Il mercato dei crediti per insegnanti

La formazione docenti, già faticosa e mediocre, rischia di peggiorare ulteriormente con la riforma in arrivo. La giungla di enti accreditati e università telematiche garantisce "cfu" a pagamento, ma nessuno standard di qualità nei risultati

Christian Raimo

Christian RaimoScrittore e insegnante

Aggiornato il giorno 21 settembre 2023

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Quasi qualunque insegnante che oggi abbia un contratto a tempo indeterminato nella scuola vi racconterà la sua formazione da docente come un’esperienza inutilmente faticosa, costosa, male organizzata, di qualità bassa, da non voler ripetere. Perché le cose sono andate finora così, e come potrebbero andare nel futuro prossimo?

Sconforto da cfu

Le diverse riforme che hanno riguardato il reclutamento dei docenti negli ultimi quindici anni hanno previsto di volta in volta un percorso di formazione, che accompagnasse o spesso precedesse l’assunzione da parte del ministero dell’Istruzione. Ma la delusione che i docenti possono ancora oggi dichiarare per la Ssis (scuola di specializzazione all'insegnamento secondario) o per il Tfa (Tirocinio formativo attivo) – i modelli formativi per docenti tra fine anni zero e inizio anni dieci – non è nulla rispetto allo sconforto di chi ha dovuto avere a che fare con i cosiddetti cfu, ovvero i crediti formativi universitari.

Dal 2017 – più precisamente dal decreto numero 59 del 13 aprile – per partecipare ai concorsi della scuola occorreva aver conseguito almeno 24 crediti formativi universitari in discipline che comprendevano psicologia, pedagogia, antropologia e metodologie didattiche. Un credito corrisponde a 25 ore di impegno, divise tra lezioni, studio individuale, esercitazioni e attività in laboratorio. Quindi per conseguire i 24 cfu era necessario (sulla carta) quasi un semestre di studio: 600 ore, 15 settimane per 40 ore alla settimana. Questi crediti formativi servono a certificare competenze fondamentali per chi vuole diventare insegnante. Dal luglio dell’anno scorso – con il governo precedente quindi, ministro Patrizio Bianchi – si è discusso di un’imminente riforma di questo modello, che strutturerebbe in maniera ancora più articolata la formazione docenti: è la bozza dei cosiddetti 60 cfu, ossia una nuova formula che aumenterebbe in maniera consistente l’impegno dei docenti che vogliono abilitarsi.

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Il futuro che (forse) verrà

La conversione in legge di questa bozza di riforma è stata rimandata di mese e in mese e soltanto nelle ultime settimane sembra che si sia arrivati a un testo apparentemente definitivo. Quali sono gli elementi da tenere presente?

  1. Primo, dovranno di anno in anno essere censiti i fabbisogni di docenti da mettere in cattedra: una ricognizione e una programmazione triennali fatta dal ministero dell’Istruzione (e del Merito, come si dice ora) coordinata con gli uffici scolastici regionali che tenga conto anche delle scuole paritarie.
  2. Secondo, potrà accedere ai corsi abilitanti chi ha una laurea, un diploma per insegnante tecnico-pratico, oppure è uno studente universitario, regolarmente iscritto a corsi di studio per il conseguimento dei titoli idonei all’insegnamento purché abbia già conseguito almeno 180 cfu.
  3. Terzo, la riforma prevede la frequenza di percorsi formativi per acquisire questi 60 cfu necessari all’abilitazione.
  4. Quarto, i contenuti della formazione per i 60 cfu saranno simili a quelli per i 24 cfu: i crediti formativi universitari riguarderanno sempre le discipline antropo-psico-pedagogiche e le metodologie e tecnologie didattiche e linguistiche.
  5. Quinto, è prevista una fase transitoria della riforma – fino al 31 dicembre 2024 – nella quale possono accedere ai corsi anche gli aspiranti in possesso di 30 cfu o di 24 cfu (presi da percorsi formativi precedenti) se conseguiti entro il 31 ottobre 2022. In questo caso ovviamente, i corsi nuovi serviranno per acquisire 30 o 36 cfu.
  6. Sesto, i corsi dovrebbero partire dall’autunno del 2023.
  7. Settimo, per l’accesso alla prova finale dei percorsi di formazione iniziale dovrebbe essere necessaria una percentuale minima di presenza alle attività formative del 60 per cento.
  8. Ottavo, la prova finale del percorso universitario e accademico consiste in una prova scritta e in una lezione simulata.
  9. Nono, la prova dovrebbe consistere in una sintetica analisi critica di episodi, casi, situazioni e problematiche verificatisi durante il tirocinio diretto e indiretto svolto nel percorso di formazione iniziale (il tirocinio diretto è quello fatto in classe; quello indiretto è quello fatto presso in contesti simulati, prima di andare in classe).
  10. Decimo, con il superamento della prova finale si ottiene l’abilitazione all’insegnamento per la relativa classe di concorso.

Quando costerà tutto questo? Secondo la bozza di legge, un costo massimo di 2.500 euro per la frequenza del percorso 60 cfu, che scende a 2mila euro per gli studenti che hanno acquisito almeno 180 cfu all’università e sempre di 2mila euro per i docenti che vorranno acquisire un’ulteriore abilitazione con i corsi da 30 cfu, nonché per quelli specializzati in sostegno che vogliano acquisire l’abilitazione e per i docenti che dopo il concorso dovranno completare la propria formazione con i 30 cfu nell’anno di prova con contratto a tempo determinato.

Per la prova finale occorrerà pagare una tassa di 150 euro. Per i primi tre cicli di questi corsi, per provare a smaltire l’enorme platea di insegnanti precari che hanno una situazione limbica dal punto di vista normativo, è prevista una riserva dei posti pari al 40 per cento per il primo ciclo e al 30 per cento per gli altri due. Tra questi docenti ci sono anche i cosiddetti “ingabbiati”, ovvero quelli che vogliono prendere un’altra abilitazione, o gli insegnanti di sostegno che vogliono abilitarsi su posto comune.

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Formazione à la carte

"Ci si aspetta che un futuro professore di matematica acquisisca la stessa formazione a Milano o a Bari. Non sarà così: le università hanno ottenuto un’enorme discrezionalità nella definizione dei contenuti degli insegnamenti"Andrea Gavosto e Carlo Cappa

Le domande che possono seguire a quest’elenco sono tantissime, per almeno due ragioni: la prima è che non si sa il momento in cui ci sarà la conversione definitiva in legge e quando verranno emanati di decreti attuativi (questo governo è colpevolmente lentissimo); la seconda è che la condizione dei docenti e aspiranti tali da un punto di vista normativo, è talmente eterogenea per le decine di cambiamenti ed eccezioni ai cambiamenti che ci sono state negli ultimi anni che anche immaginare una riforma complessiva è un progetto quasi impossibile. Sarà una riforma che porterà in cattedra insegnanti veramente qualificati?

Nei giorni di discussione del testo finale, c’è stato un botta e risposta istruttivo di Andrea Gavosto (Fondazione Agnelli), Carlo Cappa (professore di pedagogia a Tor Vergata) e Carmela Palumbo del Mim (ministero dell’Istruzione e del Merito). I primi davano un parere sconsolato, molto articolato: "Formalmente adeguata per il via libera della Commissione europea, ben confezionata per dare parvenza di serietà, a guardarla da vicino la riforma si rivela una scatola vuota. E non potrà dare ai futuri docenti una formazione e un’abilitazione all’insegnamento al livello dei migliori sistemi scolastici europei. Innanzitutto, non sarà uniforme nel Paese. Ci si aspetta che un futuro professore di matematica acquisisca la stessa formazione a Milano o a Bari. Non sarà così: le università hanno ottenuto un’enorme discrezionalità nella definizione dei contenuti degli insegnamenti. Sarà una formazione à la carte, a seconda dei docenti a disposizione nell’ateneo e degli insegnamenti attivati".

La seconda risponde a molte critiche: "I percorsi formativi impongono alle università, secondo l’impostazione stessa della riforma del Pnrr, uno sforzo organizzativo tale da non poterne garantire la prossimità, per ogni classe di concorso, al luogo di residenza o di lavoro dei partecipanti. Era dunque necessario coniugare l’ambizione della riforma con l’altrettanto doveroso obiettivo di assicurarne la più ampia partecipazione possibile".

Il mercato dei crediti formativi

Questo sistema di subappalti nella formazione insegnanti genera mostri, che – con tutta probabilità – si ingigantiranno e si moltiplicheranno visto che questi percorsi saranno certo più lunghi, ma anche per questo costeranno quattro o cinque volte di più dei prezzi attuali

Come andrà nei fatti? Un nodo reale sarà ovviamente la qualità dei corsi e il ricorso alle università private telematiche. Negli ultimi anni come e dove, poi, nella pratica, gli insegnanti hanno conseguito e conseguiranno i crediti formativi necessari ai concorsi e all’abilitazione? La risposta: nella maggior parte dei casi, con le università telematiche, non rende l’idea del mercato dei crediti formativi. È più facile mostrare plasticamente l’idea mostrando un po’ di queste promozioni. Gli aspiranti docenti che hanno e avranno bisogno urgente dei 24 cfu sono davvero tantissimi. E così è diventata enorme l’offerta di istituti privati, spesso telematici, e di tutti gli enti formativi accreditati dal ministero dell’istruzione.

Occorre distinguere in quest’offerta tra enti che possono erogare corsi e enti che possono certificare il conseguimento dei cfu. Il numero dei primi è chiaramente esploso: chiunque può presentarsi come un ente formatore. L’unica condizione di presentabilità è aver fatto un accordo con un ente accreditante – questi sono molti meno – in modo da garantire un pacchetto completo (corso + esame) a chi si iscrive. Per esempio la Scuola di alta formazione X o Y o Z, legati ad associazioni o società che non sempre si occupano di formazione di docenti, usano l’accreditamento dell’università S; il centro studi J usa l’accreditamento dell’università telematica P; il centro studi K usa entrambe le università P e S. Di questi enti ce ne sono centinaia, soprattutto in provincia e al Sud.

Non c’è nulla di minimamente formativo o educativo in un modello di questo genere. E l’esito di questa enorme farsa è la carenza professionale

Quella delle università telematiche è un’offerta talmente necessaria che forse sarà persino prevista per legge. Il governo sembra volerle sostenere in modo consistente, come giustamente evidenziano, preoccupati, i sindacati dei docenti. Questo sistema di subappalti nella formazione insegnanti genera mostri, che – con tutta probabilità – si ingigantiranno e si moltiplicheranno visto che questi percorsi saranno certo più lunghi, ma anche per questo costeranno quattro o cinque volte di più dei prezzi attuali. Stiamo parlando di un mercato in espansione che non ha fatto nulla negli ultimi anni per darsi standard di qualità.

Non è difficile rendersi conto del mercimonio che gira intorno a questi corsi. Qualche mese fa feci per l’Essenziale un’inchiesta insieme a Davide Grillo in cui fingendomi un docente che voleva iscriversi a questi corsi, venivo blandito dai dipendenti delle università telematiche che mi confessavano a mezza bocca o senza pudore che lo studio per questi corsi non era necessario, e che avrei potuto preparare il tutto in poche ore. Ma non serve nemmeno questo insiding; basta leggere i forum su cui si confrontano i docenti in cerca di abilitazione, come mininterno.

La questione più dibattuta, quasi l’unica, è quanta adesione ci sia tra i panieri di domande che vengono fornite dalle università telematiche per prepararsi e la gamma di domande che verranno sottoposte all’esame. Non c’è nulla di minimamente formativo o educativo in un modello di questo genere. E l’esito di questa enorme farsa è la carenza professionale che si riflettono poi sul lavoro in classe e sui danni che questa carenza può portare nella relazione educativa e nella didattica di queste e delle future generazioni di studenti.

Da lavialibera n° 21

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