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9 dicembre 2025
“Con la musica un artista può trasformare il dolore in bellezza. Il rap fa proprio questo: permette a ragazze e ragazzi di raccontare e condividere una storia che prima era solo intima”. Ne è convinto il rapper torinese Marco “Zuli” Zuliani, classe 1980, attivo nella scena dai primi anni Novanta, ideatore di Rapterapia, un metodo educativo che utilizza il rap per aiutare giovani, persone con disabilità, rifugiati e minori in carico ai servizi sociali a esternare le proprie emozioni, trasformando il vissuto in musica e la musica in consapevolezza.
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Una metodologia innovativa, riconosciuta anche dall’Università di Torino, che dopo una ricerca durata due anni ne ha certificato l’efficacia anche rispetto ad altri approcci. “Il metodo si articola in sei passaggi – spiega Zuli – che puntano a tradurre in maniera fruibile un processo, le azioni che l’artista compie quando decide di dare forma ai suoi pensieri. Dalla scrittura alla registrazione della propria voce, fino all’esibizione in pubblico, che è il momento in cui avviene la vera trasformazione: una storia personale diventa qualcosa che si ha voglia di diffondere agli altri”.
“Ho cercato di rendere fruibile tutto ciò che accade nella testa di un’artista, che attraverso le sue canzoni ha la possibilità di trasformare la realtà”
L’esperienza è nata una decina di anni fa, dopo l’incontro tra Zuli e don Domenico Cravero, psicoterapeuta e sociologo, molto attivo nel territorio piemontese. “Mi chiese di incontrare i suoi ragazzi all’inaugurazione di una comunità di Carmagnola – ricorda Zuli – e proprio da quell’incontro cominciammo ad avviare delle attività di volontariato con ragazze e ragazzi delle comunità terapeutiche di Terra Mia, creando insieme della canzoni attraverso il rap”.
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Visto il successo, l’idea iniziale nel tempo si è strutturata. “Ho pensato a un metodo che rendesse fruibile tutto quello che solitamente accade nella testa di un’artista quando si ispira, scrive le canzoni e trasforma la realtà. Per questi ragazzi che hanno un sacco di robe da dire sono diventato una sorta di ghost writer. Fin dall’inizio erano entusiasti di incontrarmi, molti di loro conoscevano i miei brani”.
Tra le sfide di Rapterapia c'è anche quella di andare oltre la narrazione mainstream che considera il rap la musica dei violenti, e quindi quanto di più lontano possa esserci dall’educazione. “Rap e trap utilizzano il linguaggio di una società violenta – dice Zuli – ma entrambi i generi non vanno demonizzati perché riescono ad agganciare ragazze e ragazzi, che si esprimono attraverso questo canale comunicativo. Noi lo sapevamo e adesso ne sono consapevoli anche le istituzioni”.
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“In tanti giovani percepiamo un forte senso di rabbia – aggiunge Mariangela Rizzo, formatrice educativa del progetto – e per molti di loro è sorprendente scoprire un linguaggio capace di convertire i sentimenti in forza. In fondo, l’arte si è sempre nutrita delle fragilità ed è proprio dalle fragilità che nascono le bellezze più grandi e autentiche”.
Paola Ricchiardi, professoressa associata di Pedagogia sperimentale all’Università di Torino, con il suo team ha seguito la ricerca che ha portato alla validazione scientifica di Rapterapia, riconosciuto come un valido strumento terapeutico ed espressivo. “Un tratto distintivo del metodo – spiega – è l’autorevolezza basata sulla presenza dell’artista. I giovani riconoscono a un adulto autorevole una capacità artistica e ciò li invoglia a seguire il percorso".
“L’arte si nutre da sempre delle fragilità, ma è proprio dalle fragilità che nascono le bellezze più grandi e autentiche”
"Durante gli incontri – continua Ricchiardi – sviluppano un processo critico e consapevole, la scrittura è vista come l’inizio di una riflessione profonda che in un certo senso determina una stabilità. È come se si trovassero a rispondere a domande del tipo: Quale persona voglio essere? Quale contributo voglio dare al mondo?".
"Durante gli incontri sviluppano un processo critico e consapevole, la scrittura è vista come l’inizio di una riflessione profonda che in un certo senso determina una stabilità"
Se è vero che molti brani rap sono rivendicativi, le narrazioni oggetto di analisi sembrano andare oltre. “Questi giovani – conclude la docente – parlano di famiglia, comunità, impegno, autenticità, giustizia ed equità, riflessività e passione. Emerge, ad esempio, che soffrono la competizione della società moderna". Ciò traspare con chiarezza nel brano intitolato Pagine bianche: "In questo mare di competizione non vedo vie verso il traguardo…per questo ho scelto di cambiare sguardo”.
I laboratori di Rapterapia sono organizzati dall'associazione di promozione sociale Large Motive, fondata nel 2015 da Zuli, che nel 2019 ha dato vita a un'etichetta discografica – Large Motive Records – che raccoglie i brani realizzati da ragazze e ragazzi durante gli incontri e li diffonde sulle principali piattaforme digitali.
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