31 marzo 2023
“Aumentare gradualmente il sostegno al reddito minimo per le persone che non dispongono di risorse sufficienti”. Mentre il Parlamento europeo invita gli stati a rafforzare le misure di contrasto alla povertà, con l'approvazione il 15 marzo scorso di una risoluzione per un “adeguato reddito minimo che garantisca l’inclusione attiva”, il governo Meloni intraprende la strada opposta: graduale riduzione dei percettori del reddito di cittadinanza e introduzione, a partire da gennaio del 2024, di una Misura sull’inclusione attiva (Mia). Per il momento della nuova misura si conoscono solo indiscrezioni, ma la linea dell’esecutivo è chiara: riduzione degli aventi diritto attraverso il taglio della soglia Isee; riduzione degli importi, soprattutto per gli occupabili; riduzione del tempo di erogazione. La premier Meloni, che dimentica che un quinto di percettori sono lavoratori poveri, ne ha fatto una questione di etica, portando alle estreme conseguenze le riflessioni sul “divano” già diffuse tra i politici italiani: “Dobbiamo eliminare un sussidio immorale per tutti quelli che sono in condizioni di lavorare”. Come a dire: ci sono poveri incolpevoli e poveri colpevoli.
La sociologa Francesca Coin: "Oggi non è considerato lecito vivere senza lavorare"
Come Ida, 58 anni, che nel 2016 ha perso il suo lavoro di psicologa e mediatrice culturale e da allora non è più riuscita a trovarne un altro. “Ho seguito dei corsi di formazione, ma niente”, racconta. Quell’anno ha subito anche uno sfratto, “dopo 32 anni nella stessa casa”. Insieme al marito, che ha un lavoro saltuario, non ha potuto fare altro che trasferirsi in un palazzo occupato insieme ad altre famiglie di senza casa. Quando è stato istituito il reddito di cittadinanza ha fatto subito richiesta e dopo un primo tentativo fallito per motivi burocratici, nel luglio del 2022 ha iniziato a percepire 500 euro al mese. Ida ad agosto potrebbe trovarsi di nuovo senza alcuna entrata: non ha ancora compiuto 60 anni e potrebbe rientrare tra i cosiddetti “occupabili” che secondo l’ultima legge di stabilità avranno diritto solo a sette mesi di sostegno nel 2023. “Non so cosa farò. Il centro per l’impiego non mi ha mai chiamato”, racconta. Non è la sola. L'ultimo rapporto dell'Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche (Inapp), conferma che meno dell’8 per cento dei percettori del sussidio ha ricevuto una risposta formativa e lavorativa, a causa principalmente della carenza di personale dedicato.
La "guerra" di Meloni contro le case occupate
Per l’Istat “le misure di sostegno economico nel 2020 hanno permesso a un milione di individui di non trovarsi in condizione di povertà assoluta. In assenza di sussidi l’intensità della povertà sarebbe stata di ben 10 punti percentuali più elevata”
Con la nuova Mia, cambierà anche la definizione di occupabili: mentre fino a oggi la condizione di occupabilità era stabilita da diversi fattori come le esperienze pregresse, il titolo di studio, la situazione familiare e il contesto socio-economico, con la nuova misura saranno considerati occupabili tutti coloro i quali hanno meno di sessant’anni e non hanno figli minorenni o famigliari con disabilità a carico. Secondo una stima dell’Ufficio parlamentare di bilancio basata su dati Inps, il 38,5 per cento dei nuclei, quasi 400mila in totale, potrebbero perdere il sussidio da agosto 2023. Un punto di partenza per comprendere il quadro su cui va a impattare questa misura restrittiva emerge dal Rapporto annuale dell’Istat del 2022. Nell’ultimo decennio “la povertà assoluta (ovvero il non potersi permette le spese minime per condizioni di vita accettabili, ndr) è progressivamente aumentata e nel biennio 2020-2021 ha raggiunto i valori più elevati dal 2005”, per un totale di 5,6 milioni di persone. Tra loro anche lavoratori, nonostante la povertà assoluta sia più elevata per famiglie con persone in cerca di occupazione. In questo quadro, per l’Istat “le misure di sostegno economico nel 2020 hanno permesso a un milione di individui di non trovarsi in condizione di povertà assoluta. In assenza di sussidi l’intensità della povertà sarebbe stata di ben 10 punti percentuali più elevata”, dato che sarebbe cresciuto fino a 30 punti per famiglie con persone in cerca di occupazione.
A completare il contesto c’è anche l’aumento delle diseguaglianze. Nell’ultimo report di Oxfam si legge che alla fine del 2021 “il 20 per cento più ricco degli italiani deteneva oltre i due terzi della ricchezza nazionale” e che negli ultimi vent’anni la distanza tra il 10 per cento più ricco e la metà più povera degli italiani ha avuto “un andamento divergente”. In questo quadro il reddito di cittadinanza ha rappresentato una risposta, seppur parziale e migliorabile. “Ha dato dignità alle persone ma anche al lavoro, perché ha permesso a molti di affrancarsi da condizioni di sfruttamento. Inoltre, ha sottratto braccia e vite alle economie sommerse e alle mafie”, commenta Elena Mazzoni di transform! Italia, nodo italiano dell’omonima fondazione politica del Partito della Sinistra Europea, che insieme alla Rete dei numeri pari e a un lungo elenco di realtà sindacali, associative e di movimento sparse in tutta Italia, tra le quali Libera, il Forum diseguaglianze e diversità, la Cgil di Roma e Lazio, Unione Inquilini, ha stilato una Agenda sociale in sette punti, tra i quali anche il rafforzamento del reddito di cittadinanza.
Il Comitato scientifico per la valutazione del reddito di cittadinanza istituito dal ministero del Lavoro nel marzo del 2021, presieduto dalla sociologa Chiara Saraceno, aveva messo nero su bianco la necessità di estenderlo
Mentre realtà attive nel contrasto alla povertà e all’esclusione sociale hanno espresso la necessità di estenderlo, politici di vari schieramenti, dalla destra al centrosinistra, hanno attaccato il reddito di cittadinanza. Andava in questa direzione la proposta di riforma di Carlo Calenda che, tra le altre cose, aveva ipotizzato l’abolizione del sussidio per gli under 40 senza figli. Eppure, il Comitato scientifico per la valutazione del reddito di cittadinanza istituito dal ministero del Lavoro nel marzo del 2021 e presieduto dalla sociologa Chiara Saraceno, aveva messo nero su bianco la necessità di estenderlo. La prima delle “dieci proposte per migliorare” la misura era l'abbassamento della soglia dei dieci anni di residenza in Italia, che ha portato all’esclusione di molte famiglie con cittadini stranieri. Un punto in merito al quale, nel febbraio scorso, la Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione contro l'Italia perché “non in linea con il diritto dell'Ue” in materia di libera circolazione. La Commissione poi proponeva la correzione dei criteri che sfavoriscono le famiglie numerose, una maggiore attenzione ai costi sostenuti per l'affitto, più flessibilità nel considerare il peso del patrimonio, una minore penalizzazione fiscale per chi riesce a trovare lavoro. C'è anche un punto in cui si chiede di ridefinire i criteri di “lavoro congruo e quindi non rifiutabile” perché i percettori teoricamente occupabili, si legge nel documento, “non hanno un'esperienza recente di lavoro e hanno qualifiche molto basse”.
L’Italia del Sud, dice Teresi della comunità Emmaus di Palermo, “è una delle zone più povere di tutta l’Europa. Qui più di un giovane su due è disoccupato. Senza contare che lo sfruttamento lavorativo e la precarietà estrema sono la norma”.
Il documento però è stato messo in un cassetto e oggi il governo Meloni è pronto alla stretta. “Si sta peggiorando una misura che poteva solo essere migliorata”, il commento di Nicola Teresi, presidente della comunità Emmaus di Palermo, parte della Rete dei numeri pari. Per esempio “i più poveri tra i poveri, e mi riferisco ai senzatetto sprovvisti di residenza e alle famiglie migranti residenti da meno di dieci anni, sono purtroppo sempre rimasti esclusi. Serve una misura universale, erogata su base individuale e non familiare (pensiamo per esempio alle donne vittime di violenza) e soprattutto non soggetta al ricatto lavorativo”. Intanto, però, per Teresi il reddito di cittadinanza è stato quasi un “miracolo” perché “c’è una fascia di popolazione che ha problemi a inserirsi nel mercato del lavoro e grazie alla misura è riuscita a conquistare un’autonomia che non aveva da tempo”, racconta. L’Italia del Sud, continua Teresi, “è una delle zone più povere di tutta l’Europa. Qui più di un giovane su due è disoccupato (il dato si riferisce alla platea dei soli giovani “attivi”, ndr). Senza contare che lo sfruttamento lavorativo e la precarietà estrema sono la norma”.
Negare la residenza equivale a negare i diritti
È accaduto anche a Paolo (nome di fantasia), 32 anni, residente a Palermo: “Per anni sono passato da una prova di lavoro a un’altra, dal volantinaggio al bar. Ogni volta facevo quel che mi chiedevano per qualche giorno, poi mi dicevano che non andavo bene e nessuno mi pagava”. L’unico lavoro per cui è stato retribuito bene “è stato il guardialinee nelle competizioni di cavalli. Ma lavoravo solo una volta al mese”. Poi è arrivato il Covid: “Avevo appena preso in affitto una casa. Non posso immaginare cosa sarebbe accaduto senza il reddito” che Paolo percepisce da quasi tre anni: “Sto ancora aspettando la chiamata del centro per l’impiego”.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Inps, “quasi un lavoratore su tre guadagna meno di mille euro al mese” e “la metà più povera degli occupati ha perso quote di reddito tra il 2005 e 2020”
Secondo l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal) a dicembre 2022 erano 725mila i percettori soggetti al Patto per il lavoro, un accordo da sottoscrivere con i centri per l’impiego che comporta il rispetto di una serie di impegni tra i quali, per esempio, accettare almeno una di tre offerte di lavoro considerate congrue. Di questi, erano stati presi in carico il 46,2 per cento. Tra i beneficiari, ricorda Anpal, ci sono anche i cosiddetti working poors, i lavoratori poveri: circa 157mila. Un fenomeno esteso. Secondo l’ultimo rapporto dell’Inps, “quasi un lavoratore su tre guadagna meno di mille euro al mese” e “la metà più povera degli occupati ha perso quote di reddito tra il 2005 e 2020”. Infine, il 23 per cento “guadagna meno di 780 euro al mese”, soglia massima del reddito di cittadinanza. L’Italia inoltre è l’unico paese dell’Ocse che ha visto diminuire il salario medio nell’ultimo trentennio, quadro sul quale oggi pesa anche la crescita dell’inflazione. Intanto, come emerge dall'ultimo rapporto dell’Inapp, tra il 2009 e il 2021 il lavoro atipico è cresciuto del 34 per cento mentre quello standard si è ridotto dell’8 per cento.
Avere un impiego non è più sufficiente per vivere dignitosamente
Mazzoni: "Chiediamo un cambio di rotta verso il reddito di base, la crescita salariale e l’equità fiscale, considerando il reddito di base come una parte delle misure sociali che concorrono alle condizioni economiche delle persone, dalla casa ai trasporti"
“Il dibattito è stato portato avanti con la logica di far ricadere la colpa sui singoli che non trovano lavoro, nonostante sia chiaro che lavoro per tutti non c’è”, commenta Giacomo Turci, che fa parte dei “Comitati in difesa del reddito di cittadinanza” lanciati da una serie di realtà romane tra le quali il sindacato indipendente Camere del lavoro autonomo e precario (Clap), centri sociali, il movimento per l’abitare, l’associazione Nonna Roma. Anche Turci, 31 anni, percepisce il reddito di cittadinanza: “Dopo la fine dell’università ho sostenuto il concorso per entrare nella scuola, che si è svolto in ritardo a causa della pandemia. Sono passato tra gli ideonei per insegnare geografia, ma non sono ancora stato chiamato per le supplenze. L’unica alternativa che ho in questo momento sono lavoretti precari”. Turci percepisce 780 euro al mese, prendendo quindi l’integrazione di 280 euro per l’affitto. “Il reddito ti dà autonomia ma copre il minimo delle spese”, conclude. All’inizio di marzo è partita una campagna “per difendere e migliorare il reddito di cittadinanza” dal titolo Ci vuole un reddito. L’appello è stato firmato da un lungo elenco di realtà tra le quali l’Arci Roma e la Cgil di Roma e Lazio.
“Da un lato il reddito di cittadinanza va difeso perché ha fatto da argine al dilagare della povertà in un periodo di crisi, tra pandemia, guerra e inflazione. Dall’altro è insufficiente e va allargato”, commenta Emanuele De Luca, sindacalista delle Clap. Per Alberto Campailla, presidente di Nonna Roma, “è una misura da migliorare ma negli ultimi anni come associazione di mutuo aiuto abbiamo visto con i nostri occhi che ha ridato speranza a molte persone. C’è anche chi ha trovato la forza di tornare a cercare un lavoro perché avere delle risorse su cui contare gli ha fatto pensare di potercela fare”.
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Intanto il 30 gennaio 2023 il Consiglio dell'Unione europea, composto dai ministri competenti per la materia dei rispettivi governi, ha approvato una raccomandazione “relativa a un adeguato reddito minimo che garantisca l’inclusione attiva”. Nel documento si raccomanda agli stati membri di “incoraggiare o agevolare il pieno utilizzo del reddito minimo” e di garantire “l’attivazione del mercato del lavoro”. Raccomandazione seguita dalla risoluzione di Strasburgo del 15 marzo. Per Elena Mazzoni “è esattamente la strada opposta a quella intrapresa dal Governo Meloni”. Proprio transform! Italia nelle scorse settimane ha raccolto le firme a sostegno di una petizione per l’attuazione della raccomandazione in Italia. “Le abbiamo consegnate al Presidente della Repubblica in una data simbolica, l’8 marzo, perché le donne sono tra le più svantaggiate dall’assenza di un’autonomia reddituale. È una richiesta di cambio di rotta verso il reddito di base, la crescita salariale e l’equità fiscale considerando il reddito di base come una parte delle misure sociali che concorrono alle condizioni economiche delle persone, dalla casa ai trasporti”.
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