Il team di Milano Mediterranea
Il team di Milano Mediterranea

Ripensare le periferie: a Milano il cibo multiculturale diventa arte partecipata

Il regista di origini filippine Liryc Dela Cruz ha cucinato insieme agli abitanti del quartiere Giambellino-Lorenteggio, che ospita la sede del centro Milano Mediterranea, uno spazio pubblico dove artiste e artisti con background migratorio realizzano performance coinvolgendo i residenti

Marta Facchini

Marta FacchiniGiornalista freelance

29 maggio 2024

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Liryc Dela Cruz è un regista originario di Tupi, nelle Filippine, che da anni studia la diaspora della sua comunità in Italia e le conseguenze, sociali e identitarie, derivanti dai domini spagnolo, americano e giapponese. È fra gli artisti selezionati nell’ambito della open call Al Aassifa العاصفة - Navigare la tempesta, organizzata da Milano Mediterranea, il centro di arte partecipata de-coloniale che offre ad artiste e artisti con un background migratorio la possibilità di realizzare un’azione performativa nel quartiere di Giambellino-Lorenteggio, coinvolgendo in modo attivo i suoi abitanti.

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Durante l’incontro dal titolo Salu-Salo, Spaces, recipes and conversations, nell’ambito del Laboratorio antropologia del cibo (Lac), Dela Cruz ha cucinato i turón, gli involtini fritti di banana tradizionali nella cultura filippina: un momento collettivo di restituzione della residenza artistica che l’artista ha svolto in città, incontrando e lavorando con la comunità filippina. I residenti del quartiere hanno aiutato a preparare altri piatti della tradizione.

Dela Cruz ha cucinato i turón, gli involtini fritti di banana tradizionali nella cultura filippina: un momento collettivo di restituzione della residenza artistica che l’artista ha svolto in città

“Credo che la cucina sia uno spazio simbolico molto potente – spiega Dela Cruz –, trovarsi ora in questo luogo implica un atto di riconoscimento tra di noi. Il cibo, la nostra presenza e le nostre conversazioni, aprono alla cura e all’ospitalità. È come tornare a una dimensione che precede la colonizzazione. È tornare ai gesti dei nostri antenati che nella loro terra accoglievano persone straniere, visitatori, coloni”. In passato, nella performance multimediale intitolata Il mio filippino, Dela Cruz ha indagato il lavoro domestico e di cura e come questi siano diventati una narrazione totalizzante con cui si identifica l’intera comunità.

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“A Milano ho incontrato le prime generazioni di filippini, ho riflettuto su come questi corpi, relegati allo spazio invisibile domestico, sono stati funzionali alla costruzione di una specifica geografia della città nell’ottica di un’economia della fatica. Le seconde e terze generazioni stanno creando una disconnessione, autodeterminandosi. È un processo individuale e collettivo”.

Il regista Liryc Dela Cruz
Il regista Liryc Dela Cruz

Milano Mediterranea, che oggi conta 11 collaboratori, nel biennio 2020-2021 ha organizzato la prima residenza artistica a Giambellino-Lorenteggio, grazie a un finanziamento del programma La scuola dei quartieri del Comune di Milano, e il festival Twiza (stare insieme, in berbero). “La nostra associazione culturale vuole decostruire l’idea di una visione ‘bianca’ dell’arte e della società”, spiega Anna Serlenga, regista teatrale co-fondatrice di Milano Mediterranea insieme all’attore, musicista e performer Rabii Brahim.

“Vogliamo decostruire l’idea di una visione ‘bianca’ dell’arte e della società”, spiega Anna Serlenga, co-fondatrice di Milano Mediterranea insieme a Rabii Brahim

“Per farlo, pensiamo sia fondamentale cedere la parola e lavorare nello spazio pubblico, creando progetti insieme a chi vive sul territorio. Gli artisti non prendono la parola da soli, lo fanno insieme alla comunità”. Serlenga e Brahim hanno lavorato per dieci anni in Tunisia nel periodo post-rivoluzionario e fondato la compagnia teatrale Corps Citoyen, con cui hanno realizzato progetti di arte partecipata in luoghi di Tunisi considerati marginali.

“Quando siamo tornati a Milano – spiega Brahim – abbiamo constatato che il dibattito sul processo di decolonizzazione era ancora poco sviluppato. Come primo passo, abbiamo lanciato una open call rivolta ad artisti e artiste della diaspora. È stato un modo per vedere chi c’era a Milano e una chiamata pubblica alla città per creare alleanze. Abbiamo iniziato a ricostruire un rapporto con artisti che lavorano in Italia e provengono dal bacino mediterraneo”.

Con la direzione artistica del collettivo, a scegliere chi vince le open call è un comitato di quartiere costituito da persone con provenienze e formazioni molto diverse tra loro. Quasi nessuno si occupa di arte come professione. Il gruppo si riunisce in quattro incontri, che si tengono in alcuni spazi comunitari di riferimento, e dibatte sulle proposte presentate.

“Non votiamo ma arriviamo alla scelta dei nomi per consenso – aggiunge Serlenga –, ci interessa la discussione e nei nostri incontri il dibattito è sempre molto acceso. Per noi è importante che i progetti siano un processo, non un prodotto chiuso, e che si sviluppino in un movimento reciproco con il quartiere e la sua comunità. Devono potere alimentare domande nuove”.

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Gli artisti selezionati ricevono supporto nella curatela del progetto e una borsa di studio. Nella open call del 2024, finanziata da Allianz in co-progettazione con il centro culturale Base Milano, è stata selezionata anche l’artista Vishwa Patel. Originaria del Gujarat, in India, ed esperta di pratiche culturali del cibo, racconterà le culture alimentari del quartiere e come sono cambiate grazie alle migrazioni avvenute in città.

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Nel progetto Third Culture Patel userà il cibo come strumento di ricerca per una “terza cultura”, un linguaggio comune a tutte le persone in diaspora cresciute al di fuori del proprio contesto di origine. In tre laboratori progettati insieme al Giambellino, il cibo diventerà il mezzo per costruire un senso di identità valorizzando le differenze. “La curatela artistica è pensata insieme agli abitanti del quartiere perché vogliamo scardinare il concetto che la periferia debba ricevere in modo assistenzialista le proposte dal centro. È invece un luogo di azione e propulsione”, sottolinea Serlenga.

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Gli artisti graviteranno in diversi spazi tra cui esercizi commerciali, spazi culturali, punti di ristorazione e aggregazione sociale. In tre anni di progettazione, si sono esibiti i Mombao Mombao, gruppo italo-iraniano composto da Damon Arabsolqar al sintetizzatore e Anselmo Luisi alla batteria, l’artista queer armena Giorgia OhanesianNardin, che si occupa di danza e coreografia, e il duo di illustratori grafici Alessandro Criptsa e Daniele Bonaiuti.

Sono stati scelti anche l’artista italo-marocchina Soukaina Abrour e il film-maker tunisino Houssem Ben Rabia, insieme a Ismael Condoii, dj e sound designer italo-ecuadoriano che porta avanti un percorso di sperimentazione tra suoni andini e afro, e l’artista visivo Marvin Gabriele Nwachukwu.

Dal 2023 Milano Mediterranea ha iniziato a lavorare anche nel quartiere di San Siro con il progetto artistico Trap Community Opera, rivolto a ragazzi e ragazze tra i 15 e i 25 anni: quasi 70 studenti dell’Istituto superiore Galilei-Luxemburg stanno seguendo laboratori di hip hop (diretti da Sara Lorenzetti, coreografa, danzatrice e membro della crew milanese Blackrootz), musica trap (tenuti dal rapper Daniele Vitrone, in arte Diamante) e teatro per scrivere un’opera musicale sulla loro storia e quella del quartiere.

Dal 2023 Milano Mediterranea ha iniziato a lavorare anche nel quartiere di San Siro con il progetto artistico Trap Community Opera, rivolto a ragazzi e ragazze tra i 15 e i 25 anni

La performance finale, scritta e suonata, sarà messa in scena il prossimo 8 giugno al Base per poi popolare gli spazi pubblici dei due quartieri, dai tetti alle piazze e i cortili. “Proviamo a costruire nuovi spazi di immaginazione – concludono Serlenga e Brahim – anche per ricordare che la bellezza e la cultura sono un diritto. Hanno un potere trasformativo”.

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