18 dicembre 2023
“Vincere la povertà non è un atto di carità, è un atto di giustizia. Come la schiavitù e l’apartheid, la povertà non è naturale. La povertà è causata dall’essere umano, e può essere superata e sradicata grazie all’impegno di tutti. A volte una generazione ha l’opportunità di dimostrare tutta la sua grandezza. Voi potreste essere quella grande generazione”. Queste furono le parole pronunciate da Nelson Mandela nel 2005 a Trafalgar Square, a Londra. Oggi, a pochi giorni dalla chiusura del 2023, non sembra questa la direzione scelta dall’Italia come dimostrano il continuo peggioramento delle condizioni materiali ed esistenziali, l’aumento delle disuguaglianze e dell’esclusione sociale. Soprattutto, se consideriamo l’incapacità del governo di dare risposte concrete a milioni di persone impoverite, precarie ed escluse.
Secondo l’Istat sono poco più di 2,18 milioni le famiglie che vivono in condizione di povertà assoluta, oltre 5,6 milioni di persone. Per Eurostat l’Italia è l’unico fra i grandi paesi europei in cui la quota di famiglie che non riescono ad arrivare alla fine del mese è sopra il 63 per cento (la media In Europa è pari al 45,5 per cento) mentre secondo l’associazione Svimez, Campania (2a), Calabria (4a) e Sicilia 5a) figurano tra le prime cinque regioni in Europa con la quota più alta di persone a rischio povertà ed esclusione sociale.
L'Europa chiede un reddito minimo, il governo no
Il Censis definisce la società italiana come “affetta da sonnambulismo, precipitata in un sonno profondo dell’analisi razionale, che servirebbe per affrontare dinamiche strutturali dagli esiti funesti, inabissata in una ipertrofia emotiva in cui le argomentazioni ragionevoli possono essere capovolte da continue scosse emozionali”. In questo contesto, prosegue l’istituto di ricerca, “trovano terreno fertile paure amplificate, fughe millenaristiche, spasmi apocalittici, l’improbabile e il verosimile”. Scenari ipotetici che paralizzano, escludendo la mobilitazione necessaria per la ricerca di soluzioni efficaci: un “dissenso senza conflitto, che genera l’inerzia del sonnambulismo dinanzi alla complessità delle sfide che la società contemporanea deve affrontare”.
Il peggioramento delle condizioni materiali ed esistenziali non ha prodotto la spinta necessaria a unire chi oggi subisce gli effetti di una crisi multidimensionale, strutturale e sistemica. Anzi, ha generato uno scollamento sempre più ampio tra la politica istituzionale e il paese reale, restituendo l’idea condivisa da milioni di persone secondo cui la politica non è più lo strumento attraverso il quale cambiare la propria condizione.
Il peggioramento delle condizioni materiali ed esistenziali ha generato uno scollamento sempre più ampio tra la politica istituzionale e il paese reale
Nei prossimi mesi la situazione peggiorerà ulteriormente a causa delle scelte compiute dal governo guidato da Giorgia Meloni, di cui oggi non vediamo ancora gli effetti: lo stop all’erogazione del Reddito di cittadinanza per 250mila famiglie, la cancellazione del Bonus affitti e l’azzeramento del Fondo morosità incolpevole, misure che fornivano un aiuto fondamentale a 600mila persone. Per non parlare dei tagli ai trasferimenti ai Comuni, alla sanità e alle politiche sociali contenuti nella Legge di bilancio e il ritorno alle politiche di austerità con il Patto di stabilità. A tal proposito, è utile ricordare che l’Europa ha sospeso il Patto di stabilità nel 2020, a seguito alla fase più acuta della pandemia da covid, ammettendo di fatto l’incompatibilità dell’austerità con i diritti e la democrazia.
"Salviamo il reddito di cittadinanza", appello della società civile alla politica
Gli effetti di queste politiche catastrofiche – alla base della crisi economica e sociale in Europa e accettate negli ultimi 15 anni in maniera bipartisan dai governi Italiani – sono sotto gli occhi di tutti. Nonostante questo, la politica sceglie di andare contro le evidenze, garantendo gli interessi dei più ricchi attraverso politiche di austerità, pareggio di bilancio, fiscalità regressiva e tagli a sociale, sanità, cultura, ricerca e istruzione.
I governi europei hanno posizioni diverse sul ritorno al Patto di stabilità e si dividono in termini strategici su come affrontare le tre grandi questioni del nostro tempo: guerre, collasso climatico e aumento costante delle povertà e dell’esclusione sociale. Questioni intrecciate e collegate dalle necessità del paradigma tecnocratico, come direbbe Papa Francesco. A rischio, dunque, c’è la tenuta democratica dell’Europa e il suo progetto politico. Il “modello sociale europeo” di Altiero Spinelli, con al centro i diritti sociali e la pace, è un sogno ormai lontano.
Ma, soprattutto, non sembrano esservi in Europa attori politici che abbiano la forza di riscrivere attraverso la partecipazione popolare un progetto che risponda ai nostri bisogni, preservando l’idea di una società giusta, libera e in pace. In assenza di risposte politiche adeguate a mobilitare un’azione rigeneratrice, stiamo assistendo alla costruzione di un’Europa sempre più armata, diseguale, priva di identità e incapace di una visione d’insieme. Nessun green new deal all’orizzonte, nessun piano Marshall attraverso i fondi del Next generation Eu per rispondere alla necessità di lavoro, servizi, salute, casa, istruzione e accoglienza.
Non sembrano esservi in Europa attori politici che abbiano la forza di riscrivere attraverso la partecipazione popolare un progetto che risponda ai nostri bisogni, preservando l’idea di una società giusta, libera e in pace
Quale futuro abbiamo allora davanti? Se non invertiamo la rotta, in Italia come in Europa, continueranno a crescere disuguaglianze, ingiustizie sociali e ambientali, mentre diminuirà la partecipazione dei cittadini. Non saranno le scorciatoie a salvarci, né il realismo cinico che contraddistingue il senso comune della fase politica attuale.
Cooperazione contro precarietà e disuguaglianze
Per non rimanere schiacciati dal senso di frustrazione di un immutabile stato di crisi permanente, dobbiamo ripartire dalle nostre relazioni inseparabili con la vita, attingendo alla nostra creatività, muovendoci perennemente nella costruzione del Noi, generando passione attraverso riconoscimento, cooperazione e solidarietà, dando luce a ogni innovazione sociale che sia il frutto di un’azione collettiva. Significa essere disposti non solo ad accettare la diversità e la pluralità delle forme di lotta, ma saperle utilizzare come opportunità uniche per articolare processi di liberazione creativa dal basso, costruendo piattaforme intersezionali, con leadership plurali, inclusive, che uniscano concretezza e visione su come affrontare il presente e costruire il futuro.
È quello che, con tutti i suoi limiti e con la consapevolezza di essere una parzialità, cerca di fare nel suo piccolo la Rete dei numeri pari, organizzando e mettendo insieme attività di mutualismo solidale, momenti di formazione e autoformazione, mobilitazioni per la difesa dei diritti sociali, costruendo allo stesso tempo obiettivi condivisi attraverso un’agenda sociale elaborata dal basso, con sette proposte che mettono insieme più di 700 realtà sociali. Proposte che rimettono al centro dell’agire politico la vita e i suoi bisogni: reddito minimo garantito, diritto all’abitare e servizi sociali di qualità; salario minimo legale e lavoro giusto e dignitoso; diritto all’accoglienza; lotta alle mafie; no all’autonomia differenziata; utilizzo del Pnrr per equità sociale e riconversione ecologica delle attività produttive; applicazione del metodo della co-programmazione e co-progettazione per rafforzare partecipazione e inclusione. È questo il programma politico in grado di mobilitare la partecipazione necessaria per sconfiggere le disuguaglianze, salvaguardando la democrazia e la pace.
Autonomia differenziata, lo Stato non deve arrendersi
Nei prossimi mesi, insieme a chi ha promosso La via maestra - Insieme per la Costituzione, di cui siamo parte, continueremo a mettere in campo azioni, assemblee, iniziative e proposte, partendo dalla priorità della lotta contro il progetto eversivo di autonomia differenziata e premierato. Se passasse, come più volte abbiamo denunciato in questi anni, metterebbe fine all’unità della nostra Repubblica, trasformandola in 20 piccoli staterelli; istituzionalizzerebbe le povertà, realizzando un regionalismo asimmetrico e non solidale; rafforzerebbe enormemente le mafie. Sarebbe la fine della Repubblica e del progetto politico contenuto nella nostra Costituzione, e per questo dobbiamo impedirlo.
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