30 giugno 2023
"Non posso predicare il vangelo se non fornisco le parole a chi ascolta", diceva don Lorenzo Milani. Il maestro di Barbiana credeva nella forza liberatrice della parola, perciò ha speso la sua vita facendo scuola ai figli di operai e contadini per renderli cittadini sovrani, consapevoli dei propri diritti. Ancora oggi la sua pedagogia disturba il perbenismo, perché critica l’individualismo, le raccomandazioni, il falso merito, il consumismo, l’omologazione delle coscienze. La scuola italiana è cambiata, ma non tanto quanto lui si augurava.
Luigi Ciotti: la scuola e il sapere tradito
Milani era un uomo inquieto, assetato di assoluto. A 20 anni ha deciso di voltare le spalle ai privilegi della sua influente famiglia cosmopolita e borghese per farsi prete; un sacerdote sempre obbediente alla sua chiesa eppure insofferente verso una fede praticata per abitudine o superstizione; un maestro esigente che non ha risparmiato critiche a un sistema scolastico selettivo. Sarebbe un errore contrapporre il prete al maestro, separare la lingua sacra dalla lingua profana, le lezioni di catechismo con la cartina della Palestina attaccata al muro della canonica e quelle di italiano, fatte leggendo il giornale o i contratti di lavoro.
Il 27 maggio scorso, giorno in cui lo abbiamo ricordato a Barbiana a cento anni dalla nascita, il presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi, ha ricordato che "don Milani non può essere ridotto a politically correct, esortazione o facile denuncia. Ferisce, perché svela l’ipocrisia delle parole vuote, della retorica che nasconde l’inedia".
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