12 luglio 2021
C’è l’Arsenale. E dentro l’Arsenale, i rappresentanti dei 20 Governi più ricchi (e potenti) del mondo che discutono di finanza e del futuro dell’umanità con manager di banche, delegati di multinazionali, padroni di imprese fossili e amministratori di gruppi industriali. Fuori dell’Arsenale, c’è il mondo: Fridays for future, Extinction rebellion, sindacati di base, Non una di meno, gruppi antispecisti, No tav, Stop biocidio, No grandi navi. Attorno all’Arsenale, uno sbarramento di millecinquecento poliziotti asserragliati dentro calli chiuse per l’occasione con cancellate d’acciaio, cecchini sui tetti coi fucili sempre puntati, battaglioni di soldati in assetto di guerra, mezzi anfibi che corrono sparati sui canali ed elicotteri che rombano in cielo in stato di massima allerta. Eccola qua, la Venezia del G20. Fatte le dovute proporzioni, non è cambiato molto da quella Genova di, giusto giusto, vent’anni fa.
Sul tavolo del meeting dei 20 ministri delle Finanze (che assieme rappresentano più dell’80 per cento del Pil mondiale) ci sono tre questioni principali: una tassazione minima del 15 per cento per le multinazionali; una task force sui vaccini anti-covid per i Paesi in via di sviluppo e per rafforzare la risposta alle future pandemie; il monitoraggio dei rischi globali legati al cambiamento climatico. Se da un lato per il Commissario Ue agli Affari economici Paolo Gentiloni l'accordo per una riforma della tassazione globale rappresenta "una giornata storica", i manifestanti tagliano corto: “Ti pare un successo che una multinazionale paghi il 15 per cento di tasse mentre un'impresa artigianale paga il 39? Dovrebbe essere il contrario, semmai. Semplicemente ridicolo", è il commento di Tommaso Cacciari, uno dei portavoce delle rete anti G20.
La rete "We are the tide, you are only G20" ("noi siamo la marea, voi solo il G20") – nata un mese fa e decisa a proseguire in vista della Cop26 di Glasgow – ha presidiato Venezia durante tutti i giorni del summit. Dopo svariate dimostrazioni pacifiche e colorate, alla fine gli scontri.
Qui in laguna non ci sono galli che ti danno la sveglia, ma durante i quattro giorni del summit non c’è pericolo di svegliarsi tardi. Ci pensa il rombo degli elicotteri che volano sfiorando i tetti delle case per meglio sorvegliare calli e campielli, a tirarti giù dal letto. Cominciano all’alba e vanno avanti e indietro senza concedere tregua sino al tramonto. Sono gli Aw139 Leonardo. Velivoli dalle altissime prestazioni e che in un’ora di volo bruciano 600 litri di carburante.
Tutti i giornali, senza distinzione, sono concordi nel descrivere una Venezia “blindata”. In realtà, ad essere blindate sono le delegazioni delle venti grandi potenze venute qui a discutere sui destini del mondo. Dal punto di vista dei (sempre meno) residenti della città lagunare, sembra di vivere nei giorni dell’acqua alta. Interi quartieri impossibili da raggiungere senza un pass speciale, tornelli nelle calli, canali chiusi al traffico, musei sbarrati, attività commerciali e turistiche sospese. “Non bastava la pandemia, adesso ci è capitato anche il G20”, è il ritornello preferito di negozianti e alberghieri che vivono la “blindatura” come un prosieguo di zona rossa. E ancora: corse di battelli e vaporetti sospese o costrette a deviazioni che, più che facilitarti lo spostamento, ti complicano la vita. Un esempio è l’ospedale Civile che per sua sfortuna si trova nei pressi dell’Arsenale dove si svolge il vertice. Il battello non si ferma più all’imbarcadero vicino. E neppure a quello dopo. Chi deve andarci a lavorare, a visitare un parente ricoverato o per seguire una terapia, deve sfangarsela a piedi lungo tutta la fondamenta, e sotto un solleone africano che è la miglior testimonianza del climate change.
Ancora una volta, Venezia è stata usata come un palcoscenico a dispetto di chi, ostinatamente, continua a viverci.
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A portare un po’ di colore in questo grigioverde militare che ha occupato calli e campielli ci ha pensato We are the tide, you are only G20: "noi siamo la marea, voi solo il G20". La rete si è proposta di ricordare ai “grandi delle Terra” che un altro mondo, libero dai condizionamenti della finanza, non solo è possibile o auspicabile, ma è necessario per la sopravvivenza dell’umanità su questo pianeta. La rete We are tide è nata un mese fa, in una chiesa di periferia di un quartiere di periferia di una già di per sé periferica Marghera (il quartiere di Venezia sulla terraferma, ndr). È stato un prete di frontiera a tenerla a battesimo ospitando nei locali del suo patronato i rappresentanti di tante associazioni e movimenti: don Nandino Capovilla della parrocchia della Resurrezione. Personaggio noto in città per le tantissime attività a favore del popolo palestinese.
We are tide ha unito sotto l’ombrellone dalla giustizia climatica praticamente l’intero arcipelago ambientalista e di movimento del nostro Paese. Tantissime le realtà che vi fanno parte: dai Fridays for future a Extinction rebellion, da sindacati di base come Cobas e Adl, a Non una di meno e gruppi antispecisti, sino agli storici No tav, Stop biocidio e No grandi navi. Questi ultimi a far gli onori di casa assieme alla foresta di Sherwood dei centri sociali del nord est. Due i partiti politici che hanno ufficialmente aderito: Rifondazione comunista ed Europa Verde.
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Dal sit in davanti alle sedi di Banca Intesa San Paolo, “scelta per i suoi continui investimenti nell'ambito del carbon fossile e perché rappresentativo del mondo della finanza”, sino all’immancabile striscione appeso al ponte di Rialto, le ragazze e i ragazzi di Extinction rebellion si sono resi protagonisti di alcuni vivaci iniziative come quella che ha colorato di rosso il ponte di Calatrava sotto lo striscione “I loro soldi, il nostro sangue”. Oppure la rappresentazione di sirene morte e spiaggiate su una fondamenta a simboleggiare la devastazione dell’ambiente marino. Sul ponte dell’Arsenale, le attiviste di Extinction si sono simbolicamente incollate per terra, costringendo i passanti, per lo più giornalisti e funzionari direi al vertice, a scavalcare i loro corpi.
“Vent’anni fa la contrapposizione era tra capitale e lavoro, oggi è tra capitale e vita – ha spiegato Anna Clara Basilicò, portavoce di We are the tide –. Ai potenti chiediamo di ascoltarci e di uscire dalla loro bolla per il bene di tutta l’umanità”. Ecco perché la rete nata per il G20 di Venezia non ha intenzione di fermarsi qui: il percorso che è stato aperto porterà la voce dei movimenti ambientalisti italiani a Glasgow, dove a novembre è prevista la Cop26 sul clima, rimandata di un anno causa covid.
La situazione è degenerata verso le 16.30 quando i manifestanti hanno deciso di violare la zona rossa per avvicinarsi all’Arsenale e far sentire ai potenti la voce di chi chiede “giustizia sociale, giustizia climatica, reddito e welfare per tutti”. L'appuntamento era alle 14.30 alla fondamenta delle Zattere che dà sul canale della Giudecca, teatro delle storiche battaglie contro le Grandi navi. Nonostante la colonnina del termometro segnasse ben oltre i 30 gradi – a ricordare ai presenti che questa è l’estate più calda degli ultimi anni ma anche la più fresca degli anni a venire – almeno millecinquecento persone hanno accolto l’appello di scendere in campo per ricordare ai 20 che il mondo non può essere governato dalle logiche di una finanza predatoria. La pandemia e lo spezzettamento del summit in tanti vertici hanno impedito la partecipazione di rappresentanze internazionali, ma sono comunque arrivate attiviste ed attivisti da tante regioni italiane, dalla Val Susa alla Campania.
Il corteo si è mosso con determinazione verso lo sbarramento di poliziotti in assetto antisommossa che lo attendeva nella calle larga di Sant’Agnese. A tenere la testa del corteo erano soprattutto ragazze. Le donne, per lo più giovani o giovanissime – e questo è senza dubbio una novità – sono state le vere protagoniste di questi giorni, sia nell’organizzazione delle iniziative sia negli interventi al microfono e nella gestione della piazza. Nei municipi zapatisti dello Stato messicano del Chiapas, si dice che “quando le donne avanzano, nessuno resta indietro”. Così è stato anche sabato a Venezia.
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Una ragazzina che si teneva un fazzoletto in testa per fermare il sangue mi ha detto: “Ci hanno voluto mostrare il vero volto del capitalismo barricato dentro l’Arsenale”
La carica violenta della polizia non è riuscita a disperdere il corteo che ha tenuto il campo, indietreggiando solo sotto i colpi dei manganelli. Ci sono stati tra i manifestanti diversi feriti e contusi. Un giovane è stato fermato e oggi sarà processato per direttissima. Una ragazzina che si teneva un fazzoletto in testa per cercare di fermare il sangue mi ha detto: “Ci hanno voluto mostrare il vero volto del capitalismo barricato dentro l’Arsenale”.
"Questo summit non può offrire una soluzione perché è parte integrante del problema – afferma Cacciari –. Noi questo lo avevamo capito anche vent’anni fa ma i potenti che si sono asserragliati dentro l’Arsenale, ancora no. Continuano a proporre le stesse fallimentari ricette liberistiche ancora legate alle energie fossili”. “È una precisa strategia delle politiche dominanti quella di evocare nei loro proclami temi cari ai movimenti ambientalisti per aggiudicarsi consensi e fare poi esattamente l’opposto – spiega Gianfranco Bettin, storico ambientalista veneziano e portavoce dei Verdi –. In realtà, come abbiamo visto anche oggi (sabato, il giorno della manifestazione, ndr) la distanza tra chi esercita il potere e il mondo reale è sempre più incolmabile”.
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