2 marzo 2023
Michele ha abbandonato la scuola dopo le vacanze natalizie della terza superiore, senza più uscire dalla sua stanza. I suoi genitori a lungo si sono chiesti come mai, e cosa fare. Ci sono voluti lunghi “appostamenti” di un educatore, sempre sostenuto dalla famiglia, per vincere la ritrosia del ragazzo a raccontarsi. La sua storia è simile a quella di tanti altri. Si chiamano hikikomori: ragazzi e ragazze che a un certo punto dell’adolescenza interrompono qualsiasi contatto col mondo, rimanendo dentro le mura di casa e il più delle volte della propria stanza, per mesi o addirittura anni. In Italia si definiscono così 54mila giovani tra i 15 e i 19 anni. Lo ha scoperto la prima indagine statistica sul tema del ritiro sociale, realizzata dal Gruppo Abele di Torino, in collaborazione con l’Università della Strada – la sua storica agenzia di formazione – e con il Dipartimento di Fisiologia Clinica del Centro nazionale di ricerche (Cnr). Il quadro che emerge è preoccupante: 44mila adolescenti sono ritirati sociali e 63mila sono a forte rischio di diventarlo.
Leggi la prima indagine italiana sugli hikikomori realizzata da Gruppo Abele e Cnr
In Italia, si definiscono hikikomori 54mila giovani tra i 15 e i 19 anni
Dai 12.237 questionari correttamente compilati, si evince che circa il 2,1 per cento degli studenti si riconosce nella condizione di hikikomori, si tratta dunque di un livello di auto-percezione. Alla domanda sui periodi di tempo effettivamente trascorsi chiusi in casa – con l’eccezione dei periodi di lockdown sanitario – l’1,7 per cento risponde 6 mesi e oltre. Proiettando il dato sulla popolazione studentesca complessiva, scopriamo che potrebbero esserci circa 44mila ragazzi e ragazze fra i 15 e i 19 anni che vivono davvero come hikikomori.
Adolescenti drogati di psicofarmaci e indifferenza
Il campione dell’indagine è lo stesso dello studio ESPAD®Italia (European School Survey Project on Alcohol and Other Drugs), realizzato annualmente dall’Istituto di Fisiologia Clinica del Cnr e dedicato all’uso di sostanze psicoattive. Si tratta di circa 12mila studenti di scuola media superiore, rappresentativi della popolazione studentesca complessiva nella fascia 15-19 anni. Nella rilevazione del 2021, per la prima volta, allo studio è stato aggiunto un apposito set di domande per sondare la percezione di ragazzi e ragazze rispetto alla condizione di ritiro sociale. I dati di Espad si fondano infatti sulle dichiarazioni spontanee degli intervistati, e sono quindi soggetti ai criteri interpretativi dei giovani partecipanti.
I 6 mesi di auto-reclusione sono considerati dagli studiosi come il lasso di tempo limite, oltre il quale un disagio potenzialmente passeggero rischia di sfociare in uno stile di vita destinato a durare per anni. Un altro 2,6 per cento degli intervistati dichiara un isolamento compreso fra i 3 e i 6 mesi, dimostrando di essere comunque in una fase delicata. Parliamo di 67mila giovani su scala nazionale.
Sullo sfondo c’è quasi sempre una fatica insostenibile, crescente, nel relazionarsi con gli altri, soprattutto i coetanei
In base alle risposte dei ragazzi, sullo sfondo c’è quasi sempre una fatica insostenibile, crescente, nel relazionarsi con gli altri, soprattutto i coetanei. Le risposte parlano di “disagio psicologico” (36 per cento), “non aver voglia di vedere nessuno” (30 per cento), “problemi con gli amici o col fidanzato/a” (26 per cento). Gli episodi di bullismo, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non sono menzionati fra le cause scatenanti del ritiro.
Preoccupazione per il numero dei suicidi tra giovani e giovanissimi: seconda causa di morte
L’indagine del Gruppo Abele riporta anche le risposte di un campione non rappresentativo di dirigenti scolastici, dalle quali risulta che soltanto un quinto degli istituti coinvolti ha attivato un piano formativo per il recupero degli studenti ritirati sociali, mentre circa un terzo prevede comunque misure specifiche, come attività didattiche a scuola ma in orario extrascolastico (17,2 per cento), sostegno didattico alle famiglie (15,4 per cento) e attività didattiche svolte a domicilio (13,4 per cento).
Di fronte alla scelta del ritiro, la reazione del mondo adulto è spesso l'indifferenza. Più di un quarto degli intervistati ha detto che i genitori avrebbero accolto il loro comportamento senza porsi domande
Il problema però forse sta a monte. Perché gli studenti ritengono che, di fronte alla scelta di ritiro, il mondo adulto di riferimento reagisca con sostanziale indifferenza. Più di un quarto degli intervistati riferisce che i genitori avrebbero accolto senza porsi domande il loro comportamento. La stessa cosa farebbe circa il 27 per cento degli insegnanti. Solo il 21 per cento dei professori, e un ancor più esiguo 14,8 per cento di madri e padri avrebbe invece dimostrato “preoccupazione”.
I numeri sono da prendere con la dovuta cautela perché, precisa Ivan Severi dell’Università della Strada, “Si tratta di una prima rilevazione, il cui valore verrà confermato nel tempo, dal raffronto con quelle successive. Ciò che ci interessa non è solo fotografare la situazione oggi, ma individuare un trend di sviluppo”. Il fatto che l’indagine sia stata svolta nel 2021, anno ancora di piena pandemia e di prolungato ricorso alla Dad nelle scuole, è un altro fattore da tenere in considerazione.
Lo psicologo Leopoldo Grosso, che ha curato il report per il Gruppo Abele, parla di “ansia sociale”, “ansia scolare”, e riferisce, anche sulla base della propria esperienza di terapeuta, a famiglie fragili, disfunzionali, e di ragazzi che si sentono schiacciati dalle aspettative adulte e dal confronto coi pari. In altre parole, non reggono lo sguardo degli altri su di sé, vivendo una sorta di “blocco emotivo”. L’età più critica, nella quale solitamente inizia il ritiro, è fra i 15 e i 17 anni, ma la fase di incubazione della sofferenza risale spesso già alle scuole medie.
Hikikomori: la causa non è internet, ma la società violenta
Ha senso allora parlare dell’isolamento come di una “scelta”? Semmai siamo di fronte a una scelta obbligata, quella di sottrarsi, ritrarsi di fronte a un mondo che sembra chiedere troppo. A questo proposito, Milena Primavera, psicologa, responsabile del progetto del Gruppo Abele Nove 3/4, dedicato al ritiro sociale, nota che, se il ritiro sociale non è diagnosticato come una sindrome a sé, nella realtà spesso è accompagnato da psicopatologie anche gravi, dai disturbi alimentari alla depressione.
Milena Primavera spiega: “Nel 2020 abbiamo avviato un percorso educativo sperimentale rivolto ai giovani in condizione di ritiro. Una proposta nuova, per rispondere a un bisogno altrettanto nuovo. Il progetto è stato premiato dall’Accademia dei Lincei e ci è sembrato naturale destinare una quota del premio alla ricerca. Perché per orientare il lavoro quotidiano in un territorio così inesplorato è importante cominciare a raccogliere dati scientificamente fondati”.
Lo scenario è più che mai incerto, con numeri da verificare e strategie ancora embrionali di intervento. Questa indagine è soltanto un primo passo, che mette in luce l’urgenza di una riflessione a livello clinico, educativo e sociale. La stessa riflessione che ha mosso il Gruppo Abele ad avviare il progetto Nove 3/4, e che il prossimo 5 maggio sarà al centro di un seminario rivolto a studiosi, terapeuti, operatori, educatori, insegnanti, a Torino.
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