Una scena dal videoclip di "L'ignoranza è figa" de Il parto delle nuvole pesanti.
Una scena dal videoclip di "L'ignoranza è figa" de Il parto delle nuvole pesanti.

"L'ignoranza è figa", tra musica e denuncia

Il brano della band bolognese Il parto delle nuvole pesanti, contenuto nell'ultimo album Sottomondi, racconta una deriva della società moderna, dove gli abitanti di un inventato paese dei balocchi scelgono di non leggere

Sergio Cimmino

Sergio CimminoGiornalista

21 agosto 2024

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A Sdragana, paese inventato ma possibile, gli abitanti hanno capito che per raggiungere successo e potere non serve leggere i libri, ma imporsi con arroganza e velocità. L’importante è fare proseliti e creare consenso. È questo il cuore di “L’ignoranza è figa”, il brano dell’ultimo disco “Sottomondi” della band bolognese Il Parto delle nuvole pesanti. In un mondo surreale, vivono marionette, animali e persone. “Sempre ignoranti bisogna stare / che piace al sindaco e all’assessore / che piace al premier e al consigliere piace al ministro e al dittatore” si ripetono ridendo gli abitanti di una società in cui si sceglie di non sapere. “A Sdragana è proprio chi ci abita a buttare volontariamente i libri, diversamente da quanto succede in Fahrenheit 451, romanzo di Ray Bradbury, dove vengono bruciati dall’autorità perché leggere è vietato” racconta a lavialibera il gruppo composto da Mimmo Crudo, Salvatore De Siena, Antonio Rimedio, Amerigo Sirianni ed Enzo Ziparo, a cui si è aggiunta per questo brano la voce lirica di Francesca Rini. È uno dei pezzi più irriverenti dell’album, che nel videoclip mette in scena la pericolosa deriva della perdita dei valori sani costruiti sulla cultura e sulla conoscenza, a favore di un mondo sempre più mercificato e vulnerabile.

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Come nasce “L’ignoranza è figa”?

È una canzone che risale all’infanzia in Calabria, quando si giocava a prenderci in giro ripetendo la filastrocca “a e i o u ciuccio bestia sei tu!”. Quello che ci ha colpito è che quel gioco oggi è diventato realtà e sembriamo tutti più asini, un paradosso che viviamo e che ci vede da un lato più alfabetizzati grazie alla scuola e alla lettura, dall’altro più inclini all’ignoranza. È come se collettivamente avessimo più conoscenza, ma poi registriamo un deficit di preparazione a livello di singoli individui. In tutto questo, si inserisce l’arroganza, che ci fa credere di essere tuttologi solo per il fatto di avere facile accesso a internet.

È come se collettivamente avessimo più conoscenza, ma poi registriamo un deficit di preparazione a livello di singoli individui

A Sdragana, il paese dei balocchi che fa da ambientazione a questa canzone, vivono persone e marionette che ballano una sorta di tarantella dell’ignoranza. Quale messaggio volete trasmettere?

In questa città vivono gli Sdraganini, le marionette, e gli Sdraganelli, le persone. Ma nel videoclip questa differenza tende a scomparire. È un gioco di specchi in cui si produce una tale somiglianza tra loro che si fatica a riconoscere chi sia umano e chi fantoccio. Abbiamo voluto rappresentare così il decadimento degli ideali e la prevaricazione degli interessi dei singoli, che sono più vendibili, mercificabili. Una deriva che tenta tanti a vendersi al servizio di chi ha soldi e potere. 

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Nel video ci sono anche i ragazzi e le ragazze delle scuole medie e delle Cucine Popolari di Bologna. Che risposta avete avuto da loro?

Basta vedere la gioia e il divertimento che traspare dal videoclip nei bambini della scuola e nei volontari delle Cucine Popolari per capire come sia stato accolto il progetto. La leggerezza unita al gioco, all’ironia e anche all’innocenza dei bambini credo siano stati gli ingredienti che ha fatto gustare la ricetta e partecipare al video con entusiasmo. Proprio per questo stiamo preparando un progetto per le scuole, per parlare della conoscenza come gioco e ironia, per vedere cosa ne pensano i giovani e come sono cambiate le cose.

“L’ignoranza è figa” fa parte dell’album “Sottomondi”, che racconta storie di bambini, emarginati e immigrati. Qual è il senso di un progetto del genere?

Sottomondi è un album con una storia particolare. È uscito nel 2020, proprio in coincidenza con l’inizio della pandemia e non abbiamo potuto presentarlo all’epoca. Abbiamo pensato di congelarlo, un po’ come si fa con il cibo e scongelarlo in questi mesi per riuscire a far capire quanto di buono potesse esserci all’interno. Il disco racconta quell’umanità caleidoscopica e senza voce, sparsa nel mondo e fatta di bambini, donne, sfollati, immigrati, emarginati, anziani alle prese con la paura della morte. Dieci brani che si aggiungono agli oltre cento pubblicati in altri 12 album. È un giro fatto attorno alla terra a bordo di una navetta guidata da una bambina dalle trecce nere di nome Nina e si compone di canti e musiche che servono per vivere, resistere e cambiare, in un viaggio verso una terra tremante e sofferente ma palpitante e appassionata, timida ma aperta e accogliente, schiacciata ma mai rassegnata, pronta a riscattarsi.

Purtroppo oggi la musica non solo ha perso quel ruolo di stimolo e contributo alla crescita sociale e culturale, ma ha assunto addirittura un ruolo ancillare e, cosa ancora più grave, sta diventando essa stessa causa di diffusione di ignoranza

La vostra musica è impegnata?

Purtroppo oggi la musica non solo ha perso quel ruolo di stimolo e contributo alla crescita sociale e culturale, ma ha assunto addirittura un ruolo ancillare e, cosa ancora più grave, sta diventando essa stessa causa di diffusione di ignoranza. Questo è evidente in certi settori della musica trap e leggera, in cui si sfornano testi aberranti, specie contro le donne trattate come oggetti. Il paradosso è che sono seguiti da un vasto pubblico di ragazze adolescenti che ignorano o sottovalutano il messaggio perverso e maschilista che veicolano. Tutto avviene in una società ancora patriarcale, che di tanto avrebbe bisogno, ma non di sicuro di cantanti che rincarano la dose di misoginia. Noi speriamo che la musica ritrovi anche la sua vocazione artistica ribelle, antagonista, capace di fare emozionare e riflettere. Un modo per ridare senso a quest’arte, che non può essere altro che libertà artistica, che, quando c’è, è già rivoluzionaria. 

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