11 febbraio 2021
“La buona notizia su cui abbiamo insistito tutti è che ci sarà il ministero della Transizione ecologica". A parlare è Donatella Bianchi, presidente del Wwf, all'uscita dell'incontro svoltosi ieri – 10 febbraio – a Montecitorio tra le tre principali associazioni ambientaliste italiane – Greenpace, Legambiente e Wwf – e il Presidente incaricato a formare un nuovo governo Mario Draghi. Un incontro inusuale considerando che l'unico precedente era stato nel 2013 con l'allora governo Bersani. Draghi – che durante l'incontro avrebbe definito il futuro esecutivo come "europeista, atlantista e ambientalista" – in realtà non ha confermato la costituzione di questo ministero, ma non l'ha neppure smentita.
Per oggi si attende il voto sulla piattaforma Rousseau per l'appoggio finale al nuovo governo anche da parte del Movimento 5 Stelle. Il quesito prevede un riferimento esplicito al nuovo ministero, voluto fortemente nelle ultime ore dal garante del M5s Beppe Grillo come condizione per il loro appoggio.
La partita attorno a questo possibile nuovo ministero è considerata di fondamentale importanza soprattutto in vista dell'approvazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che il nuovo esecutivo dovrà presentare alla Commissione europea entro fine aprile per essere approvato entro il 30 giugno. Un Piano che – stando all'ultima bozza del 12 gennaio – per tutti i movimenti ambientalisti il Recovery plan italiano "è ampiamente migliorabile", soprattutto sul fronte dei finanziamenti alle rinnovabili – e di uno stop dei sussidi alle fonti fossili –, della mobilità sostenibile e di un'agricoltura che sia agroecologia e non agrobusiness.
Recovery plan italiano, cosa prevede e perché non ci siamo
La transizione ecologica è un concetto centrale tanto per i movimenti ambientalisti, quanto per la lotta al cambiamento climatico. Attuare la transizione ecologica – come per altro richiesto dall'Europa prima attraverso il Green deal europeo e ora con il programma NextGenerationEU che prevede per questo capitolo il 37 per cento degli investimenti totali – significherebbe trasformare l'intero sistema produttivo verso un modello economico sostenibile per l'ambiente in tutti i suoi comparti: dalla produzione di energia a quella industriale, dall'agricoltura all'economia circolare.
E' necessario distinguere tra transizione energetica e transizione socio-ecologica. Con la prima si intende la trasformazione dei sistemi di produzione energetica verso soluzioni caratterizzata da un ridotto impatto ambientale, con particolare riferimento alle emissioni di gas serra climalteranti e, più in generale, da una maggiore sostenibilità. Al centro di questa transizione ci sono il passaggio a un mix di fonti energetiche basate sui combustibili fossili a uno incentrato sull'utilizzo di fonti rinnovabili, l'efficienza energetica e la realizzazione di sistemi di cattura e sequestro della CO2.
In una transizione socio-ecologica ciò che cambia non sono solo le fonti di energia e le relative tecnologiche di conversione, ma anche altre caratteristiche della società: l'economia, la demografia, i modelli di insediamento, le stesse relazioni sociali.
Al momento mancano dettagli concreti in merito al funzionamento e alle responsabilità che avrebbe l'ipotetico ministero. Di certo, c'è un motivo che potrebbe spingere Draghi a puntare su un istituto ad hoc: l'accesso ai fondi del programma NextGenerationUE, il piano di aiuti che l'Unione ha messo in campo per la ripresa economica del Vecchio continente.
All'Italia sono destinati circa 210 miliardi di euro ma per ottenerli il nostro Paese deve far sì che il Pnrr sia in linea con gli obiettivi del Green deal europeo: il sogno della presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, che nel novembre 2019 ha promesso mille miliardi di euro per rendere l'Europa il primo continente climaticamente neutro entro il 2050. In realtà non si tratta di soldi che l'Ue metterà direttamente di tasca sua (al momento ammontano a 7,5 miliardi), ma di un conteggio complessivo che mira a stimolare investimenti pubblici e privati per questa cifra.
Il recovery plan che il secondo governo Conte ha approvato prevede ad oggi di stanziare 67,5 miliardi di euro per la transizione ecologica e la rivoluzione verde. Finanziamenti su cui dovrebbe aver parola il ministero per la Transizione ecologica, anche se non si sa ancora a che titolo e in che misura. Su quale sarà, in pratica, il suo profilo Il Messaggero ha provato a fare alcune ipotesi. Il movimento 5Stelle punta ad accorpare ministero dello Sviluppo, ministero dell'Ambiente e una parte del ministero delle Infrastrutture che si occupa di trasporti. Ma la proposta fa storcere il naso a molti perché sarebbe un buco nero per la spesa pubblica, gestirebbe un'eccessiva quantità di fondi pubblici e metterebbe insieme competenze che con l'ambiente hanno poco a fare. L'altra ipotesi – prosegue Il Messaggero – prevede un allargamento delle competenze del ministero per lo Sviluppo economico, che ingloberebbe al suo interno anche la mission di traghettare il Paese verso la transizione ecologica, mentre il ministero dell'Ambiente conserverebbe le sue attuali competenze.
Nel governo c'è già un Dipartimento per la transizione ecologica e gli investimenti verdi, attualmente sotto il ministero per l'Ambiente. Mariano Grillo, capo del dipartimento "cura le competenze del ministero in materia di economia circolare, contrasto ai cambiamenti climatici, efficientemente energetico, miglioramento della qualità dell'aria e sviluppo sostenibile, cooperazione internazionale ambientale, valutazione e autorizzazione ambientale e di risanamento ambientale". Il dipartimento è articolato in quattro direzioni generali: una per l'economia circolare (ECi), una per il clima, l'energia e l'aria (CLEA), una per la crescita sostenibile e la qualità dello sviluppo (CreSS) e infine quella per il risanamento ambientale (RiA). Le sorti di questo dipartimento sono al momento incerte.
"Un Super-Ministero per la transizione ecologica lo hanno Francia, Spagna, Svizzera, Costarica e altri paesi. Presto lo dovranno avere tutti. Non lo dico io. Ce lo gridano la natura, l’economia, la società. E anche Papa Francesco". Così Beppe Grillo, sul suo blog, cerca di convincere i sostenitori del M5s ad accettare il governo Draghi.
In Francia il ministero della Transizione ecologica e solidale, fondato nel 2017, ha sostituito il ministero dell’Ambiente e dello sviluppo sostenibile e inglobato il ministero dei Trasporti. Il nuovo ministero si occupa ora di sviluppo sostenibile; ambiente, protezione e miglioramento della natura e della biodiversità; prevenzione dei rischi naturali e tecnologici; energia; sicurezza industriale; trasporti e infrastrutture; politiche abitative e urbanistica (“È responsabile della politica contro l'espansione urbana incontrollata”).
Dal decreto che lo istituisce si apprende che il ministero “sviluppa e attua la politica per combattere il riscaldamento globale e l'inquinamento atmosferico. Promuove la gestione sostenibile delle risorse scarse”. Dal 2017 a oggi, si sono alternati ben quattro ministri:
Nicolas Hulot, presentatore tv noto per i suoi programmi sull’ambiente e attivista ecologista, che si è dimesso nel 2018 in contrasto col governo: nonostante fosse tra i ministri più forti, non si sentiva appoggiato in alcune battaglie contro l’uso dei pesticidi
François de Rugy, che ha dovuto affrontare insieme al governo le proteste dei Gillet jaune contro l’aumento delle tasse sui carburanti (la taxe carbon);
Elizabeth Borne, nota in Italia perché si è occupata della Tav Torino-Lione;
Barbara Pompili, in passato deputata di Europe écologie – Les Verts, poi nel Partito ecologista e poi nel 2017 in La République en Marche, fondato da Macron.
In Francia Greenpeace dubita del potere dei ministri ritenendo che sia il presidente Macron a decidere.
In Spagna nel 2020 è stato istituito il ministero della Transizione ecologica a cui poi è stato aggiunto un altro appellativo: “Transizione ecologica e sfida demografica”. Il decreto che lo ha creato specifica che “è responsabile della proposta e dell'attuazione della politica del Governo su clima, energia e ambiente per la transizione verso un modello produttivo e sociale più ecologico, nonché l'elaborazione e lo sviluppo della politica del governo di fronte alla sfida demografica e allo spopolamento territoriale”. Uno dei suoi compiti è quello di tutelare l’acqua “come bene pubblico essenziale”. Oltre alla ministra Teresa Ribera Rodriguez, ci sono due segretari di Stato: uno per l’energia, l'altro per l’ambiente.
Sin da subito le associazioni ambientaliste italiane hanno accolto con favore la proposta di un ministero per la Transizione ecologica. "È una novità di rilievo", ha commentato Ivan Novelli, presidente di Greenpeace Italia, che però specifica come il nuovo ministero della Transizione ecologica funzionerà solo se sarà in grado di "superare la dicotomia tra ministero dell'Ambiente e ministero dello Sviluppo economico e funzionare come un open space con politiche integrate, per spendere al meglio il 37% dei 209 miliardi di euro" destinati all'Italia dal Recovery plan.
"Ci auguriamo che le ministre e i ministri che comporranno il futuro governo Draghi abbiano competenze in campo ambientale e sappiano affrontare l’emergenza dei cambiamenti climatici – conclude Novelli che rilancia –. Abbiamo proposto l’istituzione di una figura che si occupi esclusivamente di clima, come negli Stati Uniti con la nomina da parte del presidente Biden come inviato speciale di una persona del livello di John Kerry".
Molte le proposte fatte dagli ambientalisti: da una riforma fiscale per togliere i sussidi dannosi per l’ambiente a una legge nazionale sul dibattito pubblico "per fare in modo che questi 209 miliardi di euro che porteranno ad aprire centinaia se non migliaia di cantieri in Italia vengano spesi in accordo con le regioni", specifica Stefano Ciafani, presidente di Legambiente.
La delegazione ha consegnato a Draghi anche una lettera firmata dai Fridays for future, con la quale attiviste e attivisti del movimento nato nel solco degli scioperi per il clima organizzati da Greta Thunberg chiedono all’ex Presidente della Bce di portare avanti ad ogni costo – “whatever it takes'" – provvedimenti per uscire dall’emergenza climatica.
Per quanto riguarda gli investimenti previsti nel Recovery Plan, la richiesta delle associazioni è stata di finanziare solo le "opere giuste", ovvero le rinnovabili. "Ora serve allineare il Recovery plan italiano al Green deal europeocon obiettivi più ambiziosi, una nuova stagione di semplificazioni, partecipazione territoriale e controlli efficaci", affermano all'unanimità le tre associazioni.
Per Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpace, l'ultima bozza del 12 gennaio continua a fare riferimento "al vecchio Piano integrato clima ed energia e dunque agli obiettivi già superati". Un limite che rischia di essere cruciale. "Nel campo della produzione di elettricità la quota di rinnovabili al 2030 deve salire dal 55 al 70 per cento", mentre nel Pnrr "i riferimenti alle rinnovabili sono debolissimi. Raddrizzare sui nuovi obiettivi europei il Pnrr sarà tra i primi compiti di Mario Draghi. Dovrà farlo non solo perché glielo chiedono gli ambientalisti ma perché le risorse europee devono essere spese in modo efficace per i nuovi obiettivi di lotta alla crisi climatica".
“Almeno il 37% delle risorse messe in campo dal Piano devono andare ad azioni per il clima e la biodiversità, mentre da nostre elaborazioni nella proposta di Piano all’esame del Parlamento si arriva solo al 31% (mancano oltre 13 miliardi per le scelte green) – sostiene Donatella Bianchi –. Abbiamo, infine, segnalato al Professor Draghi come l’Italia abbia bisogno di definire una strategia di decarbonizzazione a lungo termine e di impegnarsi nel prossimo decennio a costruire un Paese nature positive e sostenibile, per essere protagonista degli impegni internazionali previsti nel 2021, della presidenza italiana del G20 alla Cop26 sul clima”, la conferenza sul clima rimandata a novembre 2021 causa covid e organizzata dal Regno unito in collaborazione con l'Italia.
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