2 gennaio 2025
"Li usano solo i ragazzini, per di più li rendono violenti o asociali e azzerano la loro creatività. È tutto tempo buttato". Questo è il senso comune. Eppure l’architettura su cui regge il giudizio diffuso sui videogames comincia a mostrare delle crepe. Qualcosa sta cambiando. Un buon colpo glielo ha sicuramente assestato la pubblicazione di Game culture (edito da Il Mulino), l’ultimo saggio di Francesco Toniolo, che si definisce docente, saggista e videogiocatore. Toniolo tiene un corso di Forme e generi del cinema e dell’audiovisivo alla Cattolica e di Game culture alla Naba di Milano. Ha scritto qualche decina di pubblicazioni sul tema e soprattutto gioca da trent’anni.
A un certo punto la sua passione è diventata anche oggetto dei suoi studi: i giochi, i giocatori e tutto ciò che gli gira intorno. "Il videogioco è ancora un’attività malvista da molte persone. Poco importa che quasi metà della popolazione mondiale li usi: nel migliore dei casi rimane un passatempo marginale e nel peggiore qualcosa di dannoso". Toniolo ha scritto Game culture per invitare tutti a scoprire questo mondo oltre i luoghi comuni. "C’è tanta bellezza nei videogiochi e c’è qualcosa per i gusti di ognuno".
"Il videogioco è ancora un’attività malvista da molte persone. Poco importa che quasi metà della popolazione mondiale li usi: nel migliore dei casi rimane un passatempo marginale e nel peggiore qualcosa di dannoso"Francesco Toniolo - Autore di "Game culture"
Parliamo di un mercato da 188 miliardi di dollari nel 2023 con una crescita del 2,6 per cento rispetto al 2022, nonostante l’ondata di licenziamenti verificatasi dopo il picco produttivo della pandemia. Da alcuni anni l’industria del gamingvale più di quella cinematografica e musicale messe insieme. L’Italia è il nono mercato al mondo in termini di entrate (2022) con 14 milioni di persone che giocano e un’età media di 30 anni. Metà del fatturato globale proviene dal settore mobile, ossia da smartphone e tablet. E qui si trova la prima radice sulla persistenza dei pregiudizi verso i videogames. L’altra metà deriva dal settore console e computer. Ma mentre coloro che giocano con questi device sono consapevoli di usare un videogame, quelli che lo fanno dal telefonino lo sono meno e in buona parte non ritengono di giocare. Per telefoni e tablet il modello di gioco più diffuso è il free to play che prevede il download gratuito con pubblicità tra un livello e l’altro o un negozio virtuale dove, collegando la carta di credito, è possibile fare acquisti per continuare a giocare.
Nondimeno, anche se oggi giocano più di 3,1 miliardi di persone (oltre un terzo della popolazione mondiale) ancora esistono molti preconcetti. "La questione – spiega Toniolo a lavialibera – rientra in quelle situazioni definitorie in cui la categoria concettuale che una persona ha in testa non corrisponde alla realtà, almeno a livello di mercato. Dalle statistiche scopriamo che molti giocatori sono adulti, persino anziani, ma una parte di questi non concepisce quelli al telefono come videogiochi. Era successo anche nel mondo delle console con la Nintendo Wii, che si diffuse moltissimo tra coloro che non compravano videogiochi, ma usavano il Wii fit, che in fin dei conti era un programma di esercizi di yoga e fitness, che mischiando la vocazione sportiva a quella ludica finiva per essere percepito come qualcosa di diverso. Lo strumento con cui si gioca conta ancora tantissimo nel giudizio".
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"I videogiocatori della mia generazione sono diventati padri e madri e questo ha inciso sull’immaginario del settore"
Dopo quasi tre generazioni anche gli utenti sono cambiati. "I videogiocatori della mia generazione sono diventati padri e madri e questo ha inciso sull’immaginario del settore. Anche i personaggi dei videogiochi si stanno evolvendo. Vediamo, tra gli eroi, molte più figure paterne. Questo perché quelle persone, soprattutto maschi, che iniziavano a giocare alla fine degli anni Settanta e all'inizio degli anni Ottanta, continuano ad aver bisogno di identificarsi e di giocare".
Altro cambiamento è quello di genere. Oggi le donne che giocano sono diventate la metà del totale. Questo ha un suo peso nella produzione dei giochi stessi. "Da questo si può ragionare su come sono cambiati i videogiochi dalla prospettiva di chi li crea".
Anche il glossario dei videogiochi ha invaso il lessico: in questo caso più che di neologismi potremmo parlare di gameismi. È la rivincita dei nerd. Una rivincita trasversale. "Se guardiamo la contemporaneità, i nerd hanno vinto su tutta la linea, anche uscendo dall'ambito dei videogiochi. Prima esisteva lo stereotipo del ragazzino poco socievole, chiuso nella sua cameretta, solo o al massimo con un altro paio di amici, nerd come lui. Oggi invece la cultura del videogioco è esplosa. Tutti sono nerd. Per capirlo basta pensare a quanta gente gioca, o a quanti affollano le fiere come Lucca Comics&Games – e ce ne sono tantissime altre sul territorio nazionale –. Al numero enorme di giovani che cantano le sigle di Dragon Ball e dei Pokemon o ai tantissimi interessati a provare nuovi giochi da tavolo, a leggere manga e vedere gli anime. Il lessico di questa cultura è stato un elemento fortissimo di diffusione e il videogioco ha fatto la sua parte, finendo per entrare definitivamente nel mainstream".
Molti pensano che il videogioco partecipi a isolare un ragazzo mentre spesso rimane l'unica finestra aperta sul mondo esterno. Non dovrebbe essere visto come il lucchetto ma come la chiave che permette di aprire uno spiraglio perché, almeno attraverso il gioco online, si mantengono dei contatti che potranno tornare utili"
"Lo stereotipo più classico – ci racconta Toniolo - dice che i videogiochi spingono le persone a diventare violente. Ebbene, questa credenza non è mai stata dimostrata, nonostante molti studi abbiano provato a cercare le prove più e più volte". Altri dicono che i videogiochi azzerano la creatività delle persone. "È chiaro che, come in qualunque settore, l'abuso è sbagliato. Basterebbe però guardare alcune creazioni dei bambini all’interno di videogiochi come Minecraft o Roblox per cambiare idea". Bisogna tenere presente che non esistono solo sparatutto, picchiaduro o horror.
Ci sono giochi di strategia, giochi come romanzi di formazione, giochi che insegnano il pacifismo (leggi l'articolo su Undertale). Giochi per tutti i gusti. Anche quelli che stravolgono lo stereotipo di attività inutile o diseducativa. Come gli applied games o serious games, che dichiarano da subito il loro intento educativo o formativo. "Un esempio: devo addestrare un operaio o un medico a usare un certo macchinario che è complesso, quindi realizzo una simulazione ludica in cui ha modo di sperimentarlo. Un ambiente protetto". Non solo, al di là dei serious games, "posso dire che esistono giochi in cui si impara senza accorgersene. Da bambino giocavo a Age of Empires II, un gioco di strategia. Mi divertiva guidare gli eserciti, fare battaglie. Bene, alcune delle nozioni del gioco mi sono tornate utili all’università durante l’esame di Storia medievale". Certo, non tutti i videogiochi possono adempiere alla funzione educativa e molti di quelli che ci provano corrono il rischio di diventare esperienze molto noiose. "Eppure ci sono professori che mi contattano per un consiglio su quale titolo proporre ai propri studenti per studiare, giocando, un pezzo del loro programma".
I videogames possono salvare la vita. Alcuni medici usano i videogiochi anche in maniera terapeutica, per migliorare la salute mentale e fisica. Nel libro Toniolo racconta il caso di Jake Donnelly, giornalista scozzese, che in un periodo difficile della sua vita aveva pensato al suicidio. Le storie dei videogiochi a cui dedicava ancora energie, emozioni e speranze, lo hanno tenuto vivo. Qualche anno dopo Donnelly ha raccontato la sua esperienza e i titoli che lo hanno aiutato nel libro Checkpoint: How videogames power up minds, kick ass, and save lives. La storia ha stupito tutti, compresi gli esperti, dando notorietà a giochi che trattano, in maniera coinvolgente, temi delicati come la salute mentale, facendo sentire i giocatori meno soli. Questo vale anche per il ritiro sociale. "Per i giovani hikikomori – dice Toniolo – occorre ribaltare la prospettiva. Molti pensano che il videogioco partecipi a isolare un ragazzo mentre spesso rimane l'unica finestra aperta sul mondo esterno. Non dovrebbe essere visto come il lucchetto ma come la chiave che permette di aprire uno spiraglio perché, almeno attraverso il gioco online, si mantengono dei contatti che potranno tornare utili. Vale la pena, a maggior ragione in questo caso, di evitare il pregiudizio".
Giovani hikikomori a confronto: l'adolescenza è l'età dello specchio
E l’intelligenza artificiale? Che partita gioca in questo universo? "L’IA, oggi chiacchieratissima, si è allenata ed è cresciuta nell’universo dei videogiochi. Chi li produce, come chi li gioca, sa che molti personaggi o sistemi di gioco sono creati apposta per rispondere in maniera intelligente al giocatore e alle sue mosse. Se a livello globale rimangono tanti dubbi su quello che accadrà, nel settore videoludico possiamo dire già ora quali sono vantaggi e svantaggi. Alcune professioni appaiono a rischio, ma quando l’IA è stata impiegata nello sviluppo dei videogiochi si è scoperto che snellisce alcune fasi come quella dei disegni preparatori o dell’adattamento linguistico. Probabilmente ha e avrà sempre bisogno di un supervisore umano perché tende a semplificare e a volte fa errori. D’altro canto, consente di risparmiare. Penso che molte visioni apocalittiche siano perlomeno precoci. La capacità creativa, ad esempio, è un limite invalicabile per l’intelligenza artificiale. Dove serve qualcosa in più, una capacità discrezionale maggiore o una componente artistica, per il momento sembra che il fattore umano sia e resti imprescindibile. Insomma, evitiamo di creare un nuovo stereotipo".
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