Aggiornato il giorno 12 marzo 2024
"Il crack è la droga del nostro tempo: distacca, anestetizza, aliena ma scalda e riempie, non ti serve nient’altro", parola di Z., operatore sociale che ne fa uso da una decina di anni. C., trentenne laureato, al momento senza impiego, non usa parole molto diverse: "Fa dimenticare tutti i problemi, è la mia maniera per evadere". Sarebbe troppo facile ricorrere allo stereotipo che collega con una linea retta una delle droghe più consumate dei nostri tempi all’inadeguatezza di persone giudicate problematiche, devianti o alla costante ricerca di una scappatoia dalla realtà. Di fronte alla complessità di un fenomeno vasto e sfaccettato, il dibattito e lo “scandalo” sul crack si concentrano esclusivamente sull’uso visibile e di strada della sostanza, ignorando una vastissima platea di utilizzatori che lo assumono in spazi privati, al di fuori dei radar dell’opinione pubblica. Si tratta spesso di persone senza alcun profilo particolare: il vicino di casa, l’amica, il collega, lo studente universitario, tutte persone più o meno lontane dal cliché del drogato.
È innegabile che ci sia una netta correlazione fra integrazione sociale ed etnica, condizioni socio-economiche difficili, vita di strada e uso di crack. Ma cercare di capire i meccanismi che spingono all’assunzione e i loro intrecci serve a non inciampare nel luogo comune che costringe l’utilizzatore nell’immagine di un individuo corrotto nello spirito, incapace di vivere le emozioni in modo “sano”, insomma solo un reietto da compatire.
Una cosa è certa: dal 2011 al 2021, è sensibilmente aumentata la percentuale di persone segnalate perché in possesso di cocaina e crack, salita dal 13 al 20 per cento del totale, mentre è diminuito il numero di segnalazioni per possesso a uso personale di eroina e altri oppiacei/oppioidi (il che non vuol dire che l’uso di questi sia realmente diminuito), passando dal 10 al 5 per cento circa. Non solo, perché sempre nel 2021, la maggior parte (44,5 per cento) delle denunce per reati droga-correlati ha riguardato la detenzione di cocaina/crack, il 41,1 per cento cannabis e derivati, il 7,9 per cento eroina/altri oppiacei e l’1,3 per cento le sostanze sintetiche; il restante 5,2 per cento altre droghe. Nello stesso anno, la stragrande maggioranza delle persone prese in carico dalle strutture per la riabilitazione e il trattamento è risultata essere un policonsumatore che usa cocaina o crack come sostanza primaria (seguono alcol, eroina e altri oppioidi).
Ma basta tutto questo per parlare di un’emergenza? Quanto sono affidabili questi dati? La cocaina può essere utilizzata in tre modi: per via intranasale, per via endovenosa e, tramite un semplice processo, consumata dopo essere stata trasformata in crack (cocaina base). Le informazioni relative alla cocaina in generale ci sono e sono facilmente rintracciabili, ma il più delle volte si tratta di dati che non differenziano tra cocaina cloridrato (la più nota) e crack, mettendo assieme metodi di utilizzo connotati dal punto di vista culturale in modo assai diverso. Il mondo di coloro che utilizzano cocaina cloridrato per via intranasale non sempre si intreccia con quello di chi usa cocaina base. In secondo luogo, è difficile ottenere dati affidabili sul fenomeno perché esiste una fetta consistente di utilizzatori che provvedono da sé alla trasformazione del cloridrato in base. A ciò si aggiunge una terza via di utilizzo, ovvero quella per via endovenosa. Tirando le somme, capire quanta della cocaina venga utilizzata come crack è un puzzle di difficilissima soluzione, ma resta un punto cruciale per comprendere fino in fondo la natura e la portata del fenomeno in questione
La mancanza di informazione a proposito dell’uso di crack è paradossale, se messa in relazione con la grande diffusione della sostanza. Nel 2021, quasi la metà di denunce per reati droga-correlati ha riguardato la detenzione di cocaina/crack (44,5 per cento), così come cocaina o crack rappresentano il consumo primario per oltre la metà dei policonsumatori incarcerati e per la maggior parte delle persone che sono state accolte nelle strutture riabilitative per dipendenze. Ma questa è solo la parte visibile del fenomeno, perché problematica. L’utilizzo domestico della sostanza è il più diffuso, eppure è anche quello che resta imperscrutabile perché lontano dai riflettori.
Oggi la sostanza è diffusa all’interno di una popolazione sempre più trasversale per età, classe sociale, stile di vita, subcultura di appartenenza, etnia, genere. Usano crack persone legate al mondo della strada, ma anche chi frequenta bar e luoghi del divertimento notturno – dai club ai rave.
Oggi la sostanza è diffusa all’interno di una popolazione sempre più trasversale per età, classe sociale, stile di vita, subcultura di appartenenza, etnia, genere. Usano crack persone legate al mondo della strada, ma anche chi frequenta bar e luoghi del divertimento notturno – dai club ai rave. Non esistono connotazioni marmoree, solo un insieme fluido di stili di vita all’interno dei quali l’uso della molecola può avere un ruolo più o meno centrale. Ma perché proprio il crack? Soprattutto perché può rimanere una questione privata: sai di non violare il tuo corpo con aghi e, almeno inizialmente, senti di appartenere a un gruppo di persone che può smettere di usarlo quando vuole. Per di più il crack è comodo, si può consumare in qualunque momento e in qualsiasi posto.
Fentanyl, il governo lancia l'allarme, ma l'emergenza non c'è
Il crack solo raramente è la prima sostanza psicoattiva che le persone usano nella loro vita. Non esiste una traiettoria predefinita che porta al suo utilizzo o una molecola che come un ponte conduca al crack. Chi lo usa può provenire dal mondo delle party drugs, come mdma, amfetamina (speed), ketamina, ovvero le sostanze più diffuse nei luoghi del divertimento notturno. Alcune persone passano dalla cocaina in polvere a quella fumabile, altre prima del crack usano solamente alcol e/o cannabis. Esiste pure una frattura tra chi “pippa” coca – anche spesso – e chi compie il balzo verso la coca basata (crack): i primi stigmatizzano i secondi. Nelle comunità di stranieri possono esserci persone che scoprono la sostanza una volta arrivate in Italia, ma che nei paesi di origine o durante i tragitti hanno già sperimentato l’uso di molecole quali benzodiazepine (Rivotril su tutte) o tramadolo.
Si può usare nel weekend e nel giorno di paga, ma l’uso continuativo non è automatico
Racconta E., una donna di trent'anni che gestisce un'attività commerciale: "Frequento i rave da quando ero alle scuole superiori. In triennale la sostanza che usavo più spesso era la ketamina. Ma non solo: anche altre sostanze quando andavo in festa (termine gergale che indica i rave, ndr). Poi ho iniziato ad apprezzare il crack e a fumarlo più spesso, rinunciando ad altro".
Dal momento in cui il crack entra in gioco, i percorsi individuali possono differenziarsi: c’è chi continua a usare anche altro e chi invece elimina progressivamente dalla propria vita le altre molecole in favore della cocaina base. Z. ad esempio non ha escluso altre sostanze: "Se vado a ballare prendo speed, md, ketamina, mentre il crack mi capita di usarlo soprattutto a casa, come anche gli oppioidi".
Solo di rado il crack viene utilizzato da solo, mentre è molto più diffuso il policonsumo, ad esempio con alcol, poiché l’unione di queste due molecole porta alla formazione del cocaetilene, metabolita tossico della cocaina che aumenta la durata dell’esperienza e smorza gli effetti ansiogeni. La difficile fase della discesa viene poi spesso affrontata tramite l’assunzione di oppiacei/oppioidi, alcol, cannabinoidi e benzodiazepine. Chi partecipa alla vita notturna e ai free party spesso utilizza anche la ketamina. A questo proposito Z. sostiene che "se non hai il downer (una sostanza usata per accompagnare la “discesa”, ndr) hai due ore in cui stai di merda e devi sforzarti per non andare a prendere altra coca. Il flash (il picco euforizzante che si prova a seguito dell’assunzione, ndr) deve essere pulito se è quello che cerco. Però dopo quindici o venti minuti in cui sto bene, ci butto ketch (ketamina), benzo (benzodiazepine) o oppiacei. Magari non vai a dormire, ma non sei agitato. Senza, sarebbe dura scendere".
Esiste una varietà di modelli di utilizzo non riconducibili alla sola dipendenza. Si può usare crack durante il weekend, così come nel giorno di paga, all’interno di una quotidianità lavorativa e relazionale. è una danza certamente pericolosa, ma l’ingresso nel mondo dell’uso continuativo è tutt’altro che automatico. Una persona che usa crack può considerare e interpretare la propria frequenza d’utilizzo in modo molto individuale: il concetto stesso di “uso problematico” andrebbe declinato sul singolo caso. Il rischio che la sostanza assuma un ruolo primario nella vita delle persone è comunque alto: può avvenire che si concentri in alcuni periodi della vita o che si trasformi in un utilizzo totalizzante che aumenta man mano la sua portata.
Riuscire a smettere: l'inchiesta sullo stato dei servizi per le dipendenze in Italia
Per capire il condizionamento mentale indotto dalla sostanza è necessario introdurre il concetto di craving. Il termine indica la compulsione che porta a una fortissima necessità di assumere la sostanza nel momento in cui il suo effetto inizia a calare. Nel caso del crack, il craving è fortissimo, la sostanza “sale” immediatamente, ma i suoi effetti sono di breve durata.
Quando il crack “scende”, si fanno spazio nella mente della persona emozioni negative molto forti, contrastanti e profonde. Sorge un groviglio di paranoia e sensi di colpa, unito a un senso generale di insicurezza, nervosismo e fragilità. L’assunzione in caso di dipendenza tende dunque a essere continua.
"Il crack è la sostanza che uso e odio di più, è infimo, puoi andare avanti a fumare e pensare che vada tutto bene quando all’improvviso ti ritrovi con le psicosi e senza soldi. Il campanello d’allarme rischia di arrivare troppo tardi"
Un utilizzatore occasionale non è al riparo da questo vortice emotivo, ma il craving si presenta in modo molto più leggero e le emozioni negative sono estremamente più tollerabili.
Z. lo descrive così: "Il crack è la sostanza che uso e odio di più, è infimo, puoi andare avanti a fumare e pensare che vada tutto bene quando all’improvviso ti ritrovi con le psicosi e senza soldi. Il campanello d’allarme rischia di arrivare troppo tardi. È un ninja, non un vichingo, finché non ti ammazza non lo vedi".
Se un uso controllato e saltuario può essere ampiamente sostenibile, l’utilizzo quotidiano e continuativo di crack genera gravi effetti sulla vita della persona: spesso i rapporti sociali finiscono per lacerarsi, il lavoro può risentirne, la costante necessità di denaro può portare le persone a procurarselo con espedienti illegali. S., commerciate, ammette: "Per forza di cose, in alcuni periodi della vita ti trovi a delinquere per acquistare la sostanza. Spacci, commetti furti e qualche estorsione".
Politiche antidroga, attenzione sulle nuove sostanze: provocano un terzo delle overdose
Il rapporto degli utilizzatori di crack con i servizi per le dipendenze è complesso. Molte persone non si rivolgono a Serd o altro, anche se stanno attraversando un periodo critico. I motivi possono essere differenti, a partire dall’assenza di una dipendenza fisica, alla mancanza di terapie farmacologiche efficaci, il timore dello stigma, la generica convinzione che non possa esserci forma di comprensione, aiuto o sostegno, pratico e psicologico per questo problema. I consumatori di crack ancora oggi restano spesso fuori dai radar dei servizi e rischiano di rimanere soli nell’affrontare situazioni complesse. I centri a bassa soglia e le realtà legate alla riduzione del danno in questo senso riescono ad agganciare e sostenere gli utilizzatori, i quali, in un ambiente non basato sugli obblighi contrattuali del rapporto medico-paziente, possono più facilmente esprimere le proprie necessità.
L’allarmismo che avvolge l’uso di crack è nemico di un’informazione corretta e puntuale. Mantenere un approccio volto soltanto a sottolineare l’aspetto emergenziale, spesso impedisce alle persone di emergere dall’invisibilità e chiedere aiuto se ne avvertono la necessità. Così come esiste un utilizzo episodico del crack, ci sono persone che usandolo con costanza vedono, giorno dopo giorno, lacerarsi la propria vita. Per chi fa un uso problematico o ne abusa, la paura del pregiudizio rappresenta spesso la ragione principale per non chiedere informazioni. Ma affrontare in solitudine dubbi e problemi porta quasi sempre al peggioramento delle condizioni di vita e allontana le possibilità di una ripresa. Solo politiche sociali aggiornate e pragmatiche, in un’ottica di analisi continua dei contesti e degli andamenti, possono trovare soluzioni che vadano incontro alle necessità delle persone, informando senza terrorizzare o demonizzare anche giovani e giovanissimi, e fornendo un vero sostegno a chi ne ha bisogno.
Crediamo in un giornalismo di servizio a cittadine e cittadini, in notizie che non scadono il giorno dopo. Aiutaci a offrire un'informazione di qualità, sostieni lavialibera
La tua donazione ci servirà a mantenere il sito accessibile a tutti
Record di presenze negli istituti penali e di provvedimenti di pubblica sicurezza: i dati inediti raccolti da lavialibera mostrano un'impennata nelle misure punitive nei confronti dei minori. "Una retromarcia decisa e spericolata", denuncia Luigi Ciotti
La tua donazione ci servirà a mantenere il sito accessibile a tutti