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31 ottobre 2024
Ero all’ultimo anno di liceo: un periodo già di per sé tumultuoso, sospeso tra l’ansia per il futuro e la nostalgia per l’adolescenza che ci si lascia alle spalle. Per me si è trasformato in un campo minato, in cui ogni pasto era una battaglia e ogni riflesso sullo specchio una pugnalata. Non erano i soliti capricci che si possono manifestare quando il corpo cambia.
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Si trattava di qualcosa di più profondo: il cibo era diventato il mio peggior nemico e il mio miglior alleato. Da una parte si faceva ossessione che mi controllava, dall’altra mi proteggeva dandomi un senso di sicurezza illusorio. L’unico pensiero, una volta finite le lezioni, andava alle schifezze che mi sarei comprata durante il pomeriggio. Solo quello mi faceva sentire bene per un po’, perché poi arrivavano le abbuffate. Subito dopo, puntuali, i sensi di colpa. E quando non vomitavo, sapevo che avrei bilanciato saltando la cena.
La fine del liceo è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. La scelta dell’università e cosa fare da grande erano due domande che mi martellavano e si intrecciavano con la paura di diventare adulta, di assumermi delle responsabilità e di affrontare un mondo che mi sembrava ostile e pieno di insidie. Insieme alle mie paure, anche il mio disturbo alimentare è cresciuto.
La fine del liceo è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Insieme alle mie paure, anche il mio disturbo alimentare è cresciuto
Il cibo era diventato l'unico rifugio sicuro, il modo per anestetizzare il dolore e il senso di inadeguatezza che mi attanagliavano: così di nuovo, dopo le abbuffate, arrivavano i sensi di colpa, in un circolo vizioso che mi allontanava sempre di più da amici e familiari. Nemmeno l'iscrizione all'università, che avrebbe dovuto rappresentare un nuovo inizio, si è dimostrata una via d’uscita, ma solo un’altra delusione. Intanto, i miei coetanei sembravano godersi la vita e progettare il futuro. Loro si muovevano, mentre io ero ferma, incapace di andare oltre il mio malessere.
C’erano altre ragazze che condividevano il mio stesso disagio. Internet era una finestra su un mondo di storie simili. Eppure, nella realtà quotidiana non trovavo nessuno che potesse trovare una soluzione a quel malessere che provavo. Quando mia mamma ha capito che stava accadendo qualcosa di serio mi ha convinta a rivolgermi al centro per i disturbi del comportamento alimentare dell’ospedale Molinette di Torino: là, di sicuro, avrebbero saputo come farmi uscire da quella situazione.
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Ma non ha funzionato. Ho continuato a ripetermi con rabbia che non avevo scuse per stare male. Pensavo: "Non sono abbastanza magra per essere anoressica, né abbastanza grassa per essere bulimica". Mi sentivo colpevole, come se stessi recitando una farsa, come se la mia sofferenza non fosse abbastanza valida e avesse bisogno di un’etichetta per essere riconosciuta.
C’è stato un momento in cui ho cominciato a vedere le cose diversamente, iniziando ad accettare il mio dolore senza giudizio, scuse o giustificazioni: il giorno in cui ho iniziato la psicoterapia. Sapevo che non sarebbe stata sufficiente, ma – anche grazie all’aiuto della mia famiglia – ho cominciato a sperare di uscirne. Proprio quando iniziavo a scorgere un barlume di speranza, è arrivata la pandemia.
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In un mondo improvvisamente fermo, non ero più l'unica a sentirmi indietro. Per me è stato un sollievo. So che può sembrare un pensiero egoista, ma era dettato dalla disperazione e dal bisogno di trovare conforto in un momento di grande incertezza. Purtroppo è durato poco: presto a regnare è arrivata la sensazione di claustrofobia. Il lockdown mi ha costretta a confrontarmi 24 ore su 24 con il mio disturbo alimentare e la mia casa si è trasformata da rifugio in trappola.
In quei momenti bui ricordo anche di aver avuto la tentazione di mollare tutto e smettere di lottare. Quello che mi ha salvato è stata la forza, ancora una volta, di chiedere aiuto. Ho deciso, insieme a mia mamma e alla mia psicologa, di contattare una psichiatra per ricevere un supporto farmacologico. Una scelta che non ho preso alla leggera: avevo sempre avuto un certo timore nei confronti dei farmaci, colpa della poca informazione e dei pregiudizi verso chi si rivolge al supporto psichiatrico, ma serviva un intervento più incisivo.
Durante il lockdown ricordo di aver avuto la tentazione di mollare tutto e smettere di lottare. Quello che mi ha salvato è stata la forza, ancora una volta, di chiedere aiuto
A distanza di qualche anno, non ha risolto magicamente tutti i miei problemi, ma ho a disposizione gli strumenti necessari per affrontarli con maggiore lucidità e per riconoscere i segnali che il mio corpo trasmette.
La mia lotta contro il disturbo alimentare è ancora in corso. Ci sono giorni in cui mi sento più forte e altri in cui mi sento più fragile, alcuni in cui riesco a gestirlo bene e altri in cui mi sembra di sprofondare. Ho imparato a non lasciarmi dominare. È una parte di me, un compagno di viaggio non desiderato che mi accompagnerà forse per tutta la vita. Ma ho anche imparato che io sono molto di più del mio disturbo.
La mia lotta contro il disturbo alimentare è ancora in corso, ma ho imparato a non lasciarmi dominare. È una parte di me, un compagno di viaggio non desiderato che mi accompagnerà forse per tutta la vita
Di sfide ce ne sono ancora molte, ma so che ho la forza e le risorse per superarle. Che non sono da sola. Che guarderò indietro e vedrò quanta strada ho fatto. E se anche tu che leggi queste righe stai lottando contro un disturbo alimentare, ti incoraggio a non avere paura di chiedere aiuto. Non siamo soli. Ci sono professionisti che possono aiutarti a trovare la strada giusta. E ricorda che, a volte, i farmaci possono essere un valido strumento per supportarti nel percorso di guarigione.
Da lavialibera n° 29, Tutti dentro
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