28 febbraio 2023
Il tema è tornato in auge con l’arresto di Matteo Messina Denaro. Tra mafiosi e certi massoni sono esistite delle complicità. Ad esempio, il medico del boss, Alfonso Tumbarello, era un iscritto alla loggia Valle di Cusa – Giovanni Di Gangi del Grande oriente d’Italia, la principale organizzazione massonica italiana, da cui è stato subito sospeso. E a Trapani, i contatti tra questi due mondi risalgono a parecchi decenni fa.
Affiliazioni segrete, simbologie e rituali misteriosi, vincoli inscindibili di fratellanza sono alcune affinità tra l’appartenenza mafiosa e quella massonica, frutto di un’imitazione consapevole o forse di un adattamento alle necessità. Se a questi fattori si sommano le consistenti evidenze giudiziarie di intrecci e connubi tra entità massoniche e organizzazioni mafiose, ecco che in Italia nel discorso pubblico e nell’immaginario collettivo finisce per affiorare una sorta di Idra – invincibile mostro marino dalle tante teste, che ricrescono una volta tagliate – dal nome di massomafia.
Un’entità invisibile e perciò, si presume, potentissima, frutto dell’ibridazione di frange criminali della classe dirigente con l’élite mafiosa, all’interno di una nuova struttura di comando incardinata nella massoneria deviata. È certo il coinvolgimento di segmenti dell’élite politico-istituzionale, imprenditoriale e professionale in un’estesa gamma di attività criminali; sono comprovati i suoi legami con i clan mafiosi, così come l’occasionale impiego di strutture massoniche o para-massoniche (a volte solo pseudo-massoniche), quale luogo di incontro e camera di compensazione dei corrispondenti comitati d’affari. Si tratta però di relazioni tra soggetti – individui e organizzazioni – che mantengono identità, logiche d’azione, obiettivi, strategie distinte e non sovrapponibili, per quanto convergenti in negoziazioni, scambi occulti, alleanze trasversali.
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