra le sostanze più richieste, persino tra chi ha sempre usato eroina per via endovenosa. Molte persone destinano parte dei soldi proprio al crack, è una trasformazione significativa per contesti come Rogoredo”.
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“A Rogoredo vedo ragazzi giovanissimi, potrebbero essere appena maggiorenni. Ho notato che la relazione di aiuto sta diventando più complessa, un tempo chi consumava eroina ti cercava, si fermava a parlare e in qualche modo si riusciva ad agganciare almeno una persona, mentre adesso questo non avviene più”.
L’aumento del consumo di crack su scala nazionale non è una novità. Lavialibera osserva il fenomeno dal 2023 e anche la relazione annuale 2024 al parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze lo conferma: il 55 per cento delle prese in carico presso i Serd (Servizio per le dipendenze patologiche) riguarda crack e cocaina. In Lombardia, secondo i dati forniti dalla Regione, nel 2023 sono stati 14.323 i pazienti presi in carico dai Serd regionali per dipendenza da cocaina.
Nel 2024 in Italia, il 55 per cento delle prese in carico nei Serd erano correlate al consumo di crack e cocaina
Tuttavia, sul territorio milanese non ci sono dati certi e aggiornati e mancano informazioni sul metodo di assunzione. Nella maggior parte dei casi le informazioni non tengono conto del metodo di utilizzo della sostanza e diventa complesso sapere esattamente quanta cocaina viene utilizzata come crack, che per l’appunto è una sostanza ricavata attraverso processi chimici dalla cocaina. “Non parlerei di emergenza in senso classico – dice Gallizzi – perché stiamo assistendo a una trasformazione ormai strutturale del consumo. Da tempo notiamo lo spostamento verso il crack, un trend assolutamente consolidato. Non a caso ci chiedono sempre di più presidi legati al crack e non all’eroina”.
“Da una parte c’è la volontà politica di consolidare le misure messe in campo dal progetto Parchi, ma dall’altra c’è resistenza e cautela. La Lombardia è un po’ conservatrice nei suoi modelli”, spiega ancora Gallizzi, che cita il progetto commissionato dall’Ats (Azienda tutela della salute Città metropolitana di Milano) che dal 2023 si concentra nell’area al confine con il Comune di San Donato milanese, adiacente alla stazione di Rogoredo e al Parco Porto di Mare, che mira a gestire dal punto di vista socio-sanitario e sociale l’impatto dovuto alla presenza di una “scena aperta” di consumo e spaccio di sostanze.
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Rogoredo a parte, altri luoghi cittadini sembrano essere stati dimenticati. Come ad esempio, l’area della stazione centrale, che ufficialmente fa parte del piano “Grave emarginazione” del Comune di Milano, ma che è priva di qualunque presidio legato al consumo. Numeri altissimi di persone in grave situazione di marginalità, per lo più migranti, transitano per quelle aree, come spiega Maurizio Patrignani, coordinatore dell’unità mobile del centro Sammartini: “In questi anni siamo più volte intervenuti nei tunnel che costeggiano via Sammartini. Questi sottopassaggi sono spesso occupati da migranti senza fissa dimora che fanno largo uso di crack”.
“Ci vuole un certo coraggio politico per sostenere i modelli di riduzione del danno, perché contrastano l’approccio securitario che ha solo aumentato stigma e marginalità”, dice l'assessore comunale al Welfare Lamberto Bertolè
“Si tratta di una zona complessa anche per le caratteristiche delle persone che la abitano – aggiunge Gallizzi – c’è una commistione di consumo e abusi, con vita di strada molto problematica, ma al momento progetti che puntano alla riduzione del danno non ne esistono”. Sul tema, durante un recente convegno organizzata dalla rete Elide, è intervenuto l’assessore comunale al Welfare Lamberto Bertolè: “Ci vuole un certo coraggio politico per sostenere i modelli di riduzione del danno, perché contrastano l’approccio securitario che ha solo aumentato stigma e marginalità”.
I modelli di riduzione del danno mettono al centro la persona, riconoscendole il diritto all’autodeterminazione. Questo significa che la scelta di smettere ed entrare nella rete dei servizi deve partire dal consumatore, senza alcuna forzatura. Ma compiere un passo simile in una città come Milano che tende a respingere, più che accogliere, rende tutto molto complicato. “Vorrei che ragionassimo sull’ambiente che circonda queste persone – dice Travagin –, sempre più espulsivo, che mette ai margini. Stiamo parlando di persone che non hanno punti di riferimento, con un background migratorio assai complesso”.
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Il caso delle cosiddette “zone rosse” è emblematico. Si tratta di aree urbane considerate ad alto rischio per spaccio o consumo di droghe, in cui la risposta è spesso esclusivamente securitaria. In questi spazi, chi vive ai margini è ulteriormente stigmatizzato e allontanato. “La droga può amplificare comportamenti aggressivi, specialmente nella fase di astinenza che è fortissima, ma la verità è che queste persone sono già schifate da tutti. Si rifugiano nella sostanza, diventano aggressive e vengono respinte ancora di più. È un meccanismo che si autoalimenta”, sostiene Travagin.
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“Trovare l’equilibrio tra la richiesta di sicurezza da parte dei cittadini e i bisogni umani non è semplice – conclude Gallizzi - e il rischio in molti casi è che la repressione prenda il posto della cura. Servono tavoli di lavoro stabili, in cui prefettura, terzo settore, enti locali e cittadini possano confrontarsi”.
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