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Ue, direttiva rider affossata: milioni di lavoratori senza tutele

La nuova normativa europea, che avrebbe dovuto introdurre maggiori tutele per i lavoratori di piattaforma, non ha superato l'ultimo passaggio. Tutto viene rinviato alla prossima legislatura, che potrebbe essere ancora più restia a regole stringenti

Redazione <br> lavialibera

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Aggiornato il giorno 19 febbraio 2024

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La direttiva Ue sui rider è stata affossata. La nuova normativa europea, che avrebbe dovuto introdurre maggiori tutele per i lavoratori di piattaforma, non ha superato il passaggio al Coreper, il Comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati presso l’Ue, dove era necessaria la maggioranza qualificata per la sua approvazione. Per un nuovo accordo tutto viene rinviato alla prossima legislatura, che potrebbe essere ancora più restia a introdurre regole stringenti. 

"Francia, Germania, Estonia e Grecia hanno voltato le spalle a 30 milioni di lavoratori tra i più vulnerabili e sfruttati al mondo. Una decisione incomprensibile", ha detto Elisabetta Gualmini, relatrice per il parlamento Ue del testo. A nulla è servito il compromesso raggiunto l'8 febbraio scorso tra il Parlamento e il Consiglio dell'Unione europea. Con un testo che, pur migliorando la protezione dei dati e la trasparenza degli algoritmi, risultava depotenziato su un punto centrale: l'inquadramento contrattuale.

Rimaneva il principio della presunzione legale: quando un lavoratore, i suoi rappresentanti, o le autorità competenti, chiederanno di inquadrare il lavoratore come subordinato sarebbe toccato alle aziende dover raccogliere le prove per dimostrare che invece è davvero autonomo. Non il contrario, come è stato finora. Ma ogni Stato dell'Unione avrebbero potuto decidere i criteri dietro questo principio.

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Paese che vai, regole che trovi

Proprio i meccanismi dietro l'inversione dell'onere della prova sono stati il nodo critico. Su di loro, commissione, parlamento e consiglio hanno sempre avuto opinioni molto diverse. Un punto di equilibrio molto difficile era stato raggiunto a metà dicembre: la norma prevedeva che autorità nazionali e giudiziarie degli Stati membri avrebbero potuto far partire questo principio in presenza di due indicatori su una lista di cinque, modificabile.

Ma il testo non è poi stato sottoposto al voto formale del Coreper, l'organo tecnico del consiglio dell'Unione, quando è diventato chiaro che non avrebbe ottenuto la maggioranza. E, chiamati a esprimere un parere, i delegati dei Paesi Ue l'hanno giudicato molto lontano dalle loro aspettative. Nell'ultimo accordo raggiunto, questo principio valeva quando ci sono dei fatti che indicano "il controllo e la direzione" da parte delle aziende, secondo "la normativa nazionale e i contratti collettivi vigenti“.

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In pratica, i governi nazionali avrebbero avuto l'obbligo di “stabilire una presunzione legale relativa dell’occupazione a livello nazionale”. Ma non ci sarebbero stati dei criteri uguali per i Paesi membri. Ogni Stato avrebbe stabilito i suoi. L’unico elemento che avrebbe potuto garantire un po’ di uniformità sono le pronunce della Corte di giustizia europea.

L'opposizione della Francia

Una posizione che, più delle versioni precedenti della direttiva, andava nella direzione di quanto auspicato dalla Francia, uno dei primi Paesi europei a regolare il lavoro di piattaforma, introducendo il principio opposto a quello che si voleva portare avanti in sede Ue, cioè la presunzione di non subordinazione. Un peso ce l'hanno avuto anche le lobby. Un’influenza che è stata confermata da un’interrogazione parlamentare pubblicata a luglio 2023. Il rapporto documenta come Uber, società che offre non solo un servizio di consegne a domicilio ma anche il noleggio di auto con conducente, è riuscita ad aggirare le leggi francesi grazie alle complicità interne del governo e, in particolare, a una relazione opaca e privilegiata con il presidente della Repubblica Emmanuel Macron.

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Secondo il rapporto, Mark MacGann, ex responsabile delle politiche di Uber Europa, ha finanziato la campagna presidenziale di Macron e ha partecipato alla ricerca di fondi per il partito da lui creato, chiamato all’epoca la République en Marche. “La riservatezza e l’intensità dei contatti tra Uber, Macron, e il suo gabinetto testimoniano una relazione opaca ma privilegiata”, si legge nella relazione.

Dati e trasparenza degli algoritmi: i passi in avanti

Restavano alcuni passi avanti. Le nuove regole avrebbero assicurato che chi svolge un lavoro su piattaforma non può essere licenziato in base a una decisione presa da un algoritmo o da un sistema decisionale automatizzato. Le piattaforme avrebbero dovuto garantire il controllo umano su decisioni importanti che influiscono sulle persone che svolgono il lavoro tramite piattaforma. La direttiva introduceva norme più protettive per i lavoratori delle piattaforme anche nel campo della protezione dei dati. Alle aziende sarebbe stato vietato trattare alcuni tipi di dati personali, come quelli relativi alle convinzioni personali e agli scambi privati con i colleghi.

In più, il testo migliorava la trasparenza obbligando le piattaforme a informare i lavoratori e i loro rappresentanti su come funzionano i loro algoritmi e su come il comportamento di un lavoratore influisce sulle decisioni prese dai sistemi automatizzati.

Infine, le piattaforme avrebbero dovuto trasmettere informazioni sui lavoratori autonomi che impiegano alle autorità nazionali competenti e ai rappresentanti dei lavoratori delle piattaforme, come i sindacati. Anche questo era un punto importante: è, infatti, grazie a queste comunicazioni che riusciamo ad avere una panoramica del mercato occupazionale, ma al momento non sono previste per le partite Iva. Una lacuna che fino ad ora ha reso la categoria "afona", come ha detto Pasquale Tridico, ex presidente dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps), in un’audizione informale al Senato. 

“Sarà la prima volta che avremo norme Ue sulla gestione algoritmica sul posto di lavoro", aveva commentato Gualmini, aggiungendo: "Una maggiore trasparenza e responsabilità per gli algoritmi e una maggiore protezione dei dati per i lavoratori delle piattaforme dovrebbero diventare un punto di riferimento a livello globale. Ci siamo assicurati che fino a 40 milioni di lavoratori di piattaforma abbiano accesso a condizioni di lavoro eque".

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