5 marzo 2021
Alcune immagini delle proteste in Bielorussia dopo la fraudolenta vittoria del presidente Aleksander Lukašenko alle elezioni dell’agosto 2020 hanno fatto il giro del mondo: donne vestite di bianco che marciano unite, formando catene di solidarietà contro la repressione, distribuendo fiori e abbracciando poliziotti in tenuta antisommossa. Quella in corso passerà forse alla storia come una rivoluzione "che ha un volto di donna". Prestandosi a facili entusiasmi e semplificazioni, l’estetica della protesta al femminile sembra però aver preso il sopravvento sulla sostanza, in Bielorussia come altrove in Europa. Nel mondo, nell’ultimo anno, le donne sono state protagoniste di manifestazioni in Cile, Argentina, Messico, Polonia, per citarne alcune.
La presenza marcata di una dimensione di genere nelle proteste bielorusse è innegabile. Tre giovani donne intelligenti e carismatiche – Svetlana Tichanovskaja, Marija Kolesnikova e Veronika Tsepkalo – hanno fatto fronte comune per sfidare alle elezioni Lukašenko, vecchio dittatore ipermascolino al potere da 26 anni. Seguendo il loro esempio, migliaia di donne in tutto il Paese continuano a manifestare contro un regime repressivo e paternalista. Molti osservatori hanno già individuato in questa mobilitazione i semi di una rivoluzione non solo democratica, ma femminista. Un’interpretazione che non corrisponde esattamente alla realtà.
Le manifestazioni pacifiche avvenute in Bielorussia dopo la chiusura dei seggi il 9 agosto sono state sedate in maniera molto violenta. Nel frattempo – come spiega l’attivista per i diritti umani Marylia Sliaptsova – le autorità sostenevano che a manifestare di notte ci fossero solo uomini violenti, alcolizzati ed emarginati.
Le marce delle donne sono diventate un appuntamento settimanale. All'inizio la polizia ha ritenuto sconveniente per la propria reputazione arrestarle in massa e loro hanno sfruttato il patriarcato a proprio vantaggio
La prima catena di solidarietà organizzata dalle donne bielorusse il 12 agosto è nata come reazione alla violenza di Stato contro i manifestanti pacifici. Un gruppo di donne – coordinate tramite social media e passaparola – si era riunito in pieno giorno nel centro di Minsk per formare una catena: "Erano vestite di bianco e se ne stavano in piedi in silenzio, senza nessuno slogan, per mostrare che rifiutavano la violenza. Molte erano lì per i fratelli, i mariti, i figli rinchiusi in prigione", racconta Sliaptsova. Rapidamente, queste catene di solidarietà hanno assunto proporzioni imponenti. Dal 29 agosto le marce delle donne sono diventate un appuntamento settimanale. In un contesto in cui queste sono viste come soggetti deboli da proteggere, la polizia ha inizialmente tollerato le marce delle donne, ritenendo sconveniente per la propria reputazione arrestarle in massa. E le donne hanno sfruttato il patriarcato a proprio vantaggio.
La tolleranza delle prime settimane si è presto rivelata un’illusione. Secondo Sliaptsova, "a un certo punto le donne hanno smesso di essere donne agli occhi delle forze di polizia e sono tornate essere delle manifestanti, dei 'nemici che vogliono distruggere il Paese' e che vanno arrestate alla pari degli uomini". L’attivista Julia Mickiewicz, che in ottobre è stata trattenuta per quindi giorni in un centro di detenzione, sostiene che "le autorità non avevano previsto che le donne sarebbero diventate così attive nel trasformare la natura delle proteste, attraverso la comunicazione orizzontale e la decentralizzazione del potere. Per questo hanno iniziato ad avere paura".
Oltre agli arresti, sono aumentate le intimidazioni e le pressioni psicologiche. Molte attiviste hanno ricevuto minacce di stupro, di ritorsioni contro i propri familiari o di allontanamento dei figli, tecniche spesso usate dal regime per reprimere una militanza femminile scomoda come anche nel caso di Tichanovskaja e Tsepkalo, costrette a lasciare il Paese.
Pur dichiarando che avrebbe preferito continuare a occuparsi dei figli e "friggere cotolette", Tichanovskaja ha entusiasmato le bielorusse, agevolando la loro presa di coscienza civica e l’emancipazione
Nonostante la repressione, la protesta delle donne assume forme diverse, ma non si arresta. Secondo Mickiewicz, questo ruolo attivo e coraggioso è dovuto alla presenza di un "trio femminile" a capo dell’opposizione unita, e soprattutto al successo di Tichanovskaja, oggi considerata da molti la vera presidente eletta. Pur essendosi candidata per ragioni private, facendo le veci del marito e dichiarando che avrebbe preferito continuare a occuparsi dei figli e a "friggere cotolette", la figura di Tichanovskaja ha entusiasmato le bielorusse, agevolando la loro presa di coscienza civica e l’emancipazione. Per anni presenti sia nel settore non-governativo sia in ambito politico, ma quasi mai in posizioni di potere o di visibilità, sulla scia di Tichanovskaja le donne hanno iniziato a posizionarsi come soggetti attivi e visibili.
Un altro fattore che ha determinato la mobilitazione, soprattutto delle donne che non erano mai state politicamente attive, è stato il Covid-19. In una società patriarcale in cui a occuparsi della famiglia sono le donne e in cui i settori dell’istruzione e della sanità – i più colpiti dalla crisi – sono a maggioranza femminile, la cattiva gestione della pandemia ha costituito una rimostranza ulteriore verso il regime.
È importante ricordare che le principali rivendicazioni non riguardano l’uguaglianza di genere, ma nuove elezioni libere e democratiche
Per Sliaptsova e Mickiewicz, gli eventi in corso hanno creato una finestra di opportunità per discutere della questione femminile. Sliaptsova spiega che cartelloni e slogan femministi si sono presto fatti strada nelle proteste: "Ci sono manifestanti che invocano l’uguaglianza di genere, anche per le persone Lgbtq+, altre che parlano del problema della violenza domestica associandola alla violenza poliziesca. Lukašenko viene spesso paragonato a un marito abusivo che rifiuta di lasciar andare la moglie picchiata". È importante però ricordare che le principali rivendicazioni del movimento non riguardano l’uguaglianza di genere, ma nuove elezioni libere e democratiche, la liberazione dei prigionieri politici e la fine della repressione. Inoltre le donne delle manifestazioni anti-Lukašenko "non sono una folla omogenea. Non tutte si trovano d’accordo con le rivendicazioni femministe", precisa Sliaptsova.
Un nucleo di attiviste, tra cui Julia Mickiewicz, ha deciso di sostenere le proprie istanze creando un Gruppo di lavoro femminista all'interno del Consiglio di coordinamento dell'opposizione bielorussa, l’organo incaricato di garantire la transizione di potere. Eppure "non possiamo dire che l'uguaglianza di genere sia la priorità – spiega Mickiewicz –. La visione sembra essere questa: 'Ci sono delle cose più importanti che dobbiamo fare subito, dell'uguaglianza di genere ci occuperemo dopo'".
Se analizzate da una prospettiva di genere, le proteste in Bielorussia dimostrano una certa complessità che non si presta a essere ridotta a titoli acchiappa-click o analisi patinate. Da un lato, soffermarsi sul carattere fotogenico, pacifico e per estensione femminile del movimento, rinforza i luoghi comuni e gli schemi eteronormativi (cioè la visione binaria dei sessi che privilegia l'eterosessualità e la maschilità come norma), oltre a distogliere l’attenzione dalla repressione da cui le donne non vengono risparmiate.
Dall’altro, analisi troppo ottimiste riguardo al carattere femminista delle proteste travisano (almeno in parte) le intenzioni di chi manifesta, oltre a suggerire un’interpretazione superficiale del femminismo: la pura presenza delle donne nella sfera pubblica non basta per scardinare la cultura patriarcale. Julia Mickiewicz sa bene che la partecipazione delle donne alla rivoluzione non conferirà loro l’uguaglianza, o per lo meno non automaticamente: "L’abbiamo visto in Polonia durante Solidarno?? o in Ucraina (con Euromaidan, le proteste del 2013 che sfociarono nella rivoluzione del 2014, ndr), due rivoluzioni in cui il ruolo delle donne è stato importante, ma è stato poi dimenticato. Le donne sono tornate a essere invisibili".
Secondo Sliaptsova, le donne bielorusse hanno già dimostrato di poter far vacillare il regime di Lukašenko, lo stesso che pochi mesi fa dichiarava che la Costituzione bielorussa "non è scritta per le donne" poiché queste "soccomberebbero" sotto il peso del potere. L’alleanza di Tichanovskaja con le altre due esponenti dell’opposizione, che l’hanno sostenuta e rafforzata, ha contribuito a creare un modello di solidarietà, resistenza pacifica e collaborazione orizzontale non solo per le donne che partecipano alle proteste, ma per la società intera.
182 le professioni ad oggi proibite alle donne nel codice del lavoro
Ci sono delle lotte ancora da scrivere per le donne bielorusse, che riguardano il passaggio dall’emancipazione al femminismo e le domande scomode che questo porta con sé. La prima sta nel rimanere visibili anche quando la lotta per il potere sarà finita. La scarsa rappresentazione nelle posizioni di potere, il divario retributivo, l’esistenza di 182 professioni proibite alle donne nel codice del lavoro e l’assenza di un quadro legislativo che contrasti la violenza domestica (che colpisce una donna su tre) sono alcuni dei temi che dovranno trovare spazio nel dibattito pubblico e nell’agenda politica.
La seconda riguarda la relazione tra il personale e il politico: resta da vedere fino a che punto la nuova posizione delle donne nella sfera pubblica si tradurrà in una trasformazione della società patriarcale e dei ruoli di genere nella sfera privata: quella fatta, per dirla con Tichanovskaja, "di figli e cotolette".
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