Chi ha paura di rilanciare il servizio sanitario nazionale?

Le regioni più colpite dalla pandemia avevano sviluppato sistemi sanitari fondati sui modelli assicurativi, privatizzato, rotto la continuità assistenziale. Il Mes costituisce un'occasione unica e irripetibile per ripartire. Perché non approfittarne?

Rosy Bindi

Rosy BindiEx ministra della Salute, presidente Commissione antimafia nella XVII legislatura

28 settembre 2020

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Che la salute fosse un bene comune lo avevano ben capito i padri e le madri Costituenti quando hanno approvato l’articolo 32 della Carta, stabilendo un rapporto di reciprocità inscindibile tra la persona e la società alla quale appartiene: la salute è un diritto fondamentale dell’individuo e un interesse della comunità. Un popolo è in salute se tutti i singoli che lo compongono stanno bene, non solo perché non hanno contratto una malattia, ma perché godono di uno stato di benessere fisico, psichico e spirituale. E ciascun individuo gode di questo stato di benessere perché vive in un contesto sociale e comunitario che produce salute: perché respira aria incontaminata, beve acqua pulita, si alimenta con cibi sani, perché l’organizzazione della sua vita, compresa quella lavorativa e familiare, non prescinde dal rispetto del diritto fondamentale a stare bene. Infatti, se godi di buona salute lavori, viaggi, ti diverti, studi, ti sposi, metti al mondo i figli, partecipi alla vita della società e la tua comunità si avvantaggia e viene edificata dal tuo apporto. La salute è appunto un bene comune che non mette mai in conflitto l’individuo e la collettività, lo Stato e la persona, l’individuo e il suo simile. È un bene che non si consuma, ma cresce e si moltiplica.

Anche noi lo abbiamo capito o, quantomeno, lo abbiamo capito un po’ di più in questi mesi di sfida della pandemia. Abbiamo capito che quando è a rischio la salute dell’individuo e della collettività il mondo può anche fermarsi, anzi si è fermato. Abbiamo capito che la libera circolazione delle malattie impone la libera circolazione dei mezzi per combatterle. Papa Francesco ci ha più volte richiamato all’imperativo morale della fratellanza universale per vincere questa sfida e l’accesso al vaccino sarà la prima prova. Forse riusciremo a fare un passo in più.

Se la salute è un bene comune deve essere garantita e assicurata a tutti senza distinzione alcuna di sesso, di età, di colore della pelle, di appartenenza sociale, di disponibilità economica. Perché questo accada davvero la comunità deve sapersi dotare di un sistema sanitario concepito e organizzato esso stesso come bene comune.

Murales all'ospedale di Bergamo per ringraziare medici e infermieri. Foto Claudio Furlan/LaPresse 16 Marzo 2020
Murales all'ospedale di Bergamo per ringraziare medici e infermieri.
Foto Claudio Furlan/LaPresse 16 Marzo 2020

Solo i sistemi universalistici non creano disuguaglianze 

Non tutti i sistemi sanitari sono bene comune. Certamente non lo sono quelli assicurativi che garantiscono le cure e le prestazioni in base al premio pagato e che si limitano a rimborsare la malattia. Non lo sono neppure quelli mutualistici, che pur introducendo tra gli appartenenti alle varie categorie un vincolo di solidarietà, trasformano il diritto della persona in diritto del lavoratore o comunque dell’iscritto a quella cassa mutua creando evidenti discriminazioni. Non lo sono neppure i cosiddetti sistemi misti che prevedono una serie di servizi garantiti a tutti, ma che poi introducono forme assicurative per ulteriori prestazioni non meno essenziali delle altre. Non è bene comune neppure quella sanità che trasforma il diritto fondamentale dell’individuo in diritto di cittadinanza, escludendo dall’accesso ai servizi gli immigrati regolari o irregolari. Non concepiscono la sanità come bene comune quei sistemi sanitari a prevalente gestione privata, perché affidano un bene tanto prezioso e delicato alle logiche del mercato e riservano alla sfera pubblica una funzione meramente riparatrice di fronte a macroscopiche disuguaglianze. Non è casuale che le conseguenze della pandemia siano state più disastrose in quei Paesi che hanno sistemi sanitari consegnati alle logiche del profitto, dagli Stati Uniti al Brasile.

Non è casuale che le conseguenze della pandemia siano state più disastrose in quei Paesi che hanno sistemi sanitari consegnati alle logiche del profitto, dagli Stati Uniti al Brasile

Che la sanità fosse un bene comune lo aveva capito il legislatore del 1978 che, dopo 25 anni dalla promulgazione della nostra Costituzione, sulla spinta di una grande partecipazione di donne, giovani, lavoratori, intellettuali e medici, mise fine al sistema mutualistico per introdurre un sistema universalistico.

La salute non ha prezzo, ma la sanità ha un costo

Se la sanità è un bene comune ciascuno contribuisce a quel costo in base alle proprie possibilità, e ciascuno ne usufruisce in base al proprio bisogno. A nessuno viene chiesta la carta di credito per l’accesso alle cure, ma neppure il 740, perché non è in base alle tasse pagate che si ha diritto alla presa in carico. E a chi sventola la bandiera dell’insostenibilità economico-finanziaria dei sistemi universalistici si risponde con i numeri alla mano: la sanità italiana costa la metà di quella americana, ha una spesa inferiore anche rispetto alla media dei Paesi Ocse e una qualità ed efficacia che la collocano ai primi posti nel mondo.

A chi sventola la bandiera dell’insostenibilità si risponde con i numeri alla mano: la sanità italiana costa la metà di quella americana ed è tra le migliori al mondo

È un principio di giustizia e di equità che dovrebbe sempre guidare le scelte della polis e del cittadino, ma che di fronte al bene salute appare più chiaro, più netto, quasi paradigmatico. Come chiaro appare l’intreccio delle responsabilità e dei doveri della comunità, delle istituzioni e del singolo. Spetta alla politica e alle istituzioni della Repubblica assicurare un sistema sanitario che rispetti il principio universalistico nel finanziamento, attraverso una fiscalità giusta ma esigente, che non tollera evasione ed elusione. Spetta al cittadino la fedeltà fiscale verso la comunità perché al bene comune non vengano meno le risorse necessarie.

È compito della Repubblica organizzare un sistema sanitario globale che non si limiti a rimborsare la malattia, ma che si prenda carico della persona in percorsi di prevenzione, di cura, di riabilitazione in un'offerta di servizi e prestazioni efficaci e appropriate, garantendo l’equità di accesso a tutti e a ciascuno in ogni parte del territorio. È dovere dell’individuo avere cura della propria salute con stili di vita adeguati e usufruire delle cure necessarie senza cedere mai alla tentazione consumistica spesso indotta dal mercato e contraria alla logica del bene comune.

Spetta alle scelte della politica organizzare un sistema guidato dalla responsabilità pubblica – e da una prevalente gestione pubblica che si integra con il privato e il privato sociale –senza affidarsi a logiche di mercato e tollerare inefficienze, perché il bene salute non può pagare né il prezzo della competizione né quello dei privilegi della burocrazia. La persona e le comunità hanno il dovere di sentirsi parte di un sistema che ha bisogno di appartenenze e di partecipazione. La sanità non è un bene privatistico, ma non è neppure una struttura burocratica, non è proprietà del ministro, degli assessori, dei direttori generali; neppure solo dei medici e di tutti i professionisti sanitari; men che meno è terreno di caccia della case farmaceutiche o dei costruttori edili o dei produttori di tecnologie. È di noi tutti.

Alzano Lomabrdo, nelle rsa si prova a tornare alla normalità. AP Photo/Luca Bruno 29 maggio 2020
Alzano Lomabrdo, nelle rsa si prova a tornare alla normalità. AP Photo/Luca Bruno 29 maggio 2020

I fondi del Mes, un'opportunità unica e irripetibile

Ma è davvero così? È così che noi abbiamo percepito in questi mesi la nostra sanità italiana? Sicuramente abbiamo avvertito di avere bisogno di una sanità bene comune, ma forse abbiamo anche capito che occorre fare un po’ di strada perché questo si realizzi. Mi limiterò ai titoli del percorso da compiere. Mai più finanziamento sottostimato rispetto ai livelli essenziali e uniformi di assistenza come è avvenuto negli ultimi 15 anni. Verrebbe da chiedersi perché mai si indugi nell’accettare i 37 miliardi che il Mes (Meccanismo europeo di stabilità, ndr) dell’Ue mette a disposizione per interventi strutturali nel nostro sistema. Occasione unica e irripetibile. Chi ha paura di rilanciare il nostro servizio sanitario nazionale?

Mai più ritardi nella programmazione dei livelli di assistenza e del fabbisogno dei medici e di tutti i professionisti sanitari e della loro qualificata formazione. Mai più disuguaglianze territoriali e sociali che continuano a dividere il nostro Paese tra nord e sud, tra giovani e anziani, donne e uomini, poveri e ricchi, cittadini e immigrati. Mai più difformità dei modelli organizzativi regionali che hanno spezzato il servizio sanitario nazionale in 20 sistemi, molti dei quali carenti dei fondamentali del sistema universalistico.

La sfida del Covid

Veniamo a ciò che ritengo il cuore della sfida che il Covid ci ha lanciato.Ci siamo scoperti fragili, e alle fragilità si fa fronte con la comunità. La comunità è un intreccio di relazioni, è integrazione, famiglia, domicilio, territorio, è partecipazione, presa in carico, vicinato. Le conseguenze più gravi della pandemia si sono verificate laddove il sistema sanitario pur essendo anche dotato di professionalità e tecnologie all’avanguardia non conosceva la prossimità, l’integrazione socio-sanitaria, la continuità assistenziale domicilio-territorio-ospedale; laddove le fragilità erano state istituzionalizzate in strutture anonime: laddove era più evidente che la sanità non era un bene comune, ma una serie di prestazioni e come tale non assicurava il bene comune salute. È per questa evidente ragione che non solo si dovrebbero accettare le risorse del Mes, ma le si dovrebbero utilizzare per una nuova infrastrutturazione del nostro sistema.

La pandemia ha avuto conseguenze più gravi laddove il sistema sanitario, pur dotato di professionalità e tecnologie, non conosceva la prossimità ed era gestito in strutture anonime

La nostra sanità ha sicuramente bisogno di riqualificazione edilizia e nuove tecnologie, ma ha soprattutto bisogno di superare le disuguaglianze territoriali e sociali e uniformare i modelli organizzativi. Non è un caso che i territori che hanno pagato e stanno pagando il prezzo più alto del Covid siano nelle regioni che in questi anni si sono abbandonate a un’organizzazione coerente con i modelli assicurativi, hanno privatizzato la gestione di interi percorsi sanitari, hanno rotto la continuità assistenziale.

La sanità italiana è a un bivio: può decidere di accontentarsi o può fare un salto di qualità realizzando davvero il modello organizzativo coerente con i sistemi universalistici. Non dobbiamo dimenticare che la legge Anselmi, la 833 (fortemente voluta da Tina Anselmi, prima donna italiana ministro, grazie a cui il 23 dicembre 1978 nacque il Servizio sanitario nazionale, ndr), fu preceduta, sempre nel 1978, dalla cosiddetta legge Basaglia, la 180, che sanciva la chiusura dei manicomi e affidava la salute mentale non alle strutture, ma alla comunità.

Ecco, io penso che oggi tocchi a noi, anche usufruendo dei fondi del Mes, affidare la salute dei più fragili, in particolare degli anziani, non a strutture anonime, ma alla comunità realizzando l’organizzazione territoriale della sanità in distretti, case della salute, assistenza domiciliare, accesso integrato alle cure specialistiche e ospedaliere.

Non c’è da inventare niente. C’è da dare attuazione alle riforme della fine degli anni Novanta e alle innovazioni che i cambiamenti intervenuti richiedono, ma i modelli già esistono. Sarà necessario investire in nuove professionalità, si dovranno toccare alcuni equilibri che stanno creando rigidità nel sistema. Penso per esempio alla necessità che i medici di famiglia possano integrare la loro natura di liberi professionisti con un maggiore inserimento nel distretto sociosanitario o alla necessità di superare il modello istituzionalizzante di alcune residenze per anziani dove non a caso il Covid ha colpito di più. La qualità di un sistema sanitario si misura soprattutto dalla sua capacità di includere e quindi di abbattere ogni barriera relazionale e di accesso. Perché è un bene comune!

Da lavialibera n° 6 novembre-dicembre 2020

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