Aggiornato il giorno 8 giugno 2023
Aggiornamento del 16 gennaio 2023: Matteo Messina Denaro, l'ultimo grande boss latitante di Cosa nostra, è stato arrestato all'alba del 16 gennaio 2023 dai carabinieri alla clinica privata Maddalena, nel centro di Palermo.
A trarre in arresto il capomafia di Castelvetrano (Trapani), dopo la sua latitanza di 30 anni, sono stati i militari del Raggruppamento operativo speciale (Ros) dell'Arma. Su di lui gravano diverse condanne per associazione mafiosa e diversi omicidi. Inoltre Messina Denaro è tuttora sotto processo perché accusato accusato di essere il mandante delle stragi di Capaci e via D'Amelio. In primo grado era stato condannato all'ergastolo dalla Corte d’assise di Caltanissetta. Il processo d’appello è in corso e il 27 ottobre scorso il procuratore generale Antonino Patti ha chiesto la conferma della pena. “L’accusa che si muove a Matteo Messina Denaro è di avere deliberato, insieme ad altri mafiosi regionali, che rivestivano uguale carica, le stragi. Quindi ci occupiamo di un mandante, non di un esecutore – ha detto il pg Patti all’inizio della sua requisitoria –. L'imputato entrò a far parte di un organismo riservato direttamente alle dipendenze di Totò Riina, il gruppo denominato la ‘Super cosa’”. Matteo Messina Denaro “è certamente un mafioso”, ha aggiunto il procuratore: “Ha quattro condanne per 416bis, riferite a tempi diversi. È certamente un assassino perché dal casellario giudiziale mi risulta essere stato condannato per sette stragi e una ventina di omicidi”. Tra lui e Riina “c’era un totale e reciproco rapporto di fiducia”, un rapporto “iniziato negli anni Ottanta non ha mai avuto avuto alcun momento di attrito o incrinatura. Anche dopo le stragi Matteo Messina Denaro, dopo che Riina venne arrestato, continuò a esercitare la sua egemonia”. E questo nonostante la sua giovane età: “Era incensurato, sconosciuto alle forze dell'ordine – diventerà latitante soltanto il 2 giugno del '93 – e in quel momento libero di muoversi. Matteo era capace a livello criminale e Riina capì che la pasta era quella giusta”.
Per anni gli investigatori hanno cercato di fare terra bruciata intorno al boss arrestando i suoi fiancheggiatori: sono stati 140 gli arresti dal 2011, secondo l’Ansa. L’ultimo a finire in cella è stato Francesco Luppino, catturato il 6 settembre scorso. Imprenditore, aveva la delega del boss nella gestione del territorio e nelle nomine dei reggenti ma anche per gli appalti, gli affari e il complesso delle attività criminali tra Campobello di Mazara, Marsala e Mazara del Vallo.
A novembre era tornato a parlare di lui Salvatore Baiardo, l’uomo che all'inizio degli anni Novanta gestì la latitanza dei fratelli Graviano, Giuseppe e Filippo. Secondo lui, Messina Denaro era gravemente ammalato e sarebbe stato pronto a farsi arrestare.
Di seguito l'infografica sui beni sequetrati e confiscati a persone a vario titolo riconducibili a Matteo Messina Denaro, aggiornato ai dati disponibili a luglio 2020
Il denaro non è soltanto una parte del suo cognome, ma uno strumento del suo potere invisibile e intatto. Protagonista della stagione delle stragi, killer spietato ("Con le persone che ho ammazzato io, potrei aprirci un cimitero"), latitante dal 1993, Matteo Messina Denaro non basa la sua leadership soltanto sulla violenza, ma soprattutto sui soldi e sui rapporti con politica e massoneria.
Dopo le morti di Totò Riina e di Bernardo Provenzano è il boss di Cosa nostra più forte e imprevedibile, tra gli uomini più ricercati al mondo. Tutti lo cercano, nessuno lo trova. Può contare su una fitta rete di protezione in Sicilia e nel Nord Italia, fatta non solo di gregari, ma anche di gente che conta.
Dopo le morti di Totò Riina e di Bernardo Provenzano, Matteo Messina Denaro è il boss di Cosa nostra più forte e imprevedibile, tra gli uomini più ricercati al mondo
"Ogni volta che ci sono indagini su Matteo Messina Denaro - diceva il procuratore antimafia Federico Cafiero De Raho a lavialibera - si riesce a recidere tutto ciò che gli sta intorno ma, stranamente, non si arriva mai a catturarlo. Il che per la verità è inammissibile in una democrazia come la nostra, avere un latitante da 27 anni. Sono convinto che lo arresteremo a breve".
Le stragi, Cosa nostra e la forbice sociale
MMD è il capo del mandamento di Castelvetrano (Trapani), il suo paese natio, e ha avuto un ottimo rapporto con i corleonesi. La procura di Caltanissetta lo scorso luglio ha chiesto l'ergastolo, accusandolo di essere uno dei mandanti degli attentati di Capaci e Via D'Amelio. Dopo le stragi, si è dato alla macchia. La sua latitanza è sostenuta da una rete di imprenditori di ogni settore, come se MMD fosse a capo di una holding, una società che detiene le quote di un'altra società. Per arrivare a lui, lo Stato tenta di smantellare questa galassia con arresti e soprattutto sequestri e confische. "Questo tipo di soggetti sfuggiva all'azione penale. Le misure di prevenzione si adattano meglio", spiega il colonnello Rocco Lopane che per dieci anni e fino a luglio ha guidato la sezione operativa di Trapani della Direzione investigativa antimafia. Da anni la Dia, specializzata nelle inchieste sui patrimoni della criminalità organizzata, dedica parte delle sue relazioni a Messina Denaro.
Aziende, conti correnti, beni mobili e immobili sequestrati e confiscati valgono alcuni miliardi di euro in una provincia dove la media dei redditi pro capite è tra le più basse d'Italia. "Le attività investigative hanno disarticolato il considerevole potere economico riconducibile al boss di Castelvetrano, insieme alla complessa e articolata catena di figure che consentono di gestire investimenti e operazioni di riciclaggio, individuando sempre nuovi settori economici nei quali muoversi", è scritto nella seconda relazione del 2018. C'erano i villaggi vacanze della Valtur di Carmelo Patti, i supermercati del marchio Despar di Giuseppe Grigoli, gli impianti eolici di Vito Nicastri e molto altro. Dopo gli arresti, alcuni imprenditori, come il cugino del boss Lorenzo Cimarosa o Grigoli, si sono pentiti e hanno permesso di conoscere meglio questa rete.
Trapani. Dove domina (il) Denaro
Qualcosa si muove. "Per quanto episodicamente emergano segnali di insofferenza rispetto alla sua minore aderenza al territorio, continua a mantenere un rilevante carisma sui suoi adepti", si legge nella relazione del primo semestre 2017. Un'intercettazione, emersa con l'operazione "Mafia Bet" del febbraio 2019, lo dimostra: "Fino a quando non prendono a questo, siamo tutti consumati perché ti legano a questo deficiente", diceva l'imprenditore del settore delle slot e delle scommesse, Calogero John Luppino. Lo zio, Salvatore Giorgi, replicava che finché non prendono MMD "in questo territorio (gli investigatori, ndr) faranno terra bruciata".
Alla fine, però, restano ancora troppe domande senza risposta e un dubbio: qualcuno lo protegge nelle stanze del potere?
Così "anche nel Trapanese, Cosa nostra risente della crisi di liquidità e della difficoltà di comunicazione interna degli affiliati – è scritto nella relazione del primo semestre 2019 –. A ciò si aggiunge il progressivo indebolimento causato dall'attività di contrasto degli apparati investigativi, anche in termini di sequestri". Alla fine, però, restano ancora troppe domande senza risposta e un dubbio: qualcuno lo protegge nelle stanze del potere?
Aggiornamenti: Il 10 maggio 2022 la Corte di cassazione ha ordinato un nuovo processo per Vito Nicastri, il "re dell'eolico". La corte d'appello di Palermo l'aveva assolto dall'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, riconoscendo come valida soltanto l'accusa di intestazione fittizia di beni e riducendo così da nove a quattro anni la condanna.
Il 27 dicembre 2022 il tribunale di Palermo, sezione misure di prevenzione, ha confiscato beni per il valore di 6 milioni di euro all'imprenditore Calogero John Luppino, condannato in primo grado a 18 anni di carcere il 16 dicembre 2021 per associazione mafiosa, estorsione e intestazione fittizia di beni.
L'8 giugno 2023 la Dia ha eseguito un provvedimento di confisca emesso dal Tribunale di Trapani nei confronti di Niccolò Clemente imprenditore operante nel settore edile, ritenuto contiguo alle consorterie mafiose di Castelvetrano (TP). Condannato in via definitiva a 15 anni di reclusione per associazione di tipo mafioso, ha subito la confisca dell’intero capitale sociale e del complesso aziendale di due imprese attive nella produzione e nel commercio di conglomerati cementizi e dei lavori edili in genere, 35 beni immobili e 32 beni mobili registrati, per un valore stimato di circa 6 milioni di euro.
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