Roma è diventata la Capitale delle disuguaglianze

Durante il lockdown, a fronte di 140 mila richieste di aiuto alimentare, soltanto 55 mila sono state soddisfatte. È una crisi di sistema e di struttura che la pandemia ha accelerato colpendo soprattutto i ceti popolari

Giuseppe De Marzo

Giuseppe De MarzoCoordinatore della Rete dei Numeri Pari

31 agosto 2020

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Che gran dono de Dio ch’è la bellezza!
Sopra de li quadrini hai da tenella:
pe via che la ricchezza nun dà quella,
e co quella s’acquista la ricchezza.

Giuseppe Gioachino Belli - poeta

Impoverita, impaurita, fragile e diseguale. Piena di solitudini, vuota di democrazia ma allo stesso tempo bellissima, ricca di luoghi e spazi di umanità e relazioni solidali. È questo che ha impedito alla Capitale d’Italia di sprofondare durante il lockdown: il dato sugli aiuti alimentari richiesti, accettati ed effettivamente erogati dal Comune lo spiega perfettamente. Le richieste di aiuto sono state 140 mila. Burocrazia e cultura del sospetto verso i poveri, visti come neghittosi e furbetti, hanno ridotto colpevolmente a 93mila le richieste accettate dal Comune. Di queste, solo 55mila sono state soddisfatte nonostante i soldi, molto pochi, messi a disposizione dal governo su questa voce. Decine di migliaia di famiglie ignorate.

L’invisibilità delle vite di scarto, di chi non può rimanere a casa perché una casa non ce l’ha o perché lavora a nero o nell’economia informale. Se non fosse stato per la solidarietà, la cooperazione e le forme di mutualismo messe in campo in maniera più o meno organizzata dalle realtà sociali romane, migliaia di famiglie non avrebbero avuto nessun sostegno. Siamo dinanzi a una crisi di sistema e di struttura che la pandemia prodotta dal Covid-19 ha solo accelerato, colpendo maggiormente i ceti popolari. I dati e le ricerche parlano della più grave crisi dal dopoguerra ad oggi. In Italia sono milioni senza protezioni sociali, insieme ad altri milioni a cui diritti e protezioni sono stati tagliati. Ultimi e penultimi.

Roma è anche una capitale dello spaccio. Soltanto nel 2018 sono state sequestrate cinque tonnellate di stupefacenti. La geografia dei traffici è diventata sempre più difficile da leggere

Le tendenze nazionali a Roma sembrano amplificarsi, trasformando la città nella Capitale delle disuguaglianze. La complessità dei problemi, l’intreccio delle cause e l’assenza di risposte politiche adeguate hanno alimentato e rafforzato la penetrazione della criminalità organizzata. L’11 giugno un altro incendio di natura dolosa ha colpito il quartiere di Centocelle a Roma. Questa volta è toccata alla palestra Haka Academy. Dopo le bombe di novembre, l’attacco alla libreria Pecora Elettrica, al Baraka Bistrot, alla pinseria Cento55, le intimidazioni e le minacce agli attivisti, sono tornate a farsi sentire l’arroganza e la violenza. Lo abbiamo detto e lo ribadiamo ancora una volta: quando la politica è debole, le mafie sono forti.

Il ricatto economico sui quartieri impoveriti, il livello di collusione e corruzione sono in aumento a grande velocità. I dati nella capitale riflettono e amplificano le contraddizioni, drammatizzandole in misura maggiore. Numeri che già prima del Covid-19 erano inequivocabili: l’1,8 per cento della popolazione possedeva un reddito superiore ai 100 mila euro, mentre il 51,3 per cento un reddito inferiore ai 15 mila; più di 150 mila anziani (un terzo del totale) vivevano con meno di 11 mila euro, non potendo fare fronte a nessuna emergenza; la metà delle famiglie era in una situazione di vulnerabilità sociale e un terzo a rischio esclusione; i Neet (giovani che non hanno un lavoro e non lo cercano, non studiano e non sono nemmeno in formazione) erano raddoppiati negli ultimi dieci anni raggiungendo la cifra record europea di 134 mila. Per questo la crisi sanitaria prodotta dal Covid-19, unita all’inadeguatezza della giunta di Virginia Raggi e all’esiguità dei fondi stanziati dal governo, si è trasformata subito in crisi sociale. Il virus non ci ha reso più uguali e non ha agito su un tessuto omogeneo.

La criminalità approfitta della pandemia per sostituirsi all'assistenza pubblica. Dai territori, l'allarme di Libera e delle altre associazioni preoccupate per la crescita di consenso ai clan

Sul fronte casa la situazione è drammatica. I soldi stanziati dal governo, 140 milioni, sono briciole (le regioni ne hanno chiesti 500). A Roma sono state 60 mila le domande di aiuto, a cui si sommano circa 20 mila famiglie che vivono in emergenza abitativa da tempo. Sono meno di 200 euro a famiglia di aiuto. Una miseria. Per non parlare dell’accoglienza. A Roma ci sono circa 25 mila senza fissa dimora e solo poche centinaia di posti letto messi a disposizione dal Comune che ignora tutte le richieste presentate da anni dalle realtà che se ne occupano. Le stesse che durante la quarantena hanno garantito da sole il servizio, esponendosi a rischio.

I problemi aumentano perché senza cooperazione e solidarietà non si esce dalla crisi. Ed è proprio su questi due pilastri che si sta ricostruendo una partecipazione politica che ha rimesso al centro gli obiettivi condivisi da cittadini e reti sociali. Diritto all’abitare attraverso investimenti pubblici e riutilizzo del patrimonio pubblico e confiscato, investimenti sulle politiche sociali e coprogettazione dei servizi, garanzie occupazionali per i lavoratori che hanno un rapporto di lavoro dipendente dal Comune di Roma, la concessione della residenza per chi vive in stabili di fortuna e la condivisione di procedure chiare per permettere l’accoglienza delle persone fragili nei centri, sono le richieste urgenti e di buon senso che le circa 90 realtà sociali e sindacali del nodo romano della Rete dei Numeri Pari continuano a portare avanti attraverso una mobilitazione permanente in città. Ma senza uno sguardo diverso e senza una cultura politica che rimetta al centro la relazione tra diritti sociali, diritti umani e diritti della natura non usciremo dalla crisi. Perché non c’è peggior crisi di quella che non si comprende.

Da lavialibera n° 3 maggio/giugno 2020

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