13 novembre 2023
Articolo realizzato da Elena Coniglio nell'ambito del Progetto FormTOinform, con il contributo di Mindchangers, ideato e realizzato da Gruppo Abele e Casacomune con la supervisione e partecipazione di lavialibera, Cinemambiente e Progetto Ruta
Dal 6 al 9 luglio a Bruxelles, nel corso di Global women for peace united against Nato, incontro internazionale per tracciare alcune alternative per la pace, alcune attiviste italiane hanno consegnato a due europarlamentari della Sinistra europea, Clare Daly e Özlem Demirel, un dossier sulla militarizzazione della Sardegna, regione in cui è ad oggi presente il 65 per cento del demanio militare nazionale.
I dossier consegnati alle eurodeputate Daly e Demirel dalle attiviste italiane costituiscono, come affermato da Patrizia Sterpetti della Lega internazionale delle donne per la pace e la libertà (Wilpf), un invito a osservare da vicino quanto sta accadendo in Italia in relazione alla ripresa della corsa militare degli ultimi anni e all’impatto ambientale su territorio e popolazione. Questo processo, che ha coinvolto l’isola sin dagli anni Cinquanta dopo la creazione dell’Alleanza militare nord atlantica (la Nato), negli anni ha avuto un grosso impatto su ambiente, economia e società, nonostante i presunti benefici declamati dai sostenitori: “Chi non ha conosciuto espropri e militarizzazione ha incrementato drasticamente la popolazione e il reddito dal 1960 ad oggi, chi invece ha avuto buona parte del territorio militarizzato ha fatto esattamente il percorso inverso. Anche il reddito medio pro capite nelle zone che ospitano i più importanti poligoni sardi è nettamente inferiore a quello medio della Sardegna – si legge in un’analisi del collettivo “A foras” nel 2016 –. A rigor di logica i dati disponibili indicherebbero quindi che la presenza delle basi militari porta povertà e spopolamento”.
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Tra i casi portati all’attenzione, c’è quanto avvenuto a Capo Teulada, promontorio a Sud dell’isola in cui sorge un grosso poligono militare (cinque generali dell’Esercito italiano andranno a processo per disastro ambientale). Inoltre è stato illustrato il caso della Rwm, industria produttrice di bombe e esplosivi che nel 2016 ha tentato di ottenere il raddoppio di uno dei suoi siti di produzione a Domusnovas (Sud Sardegna), dopo aver già realizzato un poligono per testare i propri ordigni senza ottemperare alle direttive ambientali previste.
L’azienda (controllata dalla multinazionale tedesca produttrice di armamenti Rheinmetal) voleva incrementare la linea di produzione sarda sia per le munizioni, sia per i droni-killer (per i quali – sostiene la rivista Manifesto sardo – ha stipulato un accordo con il gruppo israeliano Uvision Air), dopo aver realizzato un nuovo campo prove autorizzato a suo tempo dalle autorità senza che la società avesse fornito la valutazione di impatto ambientale (Via), necessaria per legge. Su ricorso di alcune associazioni ambientaliste e pacifiste, il Consiglio di Stato, massimo organo della giustizia amministrativa, ha bloccato nel 2021 l’ampliamento che però erano già stati conclusi sulla base della sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Sardegna, che nel primo grado di giudizio aveva dato ragione alla società. La scorsa primavera gli uffici della Direzione generale ambiente della Regione Sardegna hanno poi bocciato la richiesta, fatta dall’azienda, di utilizzare i nuovi reparti utilizzati. La Rwm ha fatto a sua volta ricorso contro queste decisioni e per il momento i giudici hanno respinto la richiesta, ritenendo gli interessi generali fossero più importanti di quelli economici.
Le lotte degli attivisti sono più che mai decisive. Ad esempio Italia Nostra, associazione che tutela il patrimonio naturalistico e artistico, insieme ad altre organizzazioni e ai sindacati di base, ha dato il via alla battaglia legale amministrativa contro gli ampliamenti dell’azienda e chiesto l’inammissibilità della procudura di valutazione dell’impatto ambientale, sottoponendo all’attenzione delle autorità competenti le numerose criticità. “La Via ha la finalità di assicurare che l’attività antropica sia compatibile con le condizioni per uno sviluppo sostenibile – si legge nel testo del ricorso –. Gli effetti di un progetto sull’ambiente vengono valutati per cercare di proteggere la salute umana, per contribuire con un ambiente migliore alla qualità della vita, per provvedere al mantenimento della varietà delle specie e conservare la capacità di riproduzione dell’ecosistema. La Via cerca di evitare fin dall’inizio inquinamenti e altre perturbazioni dell’ambiente in modo tale da evitare di combatterne successivamente gli effetti. Per tutto questo gli effetti del progetto devono essere valutati prima dell’autorizzazione dell’opera e ancora prima della sua realizzazione. Per una serie di validi motivi, di natura tecnica ed economica, una Via eseguita a impianto già realizzato non è in grado di sanare in modo equivalente la mancata effettuazione di tale valutazione nella fase iniziale”.
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Secondo le organizzazione contrarie al progetto, aderenti alla campagna “Stop Rwm”, la valutazione presentata da Rwm è inoltre parziale su un progetto del quale non si ha nessuna conoscenza, nonostante le ripetute richieste che le associazioni hanno presentato negli anni.
Inoltre, hanno sottolineato Italia Nostra e gli altri gruppi, nella zona dello stabilimento e del suo ampliamento ci sono molte aree tutelate, come quella di Monte Linas-Marganai, dove animali e piante verrebbero danneggiate dalle esplosioni; come il parco geominerario storico e ambientale riconosciuto dall’Unesco; ma anche aree soggette al vincolo idrogeologico per la fragilità del territorio: lo stabilimento risulta realizzato parzialmente in un’area ad elevato rischio idrogeologico per la presenza del rio Gutturo Mannu, classificato “ad elevato rischio di incidente”
Nonostante le sentenze, mentre si attende la decisione del Servizio valutazione impatti della Regione in merito a quest’ultima richiesta di valutazione ambientale avanzata da Rwm, all’industria di esplosivi è stato concesso di continuare ad utilizzare il campo prove durante la procedura. A patto che le attività non provochino ulteriori danni ambientali. Una situazione paradossale per la quale gli attivisti intendono continuare la loro battaglia sul fronte legale, alla luce anche dell’apertura del processo penale il 26 ottobre contro nove persone, tra cui alcuni vertici della società e funzionari delle amministrazioni comunali di Domusnovas e Iglesias, per falso ideologico e per una trentina di presunte violazioni di norme edilizie e ambientali nell’ambito del progetto di espansione dei nuovi reparti.
Alle eurodeputate le attiviste italiane hanno voluto sottolineare come tutto questo si inserisca in una ripresa della militarizzazione della Sardegna nell’ultimo decennio dopo un periodo di crisi e stasi negli investimenti tra il 2008 e il 2015.
Con il mutamento delle guerre del XXI secolo, le basi militari sarde sono state adattate alle nuove esigenze belliche, sempre più avanzate tecnologicamente. La Sardegna è diventata così lo scenario delle grandi esercitazioni internazionali delle forze Nato e continua a svolgere un ruolo logistico per preparare i contingenti destinati ai conflitti all’estero oppure per i test di ordigni.
Addestramenti che si svolgono prevalentemente nel poligono di Capo Teulada, uno dei tre attivi sull’isola insieme a quello di Capofrasca e di Quirra. Tristemente noto fin dagli anni ’50 perché area bersaglio anche per i testi deii missili Milan al torio radioattivo e per i gravi casi di tumori e neoplasie negli abitanti e negli animali delle zone limitrofe, il poligono di Capo Teulada è al centro di un processo per disastro ambientale (l’unica accusa rimasta dopo l’archiviazione di altre ipotesi di reato) che si aprirà il 25 gennaio 2024 e che vede imputati alti gradi dell’esercito italiano.
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Secondo Massimo Coraddu, fisico e consulente di parte nei procedimenti giudiziari sui poligoni militari sardi, la ripresa della militarizzazione dell’isola sarebbe seguita alla “trattativa Stato-Regione del 2017”, cioè dopo il protocollo d’intesa tra ministero della Difesa e Sardegna per il coordinamento delle attività militari presenti nel territorio che avrebbe dovuto portare invece ad una riduzione dell'uso dei poligoni. Inoltre la giunta regionale presieduta da Christian Solinas (Partito sardo d’azione/Lega), “con il suo filo-militarismo”, ha rilanciato lo sfruttamento delle servitù militare (aree in cui il diritto di proprietà è limitato perché vicine a zone militari), “contrariamente a quanto auspicato anche dalle commissioni parlamentari”.
Per la terza commissione parlamentare di inchiesta sull’uranio impoverito e sull’inquinamento militare, c’era la “la necessità di procedere alla chiusura del poligono di Capo Teulada e del poligono di Capo Frasca e a un ridimensionamento territoriale del poligono interforze di Salto di Quirra”, si legge in una relazione approvata il 30 maggio 2012.
Un parere condiviso anche dalla Regione Sardegna e da alcune amministratori locali, ma ben presto abbandonato e dimenticato: nella successiva legislatura, la commissione è stato dato spazio per presentare i nuovi investimenti e la ripresa di attività del poligono, come l’inizio della “riconversione in senso duale”, ovvero civile e militare, del poligono di Quirra, auspicato dal presidente del neonato Distretto aerospaziale della Sardegna (Dass), Giacomo Cao, e dal presidente della giunta regionale sarda Francesco Pigliaru (Partito democratico nel 2014).
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Coraddu ricorda come nel luglio 2020, in piena pandemia, ci sia stato un incontro tra la giunta regionale, i vertici dell’azienda Finmeccanica-Leonardo e quelli dell’Aeronautica per instaurare un “clima di collaborazione nuovo” con le forze armate.
All’interno del mosaico di una strategia di investimenti in ricerca e sviluppo destinati in prima battuta all’utilizzo della difesa (e poi all’uso civile), Coraddu cita lo sviluppo del Dass, che promuove diversi progetti di militarizzazione, come il Sardinia Uav test range, un programma relativo alle basi permanenti per i test dei droni killer “che prevede di trasformare la Sardegna in una grande piattaforma per i test degli aerei senza pilota – UAV o droni – con il coinvolgimento dell’aeroporto militare di Decimomannu, del Pisq (Quirra), e di due piccoli aeroporti realizzati per promuovere il turismo (Fenosu e Arbatax) e attualmente inutilizzati”.
Proprio a Quirra, rivela ancora il fisico, si svolgono i test per la “guerra elettronica” con tali droni armati e aerei a pilotaggio remoto, così come i programmi del versante “guerre spaziali” con il tracciamento e l’inseguimento dei satelliti in orbita per sviluppare armi capaci di inattivarli o distruggerli. Un’attività presentata sempre come dual use militare e civile da Vitrociset, società storica dell’industria militare (partecipata da Leonardo) che gestisce le attività del poligono.
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