Terremoto in centro Italia, quel che resta della "botta grossa"

Nell'ottobre del 2016 la Val Castoriana fu scossa dal forte terremoto che colpì l'Italia centrale. Il sisma rase al suolo interi insediamenti che oggi, sei anni dopo, sono paesi fantasma

Livio Santoro

Livio Santoroscrittore

28 ottobre 2022

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Roverella, carpine e abete. Orniello, sorbo e faggio. Poi acero, noce, nocciolo e pioppi cipressini in schiera lungo il corso del fiume. Sono questi alcuni tra gli alberi che verdeggiano in Val Castoriana, territorio umbro appartenente ai comuni di Norcia e Preci su cui insiste il Campiano, un sottile corso d’acqua che giungendo poi in Valnerina contribuisce alla più copiosa portata del Nera. Breve ma ampia, la Val Castoriana, fatta di morbide montagne su cui si aprono pascoli e larghi coltivi, a tradirne la vocazione agreste, pastorale. Oggi la valle è infatti nota perlopiù per il buon cibo. Qui, sui monti Sibillini, diventati ormai un’etichetta riconoscibile al supermercato, si producono legumi, cereali, pecorino e soprattutto insaccati e salumi, milioni di prosciutti e capicolli e lonze e ciauscoli e salami che ogni anno prendono la via della grande distribuzione e delle salumerie di tutta Italia: in fin dei conti siamo nella terra che ha dato nome al mestiere di chi lavora le carni, il norcino, e sarebbe strano se non fosse così.

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Terra di monaci, medici e sibille

In passato, tuttavia, questa terra ha avuto anche altre vocazioni, in principio meno mondane: la valle solinga, per la sua quiete, fu scelta infatti quale tebaide da alcuni eremiti. Siamo tra il V e il VI secolo dC quando i monaci Spes, Eutizio e Fiorenzo, che sarebbero poi diventati santi, approdano per il proprio romitaggio in questa remota geografia. La stessa che ha poi generato varie leggende, alcune delle quali vedono una sibilla stabilirsi nelle vicinanze, dando ai monti il nome che portano oggi: la Sibilla appenninica, per la precisione, di cui abbiamo traccia scritta soprattutto grazie ad Antoine de La Salle e Andrea da Barberino, che attorno al 1400 mettono su carta, ne Il Paradiso della Regina Sibilla e Il Guerrin Meschino, i racconti della tradizione orale dell’Appennino (più di recente, nel 2021, una versione contemporanea di questa sibilla compare in Nome non ha, libro illustrato di Loredana Lipperini ed Elisa Seitzinger pubblicato da Hacca edizioni).

Mentre Antoine de La Salle e Andrea da Barberino scrivono della Sibilla appenninica, la Val Castoriana vede l’avvio dell’età dell’oro di una scuola empirica di chirurgia che, come diremmo oggi, avrà fama internazionale, anche grazie ai saperi accumulati nei secoli dai monaci eredi di Spes, Eutizio e Fiorenzo. Da lì, e per oltre duecento anni, gli esperti chirurghi della zona si sarebbero fatti conoscere in tutta Europa: nel 1600 offrirono i propri uffici addirittura alla corte degli Asburgo, operando con successo le cataratte dell’allora imperatrice Eleonora.

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La “botta grossa”

Se questa è la breve storia della valle, discorso diverso va fatto per gli anni più recenti, in cui la medesima storia ha subìto una tragica battuta d’arresto. Tra Preci e Norcia, infatti, il 30 ottobre 2016 c’è stato l’epicentro della più forte scossa (magnitudo 6,5) registrata durante la sequenza sismica Amatrice-Norcia-Visso. La “botta grossa”, come è stata chiamata (da cui il docufilm del 2017 di Sandro Baldoni, La botta grossa. Storie da dentro il terremoto), un evento che ha messo in ginocchio la comunità valligiana, di per sé piuttosto avvezza ai terremoti ma già fortemente provata dalle scosse dell’agosto precedente.

Migliaia di sfollati produsse la “botta grossa”, senza lasciarsi morti alle spalle ma radendo al suolo la quasi totalità degli insediamenti posti sul crinale delle montagne al fianco destro del Campiano. Ed è come ce li ha restituiti il terremoto nel 2016 che questi paesi giacciono ancora oggi in massima parte: abbandonati a sé stessi, inselvatichiti, con l’accesso talvolta interdetto da transenne che sembrano abbandonate anch’esse. Paesi che a volte appaiono sotto forma di vestigia fantasma, perimetri vuoti di pietra assente, o in altri casi con le macerie ancora accumulate in mucchi di sassi inerti da cui sbucano tubi dell’acqua e del gas, tondini di ferro e vari oggetti d’uso comune: un telecomando, una pentola, delle ciabatte, libri, materassi, un divano. E, a volte, oltre le crepe e gli squarci sui muri ricompaiono i monti.

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