
Le armi bruciano il pianeta



31 ottobre 2024
La carcerazione giovanile si sta allontanando sempre più dallo spirito originario del Dpr 448/88, che ha riformato il processo penale minorile e che la prevedeva come extrema ratio, quando tutte le altre possibilità sono esaurite. Oggi, invece, è diventata l’intervento prioritario. Questo perché genera consenso, ma rimane un palliativo: l’aumento della pena non è mai stato un vero deterrente. In 33 anni di lavoro in questo ambito non ho mai visto un ragazzo dire: "L’anno scorso ho fatto una rapina perché la pena era di un anno, ora che è di un anno e mezzo non la faccio più". Non è questo il motivo che spinge un giovane a scegliere se compiere o meno un reato. La realtà è che in alcuni quartieri e contesti sociali manca qualsiasi forma di prevenzione primaria.
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La criminalità esercita un fascino pericoloso, così come le organizzazioni mafiose. E noi, cosa proponiamo in alternativa?
Gli adolescenti, di ogni epoca, condividono il desiderio di dimostrare il proprio coraggio, di sapere affrontare rischi e fare cose originali. Molti reati a sfondo sessuale o atti di bullismo sono compiuti per essere filmati e condivisi perché rispondono al bisogno di visibilità, anche in modo distorto, al desiderio di non restare nell’anonimato. La criminalità esercita un fascino pericoloso, così come le organizzazioni mafiose. E noi, cosa proponiamo in alternativa? Come possiamo chiedere ai giovani di essere diversi se la nostra società promuove valori come il denaro, il potere e la violenza? È inevitabile che i ragazzi adottino atteggiamenti che rispecchiano questi modelli. Spesso i giovani rubano perché sentono la pressione di possedere oggetti costosi, come scarpe da 700 euro, per sentirsi accettati. Se vogliamo aiutare i ragazzi a riorientarsi verso valori più sani, dobbiamo fare in modo che anche la società in cui vivranno cambi i propri valori.
La messa alla prova rappresenta uno strumento fondamentale per noi assistenti sociali nel nostro intervento con i minori. In sostanza, quando un ragazzo commette un reato e ammette di averlo fatto, ha l’opportunità di intraprendere un percorso di riabilitazione scegliendo, appunto, di essere messo alla prova.
Spesso, i ragazzi pensano: "Quanto sono scimuniti questi! Lo faccio perché, se mi comporto bene e rispetto il programma che abbiamo stabilito insieme, i reati mi vengono cancellati. Certo che dico di sì!"
Spesso, i ragazzi pensano: "Quanto sono scimuniti questi! Lo faccio perché, se mi comporto bene e rispetto il programma che abbiamo stabilito insieme, i reati mi vengono cancellati. Certo che dico di sì!". Siamo consapevoli che molti iniziano con questo atteggiamento strumentale, ciò che non sanno però è che la messa alla prova può realmente diventare un’opportunità di crescita.
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Una delle iniziative che abbiamo organizzato, ascoltando i ragazzi, è stata quella di proporre esperienze avventurose e significative, come lanciarsi col paracadute o seguire un corso di immersione subacquea. Abbiamo organizzato viaggi intercontinentali per ragazzi che non avevano mai preso un aereo, facendoli partecipare ad attività di solidarietà sociale, come servire alla mensa dei poveri o fare la spesa per gli indigenti. In questo modo, hanno potuto sperimentare la bellezza del donare senza aspettarsi nulla in cambio. Il primo viaggio in Africa risale al 2006, quando abbiamo iniziato questa pratica. Da allora, a seconda delle risorse economiche che riuscivamo a racimolare, siamo stati in Africa, nell’Europa orientale e persino in Sud America, in Chiapas. Questi ragazzi, che spesso avevano pregiudizi razziali, hanno imparato a conoscere e apprezzare l’ospitalità delle persone di altre comunità, facendo attività insieme a loro.
Un episodio mi ha colpito particolarmente: in Etiopia, abbiamo conosciuto una ragazza con un grave problema all’orecchio, che rischiava di perdere l’udito perché non poteva permettersi un’operazione. Uno dei nostri ragazzi, Ciccio, un ex detenuto, ha chiesto quanto costasse l’intervento. Quando gli hanno risposto che servivano 300 euro, ha esclamato: "300 euro? È quanto spendo in un sabato sera". Così ha chiesto agli altri ragazzi di mettere insieme il denaro che avevano in tasca e, una volta tornati in Italia, ha organizzato due cene per raccogliere altri fondi. Alla fine, abbiamo inviato il denaro all’associazione che ci aveva ospitato.
Ancora oggi, Ciccio mi dice: "Ti rendi conto che grazie a noi, anche grazie a me, c’è una ragazza in Africa che ci sente?". E lo dice lui, un ragazzo che ha trascorso cinque anni in carcere. "Quanto sono costato allo Stato in quel periodo? Io ho capito molto di più in 15 giorni, spendendo 1.500 euro per un viaggio, che in cinque anni di prigione che sono costati allo Stato almeno 100mila euro". Questa esperienza si ripete ogni anno, permettendo ai ragazzi di riscoprire la loro empatia e la loro capacità di fare del bene. Perché il loro problema spesso è l’autostigmatizzazione, invece attraverso queste esperienze si sentono utili e valorizzati. Il gruppo di ragazzi che ogni anno partecipa alla messa alla prova ha fatto proprio uno slogan: "Fare del bene, fa bene a chi lo fa". Così quella che all’inizio sembrava una presa in giro, si è trasformata in un’opportunità straordinaria per comprendere insieme cosa possiamo cambiare.
Estratto dell'intervento alla Summer school di Antigone, Torino, settembre 2024.
Da lavialibera n°29, Tutti dentro
  
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