Il collaudo del nuovo Ponte Morandi, a Genova (Foto dal sito Commissario ricostruzione Genova)
Il collaudo del nuovo Ponte Morandi, a Genova (Foto dal sito Commissario ricostruzione Genova)

Recovery, l'Antitrust vuole il 'modello Genova', ma è un rischio

L'Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) vuole sospendere il codice dei contratti pubblici. Per non istituzionalizzare l'emergenza, servono digitalizzazione, trasparenza e valorizzazione delle buone pratiche

Alberto Vannucci

Alberto VannucciProfessore di Scienza politica, Università di Pisa

6 aprile 2021

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A quanto ci raccontano un flagello ammorba l’Italia. Non ha natura virale, come il Covid-19, bensì normativa. Quell’agente patogeno si chiama codice dei contratti pubblici. Introdotto soltanto nel 2016, fin dalla sua nascita un tiro concentrico al bersaglio colpisce quelle norme, di fatto sospese o depotenziate da vari decreti – dal sedicente “sbloccacantieri” all’altrettanto sedicente "semplificazioni” – proprio quando cominciavano a essere metabolizzate dall’amministrazione riattivando le gare. Adesso, complice l’emergenza sanitaria ed economica, assistiamo all’affondo finale contro quelle disposizioni scomode. La discussione finora ha investito soprattutto la sfera politica, con un deciso orientamento anti-codice nel centro-destra – “azzerare il codice degli appalti” è uno slogan ricorrente del leader leghista Matteo Salvini – che sta trovando orecchie sensibili anche nel centro-sinistra, in coerenza con la concordia bipartisan dell’esecutivo delle larghissime intese.

Grazie all’applicazione delle sole direttive europee cadrebbero i limiti e le preclusioni attualmente previsti in materia di ricorso al subappalto

Con un discutibile (e discusso) parere al governo del 23 marzo 2021 anche l’Autorità garante della concorrenza ha calato la sua scure su quel codice, ormai una specie di sport nazionale: “L’Autorità suggerisce di prendere in considerazione la possibilità di sospendere temporaneamente l’applicazione del codice dei contratti pubblici”. Per questa via, grazie all’applicazione delle sole direttive europee “cadrebbero i limiti e le preclusioni attualmente previsti in materia di ricorso al subappalto e all’avvalimento, così come le restrizioni alla discrezionalità delle stazioni appaltanti in materia di appalto integrato, valutazione delle offerte economiche (…), esclusione delle offerte anomale, obbligo di nomina di commissari esterni”.

Covid. Il (falso) dilemma tra emergenza e trasparenza

Liberata dall’impiccio del codice, la gestione dell’alluvione di miliardi di spesa pubblica (da convogliare anche negli appalti) provenienti dal Next Generation Eu finirebbe per conformarsi al tanto decantato “modello ponte di Genova”. In soldoni: una deregolamentazione selvaggianella forma e nella sostanza delle gare, che indebolirebbe controlli e concorrenza a favore di una “snella” e “celere” aggiudicazione dei contratti tramite affidamenti diretti e altri criteri ad altissima discrezionalità, nel caso delle grandi opere da delegare a strutture commissariali ad hoc operanti “in deroga a tutte le norme e disposizioni vigenti”. Ma quello che ha funzionato per una singola opera al centro di un’attenzione spasmodica su tempi e modalità di realizzazione difficilmente potrà riprodursi su larga scala. Quel modello rischia piuttosto di degenerare nel suo corrispondente lato oscuro: potremmo battezzarlo “modello cricca della protezione civile”, un grumo di malaffare e sprechi che ha disseminato la penisola di scheletri o simulacri di opere ipertrofiche, costosissime, inutili, inservibili. Identiche sono la matrice dei processi decisionali, la fuga delle regole, la glorificazione di un’emergenza strumentale (spesso posticcia), l’assegnazione indiscriminata di poteri straordinari, sciolti da controlli.

Quello che ha funzionato per una singola opera al centro di un’attenzione spasmodica su tempi e modalità di realizzazione difficilmente potrà riprodursi su larga scala

Eppure la rotta pare tracciata. È quella di una sorta di “istituzionalizzazione dell’emergenza”, la cui valenza criminogena non sfugge alla stessa Antitrust. Come toppa (peggiore del buco) per “impedire l’infiltrazione della criminalità e della corruzione” quest’ultima mette sul piatto una soluzione pret-a-porter: la “costituzione di una struttura dotata delle necessarie risorse economiche, umane e tecniche per vigilare esclusivamente su tali opere”. Si tratterebbe, in soldoni, di istituire ex-novo e mettere a regime in pochi mesi l’ennesimo organismo di controllo per coordinare il funzionamento dei molti già esistenti: ministeri, Autorità nazionale anticorruzione, magistrature, forze di polizia. Una prospettiva che ricorda quella evocata ironicamente da Ennio Flaiano: “Gli presentano il progetto per lo snellimento della burocrazia. Ringrazia vivamente. Deplora l'assenza del modulo H. Conclude che passerà il progetto, per un sollecito esame, all'ufficio competente, che sta creando”. 

Neppure una parola viene spesa su altri e più credibili presidi di legalità, che potrebbero bilanciare le esigenza di snellimento e velocizzazione dei processi decisionali col contenimento del rischio di infiltrazioni criminali e corruzione. Ne elenchiamo alcuni: 1) l’istituzione di pochi centri di spesa, dotati di capacità progettuali e tecniche elevate – oggi esistono oltre 20mila stazioni appaltanti, di regola strutture amministrative deboli, facile ostaggio degli interessi privati; 2) la trasparenza integrale di ogni spesa e acquisto pubblico; 3) la valorizzazione di “buone pratiche” già attuate, come la vigilanza collaborativa dell’Autorità anticorruzione; 4) il rafforzamento dei controlli successivi su qualità finale di lavori, servizi, prestazioni; 5) un robusto innesto nell’amministrazione pubblica su basi meritocratiche di competenze tecniche (ingegneri, architetti, informatici, statistici, economisti, aziendalisti, etc), a fronte dell’attuale strapotere di professionalità giuridiche; 6) la digitalizzazione delle gare; 7) da ultimo, una selezione “razionale” e mirata di procedure già esistenti – quelle del vituperato codice degli appalti – che già autorizzano un drastico snellimento in caso di urgenza. Sarebbe il primo passo per una necessaria “moratoria” che metta per qualche anno il settore al riparo dalla frenesia bulimica di riforme e controriforme, modifiche, integrazioni, deroghe che da sempre lo affligge, e finalmente nella stabilità della cornice normativa di riferimento assicuri “certezza del diritto” ai funzionari e agli operatori economici.

L'Anac: "La criminalità sfrutta la corruzione. Col Covid effetti devastanti"

Nello stesso parere l’Antitrust mostra poi preoccupanti segni di schizofrenia. Se nel settore degli appalti la logica applicata è quella anticoncorrenziale dell’attribuzione di poteri straordinari, nel delicato settore sanitario si rianima invece un fiero spirito liberista: “L’Autorità suggerisce l’adozione di misure che garantiscano una maggiore apertura all’accesso delle strutture private all’esercizio di attività sanitarie non convenzionate con il Ssn (sistema sanitario nazionale, ndr)”. In sostanza, si tratterebbe di assicurare un accesso libero e indiscriminato dei privati all’esercizio di attività in campo sanitario, non più condizionate alla verifica pubblica del fabbisogno regionale, e integrato da “una norma generale che disponga l’obbligo di un accreditamento definitivo da parte delle Regioni per le nuove strutture sanitare”. Simili raccomandazioni suonano come un peana al sistema lombardo, che più di ogni altro ha premuto l’acceleratore sulla delega a enti e soggetti privati di funzioni di assistenza sanitaria.

Se nel settore degli appalti la logica applicata è quella anticoncorrenziale dell’attribuzione di poteri straordinari, nel delicato settore sanitario si rianima un fiero spirito liberista

Questa prospettata liberalizzazione del sistema di assistenza sanitaria purtroppo stride con il bilancio catastrofico nella gestione dell’emergenza sanitaria osservabile proprio in quelle regioni – in particolare la stessa Lombardia – che hanno attuato massicce esternalizzazioni e privatizzazioni dei servizi, e nelle quali si è già pagato il più tragico pedaggio anche in termini di mortalità in eccesso. Senza dimenticare la conclamata vulnerabilità dei meccanismi di accreditamento e di rimborso a molteplici e variegate forme di collusione criminale e corruzione. La matrice criminogena dell’architettura privatistico di gestione della sanità è ormai certificata dalle inchieste giudiziarie che hanno investito gli stessi vertici politici regionali che l’hanno ideata e attuato, di fatto piegando la legge a interessi sotterranei di corrotti e corruttori.

La prevenzione debole

È una nozione elementare della scienza economica: nel caso dei beni privati la concorrenza di mercato dispiega i suoi benefici effetti, ma quando entriamo nella sfera dei beni pubblici – come le cure sanitarie, la cui erogazione genera ricadute che vanno al di là del singolo utente – occorre l’intervento dello Stato per sopperire ai “fallimenti del mercato”. Ma nel mondo rovesciato dell’Antitrust la concorrenza dei privati è auspicabile in ambito sanitario, dove i mercati falliscono (e la corruzione prospera), mentre nel contempo si invocano maggiori poteri discrezionali ai decisori pubblici dove lo Stato avrebbe invece bisogno di un “mercato pubblico” concorrenziale per acquistare a prezzi migliori forniture e servizi o realizzare opere pubbliche di qualità. Una nota di chiusura: il presidente dell’Autorità posta a tutela di mercati e concorrenza non è un economista, bensì un magistrato, tanto per ribadire il dominio incontrastato delle competenze giuridico-formalistiche nei centri vitali dell’amministrazione pubblica.

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