L'ambizione di informare diversamente

Quello che diciamo oggi, domani potrebbe non essere più vero. Ma questo non esonera il mondo delle notizie a riflettere sulle proprie responsabilità, anche scomodandone i fondamenti etici

Luigi Ciotti

Luigi CiottiDirettore editoriale lavialibera

30 aprile 2021

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*** In anteprima dal n°8 de lavialibera ***

L’informazione è un sapere dalla natura instabile e transitoria. Vive nel qui e ora, perché tratta una materia che sempre tende a fuggire in avanti: l’attualità dei fatti, la volatilità delle opinioni. Quello che diciamo oggi, domani potrebbe non essere più vero, così le informazioni più recenti daranno origine a nuove letture del reale, non sempre più fondate né durature delle precedenti. Questo è un dato fisiologico che in qualche misura dobbiamo accettare, ma non sottovalutare, sia da semplici fruitori sia da produttori dell’informazione stessa. È legato al nostro bisogno di elaborare e condividere tempestivamente ciò che accade nei più svariati ambiti dell’agire umano, e anche allo sviluppo di tecnologie che negli anni hanno alimentato forme di trasmissione del sapere sempre più istantanee. Il fatto che si tratti di un processo inevitabile non significa però che l’informazione vada intesa e praticata in quest’unico modo. Le alternative esistono, e se non esistono dobbiamo inventarcele.

Il racconto dei fatti non può prescindere dal confronto con un mondo complesso e interconnesso

Oggi più che mai l’informazione è chiamata a ripensare i propri fondamenti. La pandemia ha puntato un faro sui tanti limiti del nostro sistema di organizzazione della vita, delle relazioni, della produzione e distribuzione della ricchezza, e appunto anche del sapere e della conoscenza. Ha messo in luce, qualora non fosse già abbastanza chiaro, che il mondo è una realtà enormemente complessa e strettamente interconnessa, e che il racconto dei fatti non può prescindere dal confronto con questa complessità, fatta da una pluralità di soggetti e situazioni, diritti, bisogni, interessi, paure e speranze, non di rado in competizione fra loro.

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Cosa ci insegna questo? Che nel dare conto di qualsiasi fatto specifico occorre inquadrarlo e metterlo bene a fuoco dentro il contesto, senza pregiudizi ideologici, senza eccessi emotivi e senza filtri rassicuranti. E soprattutto consapevoli della limitatezza del nostro sguardo, che inevitabilmente è interno, in qualche modo influenzato dalla realtà che pretende di interpretare. Altrimenti finiremo col vedere, e mostrare agli altri, qualcosa che risponde a una verità pre-costituita piuttosto che ri-costruita e indagata a fondo. Gli specialismi, i gerghi di settore, le narrazioni obsolete precludono la comprensione dei fenomeni perché ne offrono una visione granitica, dunque impermeabile all’intelligenza e alla sensibilità del lettore. I numeri dicono poco senza le storie, le tesi dovrebbero accogliere con gratitudine l’esistenza di antitesi con le quali confrontarsi.

Un altro elemento di debolezza dell’informazione sono i toni semplicistici e assertivi che hanno trovato sui social il loro palcoscenico d’elezione, ma hanno facilmente colonizzato anche i media tradizionali. Nessuna informazione calata dall’alto come verità assoluta, nessuna opinione spacciata con supponenza, nessun giudizio sbrigativo sulle cose e tanto meno sulle persone aiuterà la comprensione del pubblico. Giudicare è anzi il contrario di comprendere: per capire la complessità dei fenomeni umani, la sospensione del giudizio è una premessa necessaria. Premessa che, per quanto possa suonare incredibile, vale anche per il discorso sulle mafie, tema troppo a lungo trattato con superficialità dagli uni e con eccessi di specialismo dagli altri. Senza questa sospensione del giudizio, questa determinazione a cogliere i significati meno evidenti delle cose, non solo non sarebbero stati possibili tanti studi di spessore sulle mafie, ma neppure tanti progetti concreti, ad esempio quelli a favore dell’emancipazione delle donne e dei ragazzi che vivono in ambienti criminali.

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Abbiamo bisogno di un sapere che non parcellizzi la realtà, ma la renda come affresco di mondi, volti e storie

Ecco che ci avviciniamo al vero nodo della questione. Se vogliamo riflettere sulle responsabilità di chi fa informazione non possiamo fermarci alle tecniche, ma dobbiamo avere il coraggio di scomodare i fondamenti etici. Perché le tecniche, per quanto raffinate, non bastano. Anzi rischiano facilmente di piegarsi ai fini meno nobili. Al giorno d’oggi le tecniche dell’informazione sono spesso svilite a tecniche di propaganda, asservite a interessi di parte e alle leve del mercato. Pensiamo alla grande enfasi sulla comunicazione efficace o persuasiva. Dove l’efficacia non si misura dalla parte del pubblico, del destinatario di un messaggio che dovrebbe servire a orientarlo nella comprensione dei fatti e nelle scelte di vita, bensì dalla parte di chi l’informazione la produce. Efficace è allora ciò che attira più click, che fa sensazione, che convince a comprare un certo prodotto o a sostenere una certa parte politica. Questi modi di comunicare, che si sono sviluppati nell’ambito pubblicitario ma hanno oggi preso piede ovunque, banalizzano la realtà nel migliore dei casi, mentre nel peggiore la distorcono, come ci dimostra la mole crescente delle cosiddette fake news.

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Abbiamo bisogno di un’informazione diversa, di un sapere diverso! Un sapere meticcio, non interdisciplinare ma transdisciplinare: un sapere che abbraccia i punti di vista, le scienze, le culture, e ne fa sintesi, senza pretesa di completezza, ma di onestà intellettuale e morale. Un sapere che non parcellizza la realtà, ma che ce la restituisce come affresco di mondi, volti e storie, traiettorie di impegno, di ricerca, di condivisione e anche di conflitto. Questa rivista ha provato a buttarsi nel mare dell’informazione con tanta umiltà e però anche con questa grande ambizione. Speriamo di essere riusciti a realizzarla, almeno ogni tanto, grazie al rigore della ricerca, alla serietà delle fonti, e alla varietà dei punti di vista. E anche grazie ai continui stimoli e riscontri dei nostri esigenti lettori.

Da lavialibera n°8 2021

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