Luigi Ciotti
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Adolescenti e dipendenze, Luigi Ciotti: "Curiamoci di loro"

Il centro Crisi del Gruppo Abele ha riaperto ai giovani con problemi di dipendenza da alcol e droghe. Al centro del progetto rimane la relazione, l'unica chiave per uscire dalla sofferenza

Luigi Ciotti

Luigi CiottiDirettore editoriale lavialibera

1 luglio 2024

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Di recente abbiamo riaperto una struttura del Gruppo Abele che aveva chiuso subito prima della pandemia: il Centro crisi. A lungo aveva accolto persone senza dimora e con problemi seri di dipendenza da alcol e droghe, per un periodo di tregua dalle asprezze della vita di strada e dai consumi di sostanze, soprattutto l’eroina. Ma ci eravamo accorti che le cose stavano cambiando. Cambiavano le persone che incontravamo, le loro storie, i loro bisogni. Cambiavano le sostanze utilizzate, e soprattutto i modi e i motivi. Dai nostri osservatori sulla strada, nelle scuole, fra le famiglie, notavamo nuove forme di consumo farsi largo fra i giovani, e un nuovo disorientamento, non sempre legato alle droghe, che faticava a essere riconosciuto e affrontato dal mondo adulto.

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Per questo ci siamo chiesti: cosa sta succedendo? Possiamo continuare a rispondere a problemi inediti con le letture e gli interventi di prima? Abbiamo scelto di fermarci, osservare, studiare, e poi provare ad aprire un percorso diverso, figlio certo delle esperienze del passato, ma attento a cogliere le fragilità del presente in tutte le loro sfumature. Un percorso rivolto in particolare ai ragazzi e alle ragazze sotto i 30 anni.

Nessuna svalutazione

Oggi c’è la tendenza a curare i giovani, più che curarsi di loro. Sentiamo il bisogno di diagnosticare e sedare le loro inquietudini. Trattare medicalmente la loro sofferenza per renderla gestibile, descrivibile, innocua. Intendiamoci: non c’è nulla di male nel desiderare che le persone che ci appaiono sofferenti possano sentirsi meglio, per tornare capaci di godere appieno della propria esistenza. Soprattutto quando parliamo dei ragazzi e delle ragazze, cioè esseri umani in una fase della vita che associamo alla spensieratezza, agli incontri, alla scoperta di abilità e passioni. È ovvio che vorremmo vederli felici! Ma sappiamo che adolescenza e giovinezza sono anche il momento dell’esplorazione di sé, per molti fonte di spaesamento, per alcuni, i più sensibili, anche di turbamento e angoscia.

“Le risorse destinate alla prevenzione sono scomparse. E quelle per i servizi si riducono ogni giorno di più”

La tentazione degli adulti, in questi casi, è quella di tenere sotto controllo i sintomi, senza il coraggio di scavare alle radici del male. Ed ecco che ragazzi e ragazze imparano a fare altrettanto: cercano il modo di proteggersi dal dolore, di anestetizzarsi. Con risvolti diversi e spesso terribili, dal ritiro sociale all’abuso di alcol, farmaci e altre sostanze psicoattive. Non possiamo pretendere di curare il malessere dei giovani, se non siamo disposti a curarci maggiormente di loro! Prenderci cura dei loro bisogni affettivi, delle loro domande di senso, degli spazi e dei tempi dedicati alla loro crescita: dalle scuole ai centri di ritrovo informali, ai luoghi per lo sport, l’arte, la musica… Ascoltarli, senza “catalogarli”. Accogliere le loro contraddizioni e le loro sacrosante proteste verso un mondo adulto che li considera spesso cittadini a metà, che non sanno e non capiscono. Dunque, non contano.

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La svalutazione dei giovani, in una società sempre più vecchia, è uno dei motivi – certo non l’unico – che li spinge a isolarsi, perdere fiducia nel domani e cercare conforto in consumi che fanno scattare la trappola della dipendenza. Il guaio, insomma, è quando i giovani per primi ritengono di dover essere curati. Si convincono che a tutto esista un rimedio chimico: alle difficoltà nei rapporti familiari, a un amore finito, agli studi che non ingranano, alla frustrazione per un contesto di vita degradato, alle discriminazioni per l’origine o l’orientamento sessuale. E persino alla semplice infelicità. Allora si affidano alle pillole, magari all’inizio prescritte da un medico con le migliori intenzioni. Che poi però diventano un’abitudine, una necessità. Non più il trattamento della malattia ma la malattia stessa. Oppure ricorrono alle sostanze legali e illegali. L’alcol, le pasticche della notte, il crack

Sostenere la prevenzione

Il nuovo Centro crisi (leggi il reportage "24 ore in crisi") si è rivelato una preziosa finestra sul mondo del malessere giovanile, che lavialibera ha deciso di aprire ai suoi lettori e lettrici. Come tutti i luoghi di incontro è abitato dalla complessità, perché ogni storia è irriducibile, ogni ragazzo e ragazza è unico nel suo stare male. Così come nelle risorse che sa mettere in campo per iniziare a stare meglio.

Abbiamo voluto cambiare, ma la chiave di tutto rimane la stessa: la relazione. È insieme che si esce dal buco nero della sofferenza, per tornare a respirare e sognare. E questo è anche un grande monito per un sistema che sta smantellando sempre più i servizi di prossimità e di cura. Si parla tanto di baby-gang, di spaccio nei quartieri, di popolo della notte o dei rave, ma sono parole spese più che altro a scopo propagandistico. A livello concreto, le risorse destinate alla prevenzione sono scomparse. E quelle per i servizi si riducono ogni giorno di più.

Il nostro è un progetto che vuole restituire speranza, non soltanto a coloro che lo vivono in prima persona, ma anche a tutte quelle persone – genitori, educatori, operatori sociali e sanitari – che continuano a credere in un diverso modo di affrontare i problemi. Anche, ma non soltanto, quelli con le droghe.

Da lavialibera n°27

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