Il campo nomadi di Stornara dopo l'incendio. Credits: Luca Pernice
Il campo nomadi di Stornara dopo l'incendio. Credits: Luca Pernice

Foggia, le denunce ignorate sul campo nomadi in cui sono morti due bimbi

Il campo di Stornara è una piccola città dove si vive in assenza delle condizioni minime di igiene e sicurezza. Richieste di intervento sarebbero state inoltrate al comune di Stornara, alla prefettura e alla Procura di Foggia, ma non hanno portato ad alcun risultato

Luca Pernice

Luca PerniceGiornalista

24 dicembre 2021

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Se oggi Gesù Bambino dovesse scegliere dove nascere, lo farebbe in una delle baracche del campo di Stornara, nel foggiano. In quello stesso ghetto dove, una settimana fa, sono morti Christian e Birka, i due fratellini bulgari di quattro e due anni, avvolti tra le fiamme della baracca in cui stavano dormendo. Una piccola città dove si vive in assenza delle condizioni minime di igiene e sicurezza. Richieste di intervento sarebbero state inoltrate al comune di Stornara, alla prefettura e alla Procura di Foggia. Tutte ignorate. A poche ore dal Natale in quel ghetto, a due chilometri dal cimitero di Stornara, lungo una strada asfaltata detta il “Tratturello regio Ponte di Bovino”, non c’è alcun addobbo. Né una luce colorata o una stella illuminata. Al loro posto, buste di immondizia che coprono la maggior parte del terreno dove sorge il campo.

Vivere e giocare tra i rifiuti

Un terreno di proprietà di una famiglia di pregiudicati del posto che avrebbe accettato che, nel corso degli anni, le famiglie di bulgari e rumeni si sistemassero in quella campagna. Qualcuno dice dietro una retribuzione mensile anche se, agli investigatori, non risulta.

Un terreno delimitato da un pezzo di muro che, almeno in parte, nasconde il degrado di quella zona. Ma è sufficiente fare pochi metri per scoprire le centinaia di baracche. Quella dove vivevano i due fratelli si trova quasi al centro del ghetto. Per raggiungere il posto è necessario camminare su buste di plastica con avanzi di cibo che diventano il pasto dei tanti cani randagi, che condividono quel luogo con uomini, donne e bambini. È tra questi cumuli di rifiuti che sorgono le baracche: capanne di legno, cartone, plastica e anche vecchie coperte saldate al legno con chiodi, facendole diventare le mura di queste abitazioni di fortuna.

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Tra queste, prima di entrare nella zona centrale del campo, ce ne è una quadrata. Piccola. Dall’odore che emana sembra essere la latrina, utilizzata dagli ospiti del ghetto. “È il nostro bagno”, conferma Georgi, un trentenne bulgaro che dice di essere qui da circa un anno. “Lo usiamo quasi tutti. Anche se spesso noi uomini andiamo a fare i nostri bisogni anche all’aperto, in quella zona”, dice indicando una campagna adiacente ad alcune baracche dove ci sono diversi alberi.

È difficile capire quante persone vivano nel campo. Ma le baracche sono tante. Nel mezzo, sul terreno tra fango e pozzanghere, corrono diversi fili elettrici quasi sicuramente utilizzati dai residenti per gli allacci abusivi alla corrente elettrica.

"Qui non c'è la luce e ormai siamo abituati a questa immondizia. Non ci facciamo più caso"

“Qui non c’è la luce – ci spiega Elena, una ragazza di 23 anni rumena che vive in questo campo da un anno e mezzo -. Gli uomini lavorano nelle campagne e noi viviamo qui. Ormai siamo abituati a questa immondizia. Non ci facciamo più caso”.

Accanto ad una delle abitazioni c’è un secchio in ferro, di quelli utilizzati per la vernice o l’olio con dentro alcuni pezzi di legno bruciati. Sono le stufe dei bulgari. Forse la stessa stufa, artigianale, che ha provocato l’incendio che ha ucciso i due fratellini.

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Le denunce ignorate

Questa è una città illegale a pochi metri da quella legale

Una città illegale sorta diversi anni fa a pochi metri dalla città legale. Una zona conosciuta da tutti ma allo stesso tempo da tutti dimenticata. Fino a venerdì mattina quando un incendio ha ucciso due piccoli innocenti. Eppure c’è stato chi aveva denunciato. C’è stato chi aveva chiesto interventi. Angela Rutigliano è stata comandante della polizia locale a Stornara. Nel marzo del 2020 aveva segnalato all’autorità la presenza di quel campo. Ma soprattutto aveva segnalato l’emergenza e il pericolo che correva chi viveva tra quelle baracche.

Le sue prime segnalazioni sono state inoltrate dopo un incendio scoppiato tra il 5 e il 6 marzo del 2020 su un terreno adiacente a quello dove vivono i rom – utilizzato come discarica abusiva –  e dove andarono in fumo eco balle e altri rifiuti. In quella occasione la Rutigliano si rese conto della situazione di degrado del campo, dove vivevano anche un centinaio di bambini. Nei giorni successivi partirono le prime denunce che però non portarono alcun risultato. Richieste di intervento che sarebbero state inoltrate al Comune di Stornara, alla prefettura di Foggia e anche alla Procura. Quest’ultima, dopo la segnalazione della Rutigliano, avrebbe chiesto che fosse effettuato un censimento delle persone che vivevano in quel campo. Censimento che, però, non è mai avvenuto. Inoltre, qualche mese dopo l’incendio, nel giugno del 2020 la Asl avrebbe effettuato un sopralluogo nella baraccopoli alla periferia di Stornara, accertando la grave situazione igienico sanitario e di sicurezza in cui vivevano e vivono gli ospiti del campo. Ma anche dopo quell’ispezione non è stato preso alcun provvedimento. 

Anche dopo l'ispezione che aveva segnalato le gravi mancanze, non erano stati presi provvedimenti

Un ghetto fantasma fino a venerdì mattina, dunque, quando la notizia della morte dei due fratelli ha fatto giro delle cronache nazionali. Una notizia accompagnata da commenti della politica e seguita da vertici e incontri. La Procura ha indagato la madre dei due bambini per omicidio colposo: un atto dovuto, mentre si attende – come è stato chiesto dalle istituzioni – la pulizia e il ripristino dei luoghi. Termini che vogliono dire tutto e nulla. Anche se, al momento, non è stato ancora chiarito quale sarà il futuro di quei bulgari e rumeni. Un campo, quello del “Tratturello regio Ponte di Bovino” simile all’ex pista di Borgo Mezzanone, al Gran Ghetto tra Rignano Garganico e San Severo. Con le stesse baracche, la stessa immondizia e anche gli stessi morti.

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