3 novembre 2020
Durante la pandemia, moltissime persone in tutta Italia si sono impegnate all’interno di reti di volontari, più o meno spontanee, per portare un aiuto a chi, povero o precario, con lavori in nero o “in grigio”, non aveva la possibilità di chiedere un sostegno allo Stato. Durante il lockdown, raccoglievano e distribuivano pacchi di cibo. Al di fuori di quel periodo, questo aiuto si traduce in mense, doposcuola gratuiti, laboratori, corsi, fabbriche recuperate, accoglienza diffusa, palestre popolari, assistenza medica e psicologica. “Mutualismo solidale” è il nome utilizzato per indicare queste pratiche.
A Roma le associazioni hanno colmato il vuoto dello Stato
Da allora, molte domande sono sorte. La solidarietà è solo un valore sociale o può produrre economia sui territori? Che impatto ha sulla capacità di resilienza delle comunità e sulla coesione dei territori? Può il mutualismo solidale contrastare l’aumento delle disuguaglianze ed essere un argine alla penetrazione della criminalità organizzata nei territori? Qual è la relazione tra il mutualismo solidale e i servizi di welfare? Possono queste pratiche favorirne l’innovazione? Quali le relazioni con le amministrazioni locali? Quali effetti sulle politiche pubbliche e con quali esiti? Quali gli ostacoli che queste esperienze hanno incontrato? C’è una relazione tra il grado di solidarietà e la qualità della democrazia?
Questi quesiti sono alla base del progetto lanciato a metà ottobre al Festival della Partecipazione di Bologna, che mette insieme la Rete dei Numeri Pari, il Forum Disuguaglianze e Diversità e il Gran Sasso Science Institute de l’Aquila, progetto chiamato La pienezza del vuoto. Studio e analisi delle pratiche di mutualismo solidale. Al centro della ricerca, che durerà due anni, un campione di 112 delle quattrocento realtà iscritte alla Rete dei Numeri Pari. L’indagine sul campo vuole analizzare le pratiche di mutualismo sociale che hanno rappresentato e rappresentano una risposta concreta alla crisi, all’aumento di disuguaglianze e povertà, alla solitudine e al welfare sostitutivo mafioso. Inoltre vuole studiare i risultati raggiunti e le forme di autorganizzazione, per comprenderne le possibilità, i fattori propulsivi, gli ostacoli. Quattro sono gli ambiti scelti tra le attività portate avanti dai soggetti della Rete: produzione per il mercato; produzione e accesso al cibo; servizi fondamentali e infine un settore che include cultura, conoscenza, informazione, partecipazione, politica e sport.
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L’assenza di risposte efficaci del governo e i ritardi culturali della classe dirigente politica rendono ancora più utile studiare e imparare dalle esperienze di mutualismo nate nel nostro Paese
L’aumento senza precedenti delle disuguaglianze obbliga tutti alla necessità di introdurre interventi e strumenti nuovi sulle politiche sociali, capaci di ripensare il welfare di comunità. Invece mancano investimenti adeguati e politiche economiche e industriali coerenti con l’obiettivo di garantire la giustizia sociale e ambientale, come richiamato dalla Commissione europea. L’assenza di risposte efficaci del governo e i ritardi culturali della classe dirigente politica rendono ancora più utile studiare e imparare dalle esperienze di mutualismo nate nel nostro Paese. Non solo per rafforzare la consapevolezza e la qualità delle esperienze in corso. La diffusione e la valorizzazione delle attività di mutualismo solidale rappresentano un enorme potenziale in grado di dare risposte sempre più efficaci in quelle comunità colpite dalla crisi e da scelte politiche sbagliate.
In questi lunghi anni di crisi il mutualismo sociale all’interno delle comunità ha infatti rappresentato una risposta all’aumento delle disuguaglianze, economiche, sociali e di riconoscimento, della povertà relazionale e dell’esclusione sociale. Ha migliorato la dimensione di vita di un numero molto grande di persone, dando risposte concrete. Spesso senza nessun supporto pubblico o persino in contrasto. Le pratiche di mutualismo messe in campo hanno introdotto in diversi casi elementi di profonda trasformazione, promuovendo nuove forme di partecipazione che rafforzano la cittadinanza attiva, ricostruiscono relazioni comunitarie, contribuendo all’affermazione di territori più coesi e inclusivi, tornando a dare valore alle aspirazioni fondamentali delle persone. Nonostante la loro diversità, queste esperienze hanno alcune caratteristiche fondamentali comuni: reciprocità, solidarietà, azione collettiva, scambio differito. Le risposte date in questi anni hanno fatto emergere lungo tutto il Paese una geografia della speranza che attraverso il mutualismo ridefinisce quasi in maniera inconsapevole forme di democrazia più efficaci e nuovi concetti di cittadinanza.
Durante il periodo più critico del primo lockdown, a Bergamo moltissimi volontari si sono messi a disposizione per aiutare i più deboli
Covid 19 non ci ha reso tutti uguali, anzi ha allargato e sta allargando le disuguaglianze già esistenti, esponendo alla povertà relativa e assoluta la fetta di popolazione che viveva e vive di lavoro precario, nero o “grigio”
È stato ancora più evidente durante la crisi sanitaria ed economica causata dal Covid-19, che ha mostrato come in molti luoghi del nostro Paese, se non ci fossero state le reti sociali e di cittadinanza solidale, la situazione sarebbe stata ben più grave o catastrofica in alcuni casi. Il Covid-19 non ci ha resi tutti uguali, anzi ha allargato e sta allargando le disuguaglianze già esistenti, esponendo alla povertà relativa e assoluta la fetta di popolazione che viveva e vive di lavoro precario, nero o “grigio” e che si è trova senza garanzie e senza risposte efficaci del governo. Questo ha spinto molte realtà sociali nate durante la crisi, insieme ad altri soggetti già preesistenti, a promuovere e poi strutturare diverse pratiche mutualistiche per dare risposte immediate alla crisi delle loro comunità: sia rafforzando esperienze già in essere, sia creandone di nuove al fine di dare risposte concrete in questo momento drammatico. Ma al tempo stesso hanno posto interrogativi sull’adeguatezza delle risposte della politica e delle attuali forme della democrazia, avanzando proposte.
Eppure, questo patrimonio di esperienze e di pratiche ancora oggi non è riconosciuto e accompagnato a livello di sistema, né si traggono gli insegnamenti necessari per rendere le politiche pubbliche più coerenti ed efficaci. Se ne riconosce a volte, caso per caso, il ruolo di pratiche/strumento di coesione sociale e territoriale, in grado in alcuni casi persino di generare valore economico, di costruire opportunità di lavoro, in altri casi di rappresentare il solo argine al degrado della condizione umana, alle forti tensioni sociali che si accompagnano con le crisi, alla crescita del potere della criminalità organizzata che con il suo “welfare” rimpiazza il vuoto lasciato dalle istituzioni. Anche per questo, il progetto La pienezza del vuoto rappresenta per la prima volta una grande opportunità per contribuire, tra soggetti sociali e accademia, a rafforzare anche nel nostro Paese la consapevolezza che solo la cooperazione e la solidarietà massimizzano i risultati per tutti nel lungo periodo.
Da lavialibera n°5 settembre/ottobre 2020
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