(Matteo Portigliatti)
(Matteo Portigliatti)

Armeni in fuga dal Nagorno-Karabach: "Non potevano costringerci a vivere lì. È disumano"

Il territorio del Nagorno-Karabach è contesto tra Azerbaigian e Armenia per più di 30 anni. Il 19 settembre l'esercito di Baku ha attaccato e fatto capitolare il governo locale, provocando un esodo forzato. Decine di migliaia di persone sono scappate verso l'Armenia, impreparata al loro arrivo

Teresa Di Mauro

Teresa Di Maurogiornalista freelance

16 ottobre 2023

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Larisa Nersisyan, una studentessa di 21 anni, era all’università di Stepanakert, la capitale de-facto del Nagorno-Karabakh, quando il 19 settembre le forze azere hanno iniziato ad attaccare. Non c'è pace in questo territorio, autoproclamatosi indipendente, ma che Azerbaigian e Armenia si contendono da più di trent’anni. “Non so cosa stia succedendo. Sono all'università. Ci stanno bombardando”, ha scritto Larisa in un messaggio a lavialibera poche ore dopo l’inizio dell’attacco. A causa delle diffuse interruzioni di Internet, mentre l’offensiva si intensificava le comunicazioni sono diventate difficili. Anche Larisa in quel momento è rimasta isolata: “Non so dove siano i miei familiari. Non c’è segnale qui”, ha continuato a raccontare la studentessa in diretta nello scambio su Whatsapp.

In 24 ore le truppe azere hanno sfondato la linea del fronte e accerchiato diversi insediamenti strategici del Nagorno-Karabakh, portando il 20 settembre alla capitolazione il governo de-facto della regione. In un discorso televisivo, il presidente dell'Azerbaigian Ilham Aliyev ha dichiarato che Baku aveva ripristinato la propria sovranità sul territorio con il “pugno di ferro”.

Secondo i dati forniti da Gegham Stepanyan, il difensore dei diritti umani del governo del Nagorno-Karabakh, l’aggressione azera ha causato 200 morti tra cui 10 civili e 400 feriti. Dal lato azero, il ministro della Salute ha registrato 192 vittime, tra cui un civile e 511 feriti. “Nel complesso si tratta di circa 200 persone, 200 giovani in 24 ore. È un numero elevatissimo – ha affermato Ahmad Alili, direttore del Centro di analisi politica del Caucaso con sede a Baku, riferendosi alle perdite azere –. Questo dimostra quanto il governo azero volesse ottenere questo risultato militare il prima possibile” ha aggiunto. Tanto disperato da 'sacrificare' la vita di centinaia di ragazzi.

Per più di trent'anni anni Azerbaigian e Armenia si sono contese questo territorio nel Caucaso, chiamato Nagorno-Karabakh dagli azeri e Artsakh dagli armeni. Si tratta di una regione montuosa che, nel corso dei secoli, è stata sotto il dominio dell'impero ottomano, di quello russo, di quello persiano e dell'Unione sovietica. Abitato maggiormente da persone di etnia armena, a livello internazionale è considerato come parte dell'Azerbaigian, che fino al settembre 2023 ne controllava soltanto una parte. La rimanente era un'autoproclamata repubblica sostenuta dall'Armenia. 

Le prime violenze nell'area avvennero in concomitanza con la crisi dell'Urss, tra il 1988 e il 1994. Gli armeni lamentavano "l'azerificazione" forzata e, dopo l'indipendenza di Baku, proclamarono nel 1991 la costituzione della nuova repubblica. Sorse un conflitto che fece circa 30mila morti e un milione di sfollati, perlopiù azeri, concluso nel 1994.

Nel 2020 il conflitto si è riacceso e l'esercito azero (sostenuto dalla Turchia) ha posto sotto il suo controllo una parte dell'autoproclamata repubblica nell'area meridionale. Queste tensioni, durate sei settimane, avevano provocato 6.500 vittime e soltanto l'intervento di Mosca, che appoggia entrambi gli Stati, poté far terminare gli scontri.


Mosca tradisce l'Armenia, l'Azerbaigian sfrutta l'occasione 

Il Cremlino, storico alleato dell'Armenia, ha tentato di scaricare la colpa dell'aggressione su Yerevan e i partner occidentali

La congiuntura temporale è favorevole a Baku. Alla vittoria ottenuta nella guerra dei 44 giorni del 2020, grazie anche al supporto di Turchia e Israele, si è aggiunto il cambio delle dinamiche di potere nella regione caucasica dopo l’invasione russa dell’Ucraina: “Quando è iniziata la guerra in Ucraina, un osservatore locale mi ha detto che l'Azerbaigian era come una giovane donna che tutti volevano sposare. E così è stato – ha affermato Olesya Vartanyan, analista dell’International Crisis Group, un’organizzazione indipendente che si occupa della prevenzione dei conflitti –. L'Azerbaigian è diventato più importante, non solo per l'Unione europea o per alcuni leader del Medio Oriente, ma anche per la Russia”, ha aggiunto Vartanyan.

A causa delle sanzioni occidentali, Mosca è costretta a passare dall’Azerbaijan per raggiungere i paesi partner che le sono rimasti e quindi non può fare a meno del supporto azero: “Baku sa che adesso la dipendenza russa dall'Azerbaigian è al suo livello più alto. Questo significa che Mosca tollererà tutto ciò che l'Azerbaijan farà nel Caucaso meridionale”, ha spiegato Alili a lavialibera in un’intervista concessa prima dell’aggressione militare. La conferma delle parole di Vartanyan e Alili è stata particolarmente visibile all’indomani dell’attacco azero del 19 settembre. Mentre Stati Uniti e Unione europea hanno espresso preoccupazione e condannato l'aggressione, la Russia, presunto alleato chiave dell'Armenia, si è tirata indietro. Secondo le informazioni ottenute da Meduza, uno dei pochi media d’inchiesta nato in Russia e indipendente dal potere politico, il Cremlino avrebbe indicato ai media controllati dallo Stato di scaricare la colpa dell'aggressione sull'Armenia e sui suoi “partner” occidentali.

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"L'atto finale di una tragedia"

Secondo il ministro degli Esteri armeno Ararat Mirzoyan l'attacco “mira all'esodo forzato della popolazione del Nagorno-Karabakh”

Nel frattempo, all'Assemblea generale delle Nazioni Unite, il ministro degli Esteri armeno Ararat Mirzoyan ha descritto l’attacco azero come “l’atto finale di una tragedia che mira all'esodo forzato della popolazione del Nagorno-Karabakh”. Infatti, nonostante il governo azero avesse dichiarato la propria intenzione di trattare gli armeni del Karabakh come cittadini a pieno titolo, questi ultimi sono fuggiti in massa temendo rappresaglie.

Il 28 settembre, i funzionari di Stepanakert hanno annunciato la dissoluzione formale della Repubblica del Nagorno-Karabakh dal 1° gennaio 2024. A quel punto, più di 65mila rifugiati erano già arrivati in Armenia. Nei giorni successivi, questo numero è salito a più di 100mila. Quasi l’intera popolazione del Karabakh, circa 120mila persone, stremata da più di nove mesi di assedio e dalla violenta aggressione militare, ha lasciato la regione. Il 1° ottobre, nella capitale Stepanakert, è arrivata una missione Onu per stabilire “i bisogni delle persone rimaste nel territorio e di quelle in movimento”. Ma nella città non era rimasto quasi nessuno. Quel giorno il difensore dei diritti umani Stepanyan ha dichiarato la partenza e l’arrivo dell’ultimo autobus dal Nagorno-Karabakh a Goris, una cittadina armena di confine.

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Armeni ancora in fuga

“Gli ultimi giorni a Stepanakert sono stati veramente caotici. Tutti aspettavano il carburante per poter partire (...) Non potevano costringerci a vivere lì”Larisa Nersisyan - Studentessa di Stepanakert fuggita a Yerevan

L’esodo di massa di più di 100mila persone ha trovato l’Armenia completamente impreparata: “Ci sono persone che passano giorni e notti per strada e le condizioni igieniche sono davvero pessime – ha detto Eugene Shalnov, un fotografo che segue la situazione a Goris –. Queste persone hanno perso tutto quello che avevano e molti incolpano l'Armenia di non averli sostenuti”. Nonostante il primo ministro armeno Nikol Pashinyan abbia dichiarato di essere pronto ad accogliere circa 40mila famiglie sfollate e di voler stanziare 360 milioni di dram (poco meno di un milione di dollari) ai governatori regionali per l'acquisto di aiuti umanitari e di voler dare di 100mila dram (circa 256 dollari) a ogni sfollato, molti ritengono che non sia abbastanza.

“L’obiettivo finale del governo armeno non era l’evacuazione, ma cercare di trovare il modo per far sì che gli armeni del Karabakh potessero continuare a vivere lì. Alla fine però, la situazione è andata in modo completamente diverso e ora la maggior parte dei rifugiati vive nell’incertezza. Solo una piccola parte ha un appartamento qui. Il resto è in strada”, ha affermato Karen Harutyunyan, capo redattore del giornale Civilnet.

Anche Kim Hartzner, fondatore di Mission 10 forty, ong danese che assiste bambini e giovani vulnerabili in collaborazione con World Vision Armenia, è d’accordo sull’impreparazione del governo armeno: “Ci concentriamo sull’immediato. Assistiamo i rifugiati con cibo, prodotti igienici, vestiti e assistenza psicologica – ha affermato Hartzner –. Assistiamo il governo nell’ospitare i rifugiati, ma al momento c'è un grande caos”.

Fortunatamente Larisa Nersisyan, la studentessa di Stepanakert, è riuscita ad arrivare a Yerevan, la capitale armena, insieme alla sua famiglia: “Gli ultimi giorni a Stepanakert sono stati veramente caotici. Tutti aspettavano il carburante per poter partire” ha raccontato. In quei giorni, alla confusione di migliaia di persone che aspettavano di partire, si è aggiunta l’esplosione di un deposito di carburante vicino a Stepanakert che ha causato almeno 170 morti. “Adesso la mia famiglia e io siamo insieme in un piccolo appartamento. Non potevano costringerci a vivere lì. Sarebbe stato disumano” ha aggiunto Larisa.

Azerbaijan: nella terra del fuoco protettore

Le prossime mosse di Baku

“L’Azerbaigian ha accordi sul gas con attori internazionali. Non credo che pagherà nulla per questi attacchi”Bahruz Samadov - Attivista azero contro la guerra

Ma se da un lato Baku festeggia la vittoria, sono in molti gli esperti a ritenere che l’esodo degli armeni del Karabakh costituisca un crimine di guerra o addirittura un crimine contro l'umanità. Secondo Bahruz Samadov, attivista azero contro la guerra, Baku però non pagherà le conseguenze dell’attacco: “L’Azerbaigian ha accordi sul gas con attori internazionali. Non credo che pagherà nulla per questi attacchi”. Samadov ritiene anche che la capitolazione del governo de-facto del Nagorno-Karabakh non significhi la fine dell’armenofobia perpetrata dal governo azero: “L'armenofobia ha legittimato il regime di Aliyev per decenni perché l’immagine del nemico esterno è ciò che crea unità e neutralizza le contraddizioni interne, oltre a funzionare come strumento argomentativo. Se qualcuno si oppone al regime, è facile additarlo come pro Armenia”, ha affermato Samadov.

Anche l’analista Ahmed Alili si chiede quale sarà la prossima mossa del Paese: “L'obiettivo nazionale era il Karabakh e l'Azerbaigian lo ha raggiunto. Quale sarà quindi il nuovo traguardo che unirà tutti?". Secondo Thomas de Waal, analista senior del centro di ricerca politica Carnegie Europe "la prossima grande questione" riguarderà le vie di trasporto. L'Azerbaigian, forte del supporto turco, intende costruire un corridoio (noto come "Corridoio di Zangezur") tra la terraferma azera e Nakhichevan, un territorio azero situato all’interno dell’Armenia, al confine tra Iran e Turchia. "La Russia, l'Azerbaigian e la Turchia hanno un interesse comune a imporre la propria strategia sul corridoio, con il minor controllo armeno possibile sul percorso, e magari con la forza", ha scritto De Waal.

“Se succederà qualcosa, nessuno fermerà l’Azerbaigian. L’Armenia è completamente sola e deve stare molto attenta alle sue azioni – ha affermato il capo redattore Harutyunyan .– È come se tentasse di bere in una pozza piena di coccodrilli. Deve stare molto attenta a non farsi mangiare”.

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