1 maggio 2024
"Un giorno ho trovato un centinaio di mucche a pascolare su un terreno che avevo affittato. Ho chiesto i danni al pastore ma lui mi ha spiegato che lo avevano incaricato e che presto mi sarebbe arrivato un risarcimento". Adriano Marrama, agricoltore cerealicolo e allevatore di cavalli da gara di Vittorito, in provincia de L’Aquila, è una delle vittime del sistema illecito che, anche in Abruzzo, sfrutta le crepe della Politica agricola comune (Pac) per ottenere i contributi europei. La sua vicenda personale si inserisce in una storia più grande e complessa, dove amministratori, enti controllori e imprenditori non sono stati in grado di fermare chi ha voluto approfittare del meccanismo.
L’ente controllore (Agea) ha ammesso di aver fallito nel monitoraggio. Ora ha sviluppato un nuovo software
"Nella nostra Regione abbiamo visto transitare milioni e nessuno ha mai mosso un dito", spiega Marrama con il tono di chi sa più cose di quelle che può dire. Un sistema difficile da scardinare perché porta profitti a tutti: le imprese pagano lo stipendio ai pastori del territorio e intanto si riempiono le tasche, come ha messo in luce la ricerca della professoressa dell’Università de L’Aquila Lina Calandra, che già nel 2018 aveva denunciato la presenza nella regione di una rete di favori e minacce. Al lavoro accademico si aggiungono le operazioni delle forze dell’ordine, come quella dello scorso settembre denominata Transumanza, che oltre all’Abruzzo ha coinvolto Puglia, Trentino-Alto Adige, Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria, Emilia-Romagna, Lazio e Campania.
Un’altra indagine condotta nel 2017 dai carabinieri di Sulmona, di cui lavialibera ha ottenuto gli atti, dimostra inoltre che il sistema illegale non risparmiava neppure i parchi. Secondo la ricostruzione dei carabinieri, erano utilizzati in modo abusivo da imprese zootecniche che hanno violato le normative regionali, nazionali ed europee. Con la nuova Pac 2023-2027 si spera che qualcosa cambi, soprattutto nei controlli. Anche perché la stessa Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea) ha ammesso di avere avuto grossi problemi nel monitorare il territorio.
Mafie dei pascoli, ingiustizia ad alta quota
Sullo sfondo di questo racconto ci sono le montagne abruzzesi, che attraverso la loro diversità riescono a restituire gli intrecci di un modus operandi fraudolento stratificato e consolidato nel tempo. Nunzio Marcelli, imprenditore agricolo di Anversa degli Abruzzi, paese in provincia de L’Aquila che conta poco più di 300 abitanti, è testimone di quanto sta avvenendo. "Il grave danno è stato non aver capito che la Pac poteva essere una risorsa per il nostro territorio, che invece si è spopolato. Nel frattempo i soldi continuano a riempire le tasche di aziende che con questi luoghi non hanno nulla a che fare. Quando i grandi imprenditori mettono sul tavolo dei piccoli comuni dell’entroterra decine di migliaia di euro, le amministrazioni comunali difficilmente possono rifiutare".
Il cambiamento del paesaggio naturale si lega con la presenza sempre più forte di aziende provenienti da altre regioni, che possono ottenere i terreni grazie al disaccoppiamento, la procedura attraverso cui i contributi erogati non sono versati in base alla produzione, ma in base ai titoli di proprietà dell’agricoltore e agli ettari di terreno in suo possesso. "Il meccanismo sta funzionando da rendita, non da sostegno", precisa Marcelli, mentre Marrama aggiunge che "tanti ministri dell’agricoltura, da Gianni Alemanno, passando per Giancarlo Galan, Luca Zaia e Maurizio Martina hanno favorito il disaccoppiamento. Molti dicono che “è colpa di Bruxelles”, ma in realtà è la conferenza Stato-Regioni a decidere in che modo applicare la Pac sul territorio". Dino Rossi, agricoltore di Ofena (Aq) a cui hanno bruciato dei mezzi agricoli, commenta: "Chiunque sia al governo ha promesso cambiamenti. Ma i politici passano, i dirigenti restano".
Affinché gli agricoltori ricevano i soldi dall’Unione europea è necessario compilare e presentare una domanda, con le associazioni di categoria che svolgono un importante ruolo di intermediazione. "I Centri di assistenza agricola (Caa) prendono una commissione di circa il 3 per cento – osserva Marcelli – e quindi per domande che valgono milioni di euro di sussidi, parliamo di cifre altissime".
Calandra: "La mafia è nei pascoli"
Dallo scorso dicembre, grazie a un decreto voluto dal ministro Francesco Lollobrigida, i requisiti previsti per i Caa che possono presentare e gestire le domande per ottenere i fondi comunitari escludono di fatto i piccoli sindacati, creando un imbuto: per le prossime scadenze, previste a maggio 2024, le associazioni di dimensioni ridotte potranno farsi carico solo della gestione delle piccole pratiche, mentre i fascicoli delle aziende potrebbero passare tutti in mano a Coldiretti.
Il rapporto con i Caa è risultato essere cruciale anche per il gruppo coordinato dagli imprenditori trentini Mariano e Armando Berasi che, secondo l’inchiesta Transumanza, avrebbe commesso una serie di reati tra cui truffe, autoriciclaggio e reimpiego dei proventi illeciti. Secondo gli investigatori uno degli indagati avrebbe eseguito le direttive dei Berasi, in qualità di co-amministratore di fatto di enti tra cui Caa Alpa de L’Aquila e di Campobasso e il Consorzio Aquilano.
In questa vicenda si inseriscono anche luoghi pensati per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturalistico e culturale: i parchi nazionali. Lavialibera ha potuto visionare una comunicazione di notizia di reato presentata dal Reparto carabinieri Parco nazionale della Majella alla procura di Sulmona, datata 2 ottobre 2017. Un documento scottante, che però non ha avuto alcun esito. Ragione per cui dobbiamo ritenere tutti i protagonisti citati innocenti fino a prova contraria. L’accusa mossa dagli inquirenti è di truffa aggravata ai danni dell’Unione europea, pascolo abusivo di bestiame e deterioramento di habitat di interesse dell’Ue. I nomi citati sono 27, tra proprietari di aziende zootecniche, sindaci, responsabili degli uffici tecnici comunali, il direttore del parco nazionale della Majella e il responsabile dell’ufficio veterinario del parco, che all’epoca dei fatti contestati era anche il sindaco di Caramanico Terme, in provincia di Pescara.
Nel territorio del Parco nazionale della Majella e nei nove comuni di Pacentro, Sulmona, Pratola Peligna, Pescocostanzo, Ateleta, Caramanico Terme, Sant’Eufemia a Maiella, Palena e Pizzoferrato, otto aziende zootecniche avrebbero avuto in concessione grandi fondi comunali in modo abusivo, violando le norme regionali, nazionali ed europee, trattandosi di aree boschive dove non è consentito il pascolo, oppure delle cosiddette zone A di riserva integrale, caratterizzate da habitat fragili o aree ripide e rocciose, impraticabili per il pascolo. Non solo. Le indagini avevano fatto emergere numerosi nullaosta al pascolo rilasciati dall’Ente parco e mai pubblicati sull’Albo pretorio. Solo sulle montagne del Morrone, nell’Appennino abruzzese, i contributi comunitari per i pascoli ammontano a più di un milione e 200mila euro. Cifra calcolata sui cinque anni dei fondi previsti dal Piano di sviluppo rurale della regione Abruzzo dal 2014 al 2020.
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Ad attirare l’attenzione dei carabinieri erano stati alcuni incendi avvenuti nei mesi di luglio e agosto del 2017 sulle montagne del Morrone, proprio sopra la città di Sulmona, che avevano distrutto gran parte della superficie concessa. Secondo l’impianto accusatorio contenuto nel documento, "sarebbero esistiti forti interessi a controllare il mercato delle aziende zootecniche operanti in Abruzzo e nella zona reatina, in grado di fruttare guadagni dell’ordine di alcuni milioni di euro in cinque anni".
Nella corsa all’ottenimento dei fondi alcuni gruppi che "storicamente controllano il mercato" erano entrati in conflitto: da un lato alcuni nomi con base a Sant’Eufemia a Maiella (Pe), ma con forti collegamenti con l’area pugliese; dall’altra aziende con base a Rieti e collegamenti con l’area di Latina e del basso Lazio. Dalle carte risulta che "gran parte degli incendi sarebbero stati appiccati con intenti intimidatori e ritorsivi su mandato dei “capi” dei due gruppi contendenti che controllavano, attraverso favoritismi ed estorsioni, l’intero mercato".
Un’altra ipotesi avanzata dai carabinieri è che siano stati i concessionari stessi a bruciare i pascoli a loro assegnati, in modo da poter disporre, a partire dal 2018, di terreni in migliori condizioni, addirittura "accampando la causa di forza maggiore come motivazione per giustificare l’impossibilità di rispettare le condizioni previste dai bandi [...] e percepire i contributi dell’Ue". Tre giorni dopo gli incendi, Confagricoltura ha chiesto alla Regione Abruzzo il pagamento dei contributi per quei pascoli bruciati e inutilizzabili. "In questo modo avrebbero così garantiti lauti guadagni senza alcun rischio o spesa", continua il documento. Di questa indagine, però, non si sa più nulla.
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Ad ammettere di aver fallito nel lavoro di monitoraggio, tanto da presentare in pompa magna un nuovo sistema di controllo costato 12 milioni di euro, è proprio Agea, l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura. Durante un talk pubblico, dal titolo Coltivare legalità, la dirigente Cristina D’Annibale ha ammesso: "La ragione per cui ci è sfuggito il fenomeno delle frodi è proprio la mancanza di prossimità, perché Agea attualmente copre 11 regioni che sono lontane. È qui che si sono verificati fenomeni di cui non eravamo a conoscenza". Le cause dei mancati controlli sono diverse. Anzitutto i dati si potevano inserire nel sistema solo manualmente e l’Agea non poteva accedere ad alcune banche dati. In secondo luogo, era difficile scambiare le informazioni tra forze dell’ordine, database di altri enti e l’organismo pagatore.
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Con il nuovo sistema, che sarà applicato alle domande del 2024, si incroceranno le richieste arrivate all’ente, i conti correnti dove si depositano i pagamenti e gli stessi pagamenti. È stata anche stipulata una convenzione con carabinieri e Guardia di finanza per massimizzare il lavoro di controllo e monitoraggio del territorio, oltre che per fornire un sistema di interoperabilità con i comuni e la Direzione anticrimine della polizia.
Il nuovo software dell’ente pubblico non è l’unico metodo per fermare queste truffe. Secondo gli agricoltori ascoltati da lavialibera, il ritorno ai titoli accoppiati da un lato potrebbe semplificare i controlli attraverso una verifica immediata; dall’altro, contribuirebbe al ripopolamento delle aree interne. C’è poi un altro percorso, più lungo, che dovrebbe coinvolgere la governance locale. In tal senso, potrebbe risultare utile un sistema intermunicipale efficiente che elabori un regolamento per la gestione dei beni demaniali. Un tavolo di sindaci e dirigenti locali per non farsi cogliere impreparati.
Aumentare la consapevolezza è anche l’auspicio di chi, come il prefetto de L’Aquila Giancarlo Di Vincenzo, è convinto che "le istituzioni debbano essere vicine ai cittadini, per permettere che certi episodi non accadano più". Un mix virtuoso fatto di competenze, strategia, amore per il bene pubblico e rispetto per la natura. Quello che, in fondo, è lo spirito della Pac.
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