23 novembre 2020
Un minuto e venti secondi. Tanto durarono quarant'anni fa, il 23 novembre 1980, le due scosse sismiche di magnitudo 6,4 della scala Richter che sconvolsero un’ampia area dell'Appennino meridionale, a cavallo tra l'Irpinia e la Basilicata. Un minuto e venti secondi di terrore, in cui interi paesi si trasformano in tombe a cielo aperto. I numeri rendono subito la dimensione della tragedia: 2.735 morti, 8.848 feriti, 300mila senzatetto. Quello che accade dopo, in un certo senso, è altrettanto terribile. E se possibile, forse, è anche peggio. Sì, perché c’è da soccorrere, da riparare e da mettere in sicurezza il territorio di 688 comuni, un’area vastissima, che poi è da ricostruire quasi completamente visto che il terremoto ha tirato giù tutto. Significa lavoro, appalti, progetti, e soprattutto soldi, tanti soldi, soprattutto soldi pubblici dello Stato italiano e anche delle altre nazioni che inviano aiuti. Ed ecco che quegli ottanta secondi di terrore si trasformano, d’incanto, in una provvidenziale manna per affaristi senza scrupoli, camorristi, politici corrotti. Tutti in prima fila per mettere le mani su quel fiume di soldi che stanno per arrivare. E trovare un accordo.
Bisogna accordarsi con i politici che distribuiscono gli appalti e anche con quelli che fanno le leggi che li regolano, bisogna mettersi d’accordo con chi deve controllare dove vanno a finire quei soldi e bisogna mettersi d’accordo con gli imprenditori che vengono giù a lavorare, perché paghino il pizzo, assumano la gente giusta e cedano i subappalti. Mettersi d’accordo, per la camorra, significa intimidire, minacciare ed eliminare ostacoli, incendiando cantieri, mettendo bombe e anche sparando per uccidere, come succede a Marcello Torre, sindaco di Pagani, in provincia di Salerno, ammazzato nel dicembre del 1980. Ma significa anche sedersi semplicemente a tavolino, perché presto politici corrotti e imprenditori senza scrupoli capiscono che di fette in quella enorme torta ce n’è anche per loro. E sono ben contenti di mettersi d’accordo.
E in questo scenario non deve sorprendere se a distanza di decenni registriamo un terremoto anche dal punto di vista giudiziario. Dal 1980 sono state arrestate per gravi reati connessi agli appalti e ai lavori della ricostruzione (dalla corruzione all’associazione a delinquere di stampo mafioso) ben 382 persone; al primo posto come numero di arresti figurano i politici e gli amministratori locali (102) seguiti da boss e affiliati ai clan camorristici (86) e da imprenditori e dirigenti d’impresa (78 arresti). E tanti soldi pubblici sprecati. Sperperati. Tra sprechi, corruzione ed ecomafie. Insomma, “se il terremoto non ci fosse stato, bisognava inventarlo”. Lo hanno detto o pensato in molti, in questi anni.
"Economia del terremoto" è il nome dato dalla procura di Napoli al sistema di sfruttamento intorno al quale politica, imprese e boss hanno stretto un patto
Oggi, a distanza di quarant'anni in molti vorrebbero rimuovere quelle macerie, archiviare ciò che è accaduto. Sarebbe un tragico errore, oltre che un insulto a chi ha sacrificato la propria vita quando si compiva il saccheggio delle risorse pubbliche e dell’ambiente. Nello scandalo del dopo terremoto, infatti, affondano le radici profonde di quella che Legambiente ha ribattezzato come “ecomafia”. Esplode, proprio negli anni Ottanta, sulle macerie del sisma, quel sistema economico-criminale che porterà negli anni Novanta e fino ai nostri giorni allo sfruttamento sistematico e illegale del territorio e delle risorse ambientali della Campania e dell'intero Paese. In quella che la Procura di Napoli ha definito come “l’economia del terremoto”, inoltre, si salda quel patto scellerato tra politici e amministratori locali, imprese, anche di rilievo nazionale, e boss camorristici che trasmetterà il virus dell’illegalità allo Stato, all’economia . Un patto di cui l’intero Paese paga ancora oggi le conseguenze.
Nel Centro Italia, a quattro anni dal sisma la ricostruzione è ferma a 42mila persone aspettano
Dopo quarant'anni non dobbiamo perdere la memoria, le immagini di quella gente, dei paesi-presepi distrutti, delle straordinarie prove di generosità e coraggio sbocciate spontaneamente tra le macerie, della solidarietà concreta, dell'impegno, di decine di migliaia di volontari che arrivarono da tutta Italia nelle zone colpite dal sisma. Per non sbagliare come è successo anche nel terremoto a L'Aquila. Perchè se c’è una lezione del dopo-terremoto che ancora non è stata tratta dalla classe dirigente di questo Paese, passata, presente e futura, a cominciare da quella politica, è forse proprio questa: l’ambiente è una risorsa strategica dell’Italia, che non può essere lasciata impunemente in mano a chi la saccheggia per trarne profitto. Approfittando persino di un’immane tragedia, come quella del 23 novembre 1980.
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