31 ottobre 2024
Fondatore dell’associazione Kayrós di Milano, che dal 2000 gestisce l’omonima comunità di accoglienza per minori, e cappellano dell’ipm Cesare Beccaria, don Burgio da anni conosce da vicino le condizioni di vita dei giovani autori di reati.
Daspo. La repressione si impara a dodici anni
Don Burgio, come è cambiata la vita nell'ipm negli ultimi mesi?
È arrivata un’ondata di minori stranieri non accompagnati alla quale eravamo impreparati. Strutturare progetti con loro è difficile: arrivano da contesti traumatici e hanno alle spalle diversi mesi di clandestinità e vita in strada. Spesso sono analfabeti e con problemi di tossicodipendenza. L’unica cosa che vogliono, brutalmente, sono i soldi. Poi la situazione al Beccaria è più complessa che altrove, anche per la vicenda delle violenze sui detenuti.
A proposito, si è chiesto come mai nessuna delle vittime si fosse confidato con lei?
In Italia non si capisce che investire in educazione non significa diminuire la risposta ai bisogni di sicurezza, ma il contrario
Ormai da tempo l’adulto è diventato irrilevante per gli adolescenti ed è difficile intercettare i bisogni. Non mi sarei mai immaginato che dei volti rossi potessero essere causati dagli agenti. È innegabile che nelle carceri ci sia un clima violento, stiamo però cercando di ritrovare un equilibrio tra gli interventi securitari e quelli educativi.
"Non esistono cattivi ragazzi" è scritto all'ingresso della sua comunità, eppure una parte dell'opinione pubblica la pensa diversamente. Come concilia il bisogno di sicurezza con la cura di questi adolescenti?
In Italia non si capisce che investire in educazione non significa diminuire la risposta ai bisogni di sicurezza, ma il contrario. La giustizia vera non è vendicativa, ma deve mirare all’educazione e all’inclusività. Se i ragazzi non hanno progetti e possibilità formative, lavorative o abitative, poi tornano a delinquere.
Nella sua comunità ha fondato un'etichetta musicale. Quanti ragazzi agganciate?
Un po’ difficile da quantificare. Le attività proposte non permettono solo di diventare artisti famosi, come potrebbero essere Baby Gang o Sacky, ma offrono opportunità nella produzione musicale. Per noi è uno strumento anche pedagogico ed educativo: attraverso i testi capiamo il loro mondo. Io leggendo le canzoni ho compreso quali fossero realmente le condizioni di vita di alcuni ragazzi nelle case popolari di certi quartieri e soprattutto dei ragazzi di seconda generazione. La musica ci ha offerto spunti impressionanti, poi non sempre siamo stati capiti: alcuni ragazzi hanno prodotto testi o video che hanno sollevato polemiche.
In effetti l’utilizzo di immagini con armi potrebbe far pensare a una “romanticizzazione del criminale”?
I rischi ci sono e non vanno sottovalutati. Però i testi corrispondono esattamente alle loro storie, non c’è nulla di costruito. La realtà non va censurata. In una delle sue canzoni, per esempio, Baby Gang racconta perché ha compiuto una rapina. Questo non vuol dire giustificare il reato, ma ci può aiutare ad arrivare all’origine del problema.
Da lavialibera n° 29, Tutti dentro
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