24 agosto 2020
Camminando da Camerino (Macerata) ad Amatrice (Rieti), attraverso le zone del Centro Italia colpite dal sisma del 2016, ci sono stati momenti molto intensi, in cui saliva un groppone in gola. Quelli in cui, concludendo un percorso in mezzo alla natura, tra boschi, salite e discese, zone pianeggianti, ci si avvicinava ai centri abitati. Da uno stupore e una fatica si passava a uno stupore e una fatica di tipo diverso. Un saliscendi emotivo. Passo dopo passo si cominciava a intravedere una parete caduta, un tetto ceduto, delle macerie o un ponteggio. A volte il groppone si faceva più pesante: da vicino si potevano osservare le case aperte o squarciate, cucine, camere con gli armadi spalancati e ancora i vestiti dentro, salotti, oppure negozi, bar, ristoranti, alberghi ormai chiusi con le vetrine sporche e le suppellettili abbandonate dentro. Si poteva immaginare com'era prima e intuire come fosse terminata la vita in quelle nelle zone.
Le prime scosse, il 24 agosto di quell'anno alle 3.36, distrussero paesi come Pescara del Tronto, frazione di Arquata del Tronto (Ascoli Piceno), e Amatrice (Rieti). Vedere proprio Amatrice oggi, il caso più mediatizzato, fa una certa impressione: percorrendo a piedi la statale che sale al paese non ci si rende conto di quale spettacolo possa accogliere il viaggiatore. Ci si aspetta uno scenario simile a quello già visto in altri borghi, invece si gira la curva e si vede un territorio piano, con campanili e torri puntellate e un grande vuoto, quello spazio deserto lasciato dalla rimozione delle macerie del centro storico. Provo a scattare la foto a una chiesa, ma una soldatessa mi ammonisce di non farlo: siamo nel paese in cui il sindaco fece appendere cartelli che vietavano i selfie davanti alle macerie, vige un certo pudore.
Camerino, Fiastra, Ussita, Visso, Campi di Norcia e Norcia, Castelluccio, Arquata del Tronto, Accumoli e Amatrice sono alcuni centri abitati del cratere sismico attraversato dalCammino nelle terre mutate, un percorso nato dopo il 2016 con l’obiettivo di riportare viaggiatori in quelle zone abbandonate (ma non da alcuni stoici abitanti), per non dimenticarle e per portare un po’ di ossigeno ad alcune attività economiche. Un turismo lento, responsabile e sostenibile. Sono 257 chilometri di marcia che partono da Fabriano, nelle Marche, passano in Umbria e Lazio e terminano a L’Aquila, dove i segni del terremoto del 2009 sono ancora molto visibili. A luglio ho percorso nell’arco di una settimana 110 di questi 257 chilometri partendo da Camerino e fermandomi ad Amatrice per poi, complice la stanchezza fisica di chi non aveva mai percorso dei cammini prima, raggiungere l’Aquila in autobus per porre una fine ideale a quel percorso.
“Abbiamo avuto le case, abbiamo perso il paese” è la scritta che avevo trovato su un portone a Camerino nell’agosto 2019, nella città universitaria (il suo ateneo ha quasi settecento anni di storia) che ha perso molta della sua vitalità senza gli studenti ad abitare il centro storico. Sarà il periodo post-lockdown, sarà che è estate inoltrata, ma quando passo casualmente davanti una residenza universitaria ho l’impressione che sia un deserto. Raggiungo la chiesa di San Venanzio (già risparmiata dal sisma del 1799), indicato come punto di partenza della tappa che porta a Fiastra, e rispetto lo scorso anno la situazione è cambiata: sul sagrato non ci sono più le macerie, l’area sembra essere ripulita. Un segnale positivo, anche se alcuni chilometri dopo, sulla strada per Fiastra attraverso un borgo piccolo, ma tutto puntellato e quasi tutto disabitato, fatto salvo qualche casa in cui una famiglia sta facendo eseguire dei lavori. Mi chiedo quanto fosse già stato abbandonato prima, per lo spopolamento dell’Appennino, e quanto sarà abbandonato dopo, se la natura si riapproprierà degli spazi o qualcuno cercherà di riabitarlo.
Da Fiastra il giorno dopo si va verso Ussita e Visso, altri luoghi che avevo visitato già l’estate scorsa. I paesaggi sono incantevoli, ma la fatica è sfiancante. Ussita e Visso sono state molto danneggiate, molti edifici sono vuoti, alcuni abbandonati a se stessi nello stesso modo in cui li avevo visti l’anno precedente, se non in condizioni peggiori. Girando attorno alla zona rossa di Visso (la sua piazza è ancora chiusa agli abitanti), guardo edifici danneggiati e gli interni dell’hotel Elena, tre stelle, abbandonato. Di fronte a tutto ciò, spicca la vitalità degli abitanti che si sono rimboccati le maniche spostando le loro attività più vicino al complesso di soluzioni abitative d’emergenza (Sae), le casette in cui moltissimi sfollati hanno trovato un alloggio che doveva essere temporaneo. E questa è un po’ la cifra di quanto vedo nelle tappe successive: a una condizione di stallo, dove c’è ancora molto da fare, si contrappone l’intraprendenza delle persone che – giocoforza – si rimboccano le maniche per aggrapparsi al loro lavoro e vivere. D’altronde i cantieri nelle zone del cratere del Centro Italia sono ancora rari, fermati soprattutto dalla pesante macchina burocratica.
Il processo di ricostruzione è stato sin qui caratterizzato da una lentezza non più sostenibileGiovanni Legnini - Commissario alla ricostruzione
Tantissime persone aspettano ancora di poter tornare a casa loro: "Abbiamo ancora fuori casa circa 42mila persone, molte sono nelle soluzioni abitative di emergenza, negli alberghi e nelle altre strutture, la stragrande maggioranza, circa 32mila, è in contributo di autonoma sistemazione, il 70% è nelle Marche”, spiegava all’Adnkronos il capo della Protezione civile Angelo Borrelli pochi giorni fa.
“A distanza di quattro anni dal primo dei distruttivi fenomeni sismici, il processo di ricostruzione, sin qui caratterizzato da una lentezza non più sostenibile, è ad un punto di svolta”, annuncia Giovanni Legnini, ex vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura che dall’inizio del 2020 è il commissario straordinario del governo per la ricostruzione. Promette uno snellimento delle procedure. Dai dati pubblicati nel recente rapporto sulla ricostruzione, su 80mila edifici privati inagibili, “al 30 giugno 2020 sono state presentate 13.948 richieste di contributo per la ricostruzione. Di queste, 5.325 sono state accolte, 678 respinte e 7.945 risultano in fase di lavorazione”. Numeri ancora bassi. Anche la ricostruzione pubblica è in ritardo: sono stati impegnati 2,1 miliardi di euro, ma le risorse erogate sono un decimo, circa 200 milioni. Di 1.405 interventi previsti (250 riguardano scuole), non ne sono stati avviati ancora 585: le gare in corso sono 315, gli incarichi affidati 293, i lavori in corso 85 e quelli conclusi 86 (di cui 17 scuole).
Il 13 febbraio scorso, nel corso dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, il procuratore generale della Corte dei conti Alberto Avoli spiegava che “con il trascorrere degli anni sta prendendo sempre più vigore il filone investigativo riguardante l’utilizzo delle ingenti risorse stanziate per la ricostruzione delle aree dell’Italia centrale, colpite dagli eventi sismici più di tre anni or sono”. Questa lentezza poteva avere altri effetti nefasti: “Rischia di rendere irreversibile la sofferenza del tessuto economico e sociale e, per paradossale altro verso, irrobustire improprie prassi di veri e propri abusi, quando non anche di pratiche clientelari e/o corruttive”.
La sfida dell'Anac: mappare la corruzione in Italia
Quasi mille interventi (952 per l’esattezza) riguardano chiese (siamo pur sempre in territori che facevano parte dello Stato pontificio e terre di santi): quelle già ripristinate sono soltanto cento e 45 i cantieri aperti. Una di queste è la basilica di San Benedetto, a Norcia: di cui è rimasto in piedi molto poco: la facciata è “avvolta” da un’impalcatura in metallo mentre ancora le macerie vengono portate via. “Non puoi, non abbiamo più chiese”, è la risposta sarcastica di un cameriere a cui dico un “prego!”. È vero: delle tante chiese incrociate camminando molte sono distrutte e chiuse.
In una via di Norcia da un balcone pende un lenzuolo: “Ricostruzione, chi l’ha vista?”, firmato "Comitato rinascita Norcia". Di fronte, un altro striscione: “Unica grande opera: ricostruire il centro Italia”. Ne avevo visto uno simile a Campi di Norcia, una frazione la cui parte vecchia è completamente distrutta. Più a valle è sorto un progetto capace di tenere insieme gli abitanti, “Back to Campi”, che ruota intorno alla grande sede della pro loco inaugurata pochissimi giorni prima del sisma. Lì dentro, in un momento di sosta del cammino, noto i “souvenir” lasciati da chi è venuto a dare una mano, ma soprattutto i disegni dei bambini che hanno raffigurato il loro paese prima e dopo il sisma. È un altro di quei momenti in cui il groppo in gola cresce.
Ricordo anche quello alla vista di Castelluccio di Norcia. Ci si arriva dopo una salita lunga sette-otto chilometri e un dislivello di mille metri: a un certo punto compare la piana in tutta la sua bellezza in un periodo in cui la fioritura sta terminando, ma è ancora ben visibile e dà colore al paesaggio. Prima di arrivare al borgo di Castelluccio ci vogliono ancora molti chilometri in uno scenario da film (d’altronde fu scelto da Franco Zeffirelli per alcune scene di “Fratello sole, sorella luna”, film su San Francesco). L’incanto, anche qui, lascia il posto ad altri sentimenti quando ci si accorge che il paese è ancora a pezzi, come fosse stato bombardato. La sera, al ristorante dell’albergo in cui alloggio, è possibile fare un confronto: un commensale mostra un video da lui girato in occasione di un matrimonio celebrato poco prima del terremoto nella chiesa di Castelluccio, nel borgo ora distrutto. Il silenzio cala nella sala.
Dopo la spianata senza macerie su cui sorgeva il centro storico, ad Amatrice sorgono villini e condomini che hanno retto meglio, ma anche due piccoli “centri commerciali” composti da prefabbricati in cui hanno trovato spazio alcuni negozi e una piazza intorno alla quale si trovano i ristoranti, molto frequentati dagli escursionisti della domenica. Il lunedì mattina, di fronte al bar Rinascimento, è un viavai di furgoncini, muratori e operai, camion di materiali edili. Qualcosa si muove, non molto, ma è un segnale. Come sarà la ricostruzione? Quanto durerà? Per avere un’idea si può vedere L’Aquila. Ci arrivo con l’unico autobus a disposizione che collega le due città terremotate. All’arrivo un dettaglio che colpisce sono le tante gru che svettano sui tetti del centro storico. Prima visito il "ground zero" della Casa dello studente, la residenza universitaria crollata il 6 aprile 2009. Sette studenti e un vigilante persero la vita sotto l'edificio. Poi mi muovo verso il centro città. Il lunedì mattina sembra popolato soprattutto da muratori, operai, geometri e architetti che in pausa pranzo occupano i tavoli del bar sulla piazza del Duomo. Bisogna aspettare il pomeriggio e l'apertura dei negozi per vedere gli aquilani in giro.
Sono passati undici anni dal terremoto e ancora c’è molto da fare nel centro storico. Sì, molti lavori sono conclusi, ma molte aree restano inaccessibili, delimitate, zone rosse. Lavori in corso, come le riflessioni iniziate su questo cammino, riflessioni sul rapporto tra uomo e ambiente, sulla resilienza e sulla sostenibilità, sullo spopolamento delle zone montane e degli Appennini, sull’architettura, la ricostruzione di edifici e quella delle comunità. Il cammino è giunto al termine, ma molto ancora resta da fare.
Crediamo in un giornalismo di servizio ai cittadini, in notizie che non scadono il giorno dopo. Aiutaci a offrire un'informazione di qualità, sostieni lavialibera
La tua donazione ci servirà a mantenere il sito accessibile a tutti
Record di presenze negli istituti penali e di provvedimenti di pubblica sicurezza: i dati inediti raccolti da lavialibera mostrano un'impennata nelle misure punitive nei confronti dei minori. "Una retromarcia decisa e spericolata", denuncia Luigi Ciotti
La tua donazione ci servirà a mantenere il sito accessibile a tutti