Donne si recano alle autobotti nel campo sfollati di Washokani, Al-Hasakah
Donne si recano alle autobotti nel campo sfollati di Washokani, Al-Hasakah

In Siria l'acqua diventa un'arma: bombe turche contro la diga Tishreen

Da inizio anno l'esercito turco ha intensificato i bombardamenti nella Siria del nord est per colpire le forze curde, ma il vero obiettivo sono le infrastrutture essenziali che garantiscono la sopravvivenza degli abitanti, come la diga Tishreen nel Rojava

Alessia Manzi

Alessia ManziGiornalista freelance

7 marzo 2025

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Dall’8 gennaio scorso le popolazioni che vivono nella Siria del nord est – tra cui curdi, arabi e armeni – si sono unite al presidio organizzato dalla resistenza dei villaggi del Rojava sulla diga Tishreen, al confine tra Siria e Turchia, meno di un centinaio di chilometri da Aleppo. In quest’area la Turchia ha intensificato i bombardamenti per colpire le forze curde, ma a farne le spese sono gli abitanti e le infrastrutture strategiche come la diga, il cui corretto funzionamento garantisce la sopravvivenza della popolazione.

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“A inizio dicembre, mentre in Siria le milizie Hayat Tahrir Al-Sham (Hts) di Al Jolani stavano rovesciando il regime di Assad, siamo stati attaccati dalle bande jihadiste dell’Esercito nazionale siriano supportate dalla Turchia”, racconta Beritan, una giovane donna di Amuda, città del Rojava situata nella regione curda della Siria, dove nel 2012 le truppe del regime dell’allora presidente siriano Bashar Al-Assad sono state cacciate via dalla resistenza dei villaggi. L’operazione militare filo turca si è appropriata di Tal Rifaat e Shehba e ancora una volta ha costretto oltre 100mila sfollati interni da Afrin a fuggire via.

“L’Esercito nazionale siriano ha invaso anche il distretto a prevalenza araba di Manbij – continua Beritan – per poi essere fermato dalle Syrian democratic forces (Sdf) sul fiume Eufrate, dove sono proseguiti i combattimenti. Le Sdf hanno quindi liberato i villaggi vicini al ponte Qara Qozak e alla diga di Tishereen, che rappresentano i punti di accesso principali al fiume. Se il fronte dovesse cadere, la Turchia e le sue milizie potrebbero avanzare nei territori dell’Amministrazione autonoma democratica della Siria del nord e dell’est (Daanes).

Conflitto militare ed ecologico

“Tishreen è fuori uso per problemi tecnici e deve essere svuotata manualmente – spiega Ziwer Shekho, dell’associazione Green Braid per l’ecologia in Rojava – e i bombardamenti turchi rendono difficile il lavoro delle squadre operaie. Se la diga dovesse crollare, le città di Raqqa, Tabqa, Deir Ez-Azzor e i villaggi intorno finirebbero sott’acqua e sparirebbe l’economia agricola. Non bastano le preoccupazioni sollevate da organi internazionali a tutela dell’ambiente e a difesa dei diritti umani. Serve pressare la Turchia affinché ponga fine agli attacchi sulla diga e sulla Siria del nord est. È questione di vita o di morte”.

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“I raid turchi hanno colpito l’intero sistema idrico – continua l’attivista – e in questo momento città come Hasakah e Tal Tamr ricevono una quantità minima di acqua perché dipendono dalla stazione di Alouk, controllata da otto anni dalle autorità turche, che a volte chiudono le pompe idriche. Inoltre, uno dei principali generatori elettrici è stato messo fuori uso da un attacco e questo aggrava la situazione”, “In questi mesi a Kobane e ad Ain Issa – prosegue Shekho – il sistema idrico è stato colpito tre volte. Il conflitto ecologico si somma a quello militare e sta provocando gravi ripercussioni sulla salute pubblica. Ad Hasakah, buona parte della popolazione si è ammalata perché l’acqua nelle autobotti non è trattata e l’arrivo dell’estate esaspera questa terribile condizione”.

“I raid turchi hanno colpito l’intero sistema idrico e città come Hasakah e Tal Tamr ricevono una quantità minima di acqua perché dipendono dalla stazione di Alouk, controllata dalle autorità turche", dice un attivista

“La civiltà della Mesopotamia – conclude l’attivista – si è fondata sui fiumi Tigri ed Eufrate, che ora sono in pessime condizioni. Lo Stato turco viola i diritti dei popoli che vivono lungo queste sponde e l’acqua è diventata un’arma di guerra. In questo modo si opprime la società per ragioni militari, demografiche e politiche. Ciò ha condotto a migrazioni interne ed esterne. Gli effetti negativi si mostrano pure sulla filiera alimentare e agricola di tutta la Siria del nord est, a cui si sommano i cambiamenti climatici”.

Secondo l’ultimo rapporto di Wash (Working group north east Syria), nel governatorato di Hasakah vivono senza acqua almeno 610mila persone, mentre a Kobane non hanno accesso alla risorsa 237.445 persone e fra loro, come in tutto il territorio della Daanes, ci sono gli sfollati che vivono in campi e rifugi. In poche settimane i droni turchi hanno provocato 24 vittime e 200 feriti soltanto fra i civili.

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“Cantavamo insieme felici, poi abbiamo iniziato a ballare in cerchio e lo Stato turco ci ha aggrediti per due volte. Sono stata ferita al petto, allo stomaco e a una gamba. La Turchia ha mirato alle ambulanze, i feriti sono stati trasferiti negli ospedali vicini a bordo delle auto”, racconta Lea Burse, attivista tedesca per l’ambiente, che dopo l’attacco è stata ricoverata in una clinica poco distante dalla città di Qamishlo

”L’attenzione mediatica non è abbastanza alta – continua – la diga simboleggia vita e speranza, bisogna smetterla di inviare soldi e armi alla Turchia”. “Abbiamo anche paura di salire sulle ambulanze – spiega Abdi Mahmoud al-Ali, un operatore sanitario di Kobane – perché negli ultimi tre mesi ne hanno già colpite quattro. Mirano ai civili senza alcun freno, gli attacchi aerei stanno destabilizzando la sicurezza e la pace che cerchiamo di costruire un po’ alla volta. Nonostante tutto non andremo via e continueremo a resistere. Non siamo aggressivi con nessuno, eppure la Turchia ci chiama terroristi”.

L’appello di Öcalan

Lo scorso 27 febbraio, dall’isola-carcere turca di Imrali, il politico curdo Abdullah Öcalan, fondatore del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) ha lanciato un appello per “la pace e la società democratica”, che prevede il disarmo e lo scioglimento del Pkk, inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche da Turchia, Usa ed Ue per via della lotta armata avviata negli anni Ottanta contro l’oppressione del popolo curdo da parte dello Stato turco.

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“La deposizione delle armi e la fine del Pkk richiedono condizioni democratiche nella pratica”, ha spiegato Öcalan in una nota aggiuntiva. Il Partito democratico dei popoli in delegazione ad Imrali e altre figure di spicco hanno chiesto alla Turchia “un cessate il fuoco, la creazione di un comitato parlamentare per la pace e democratizzazione della Repubblica turca e il riconoscimento dei diritti del popolo curdo”. E poi hanno aggiunto che “per seguire questo processo, Öcalan dovrà uscire dall’isolamento”.

Murat Karayilan, membro del Comitato esecutivo del Pkk, ha spiegato che “questo passaggio necessita della presenza del loro leader. Un cessate il fuoco deve essere bilaterale, altrimenti non ci può essere un disarmo”. La repressione al dissenso in Turchia e la rimozione dei sindaci nelle città curde non sono sicuramente di buon auspicio. Un cessate il fuoco fra Turchia e Pkk cambierebbe lo scenario politico in Siria, Iraq e tutto il Medio Oriente.

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“Accogliamo con favore l’annuncio di Öcalan, che apre un percorso politico democratico” ha affermato in una nota Mazloum Abdi, co-comandante in capo delle Sdf. “Il disarmo non riguarda noi. Se c’è pace in Turchia, allora non c’è più motivo di attaccarci”, ha aggiunto Abdi. Una delle motivazioni usate dal governo turco guidato da Recep Tayyip Erdoğan per aggredire la Siria del nord est, riguarda l’accusa lanciata alle Unità di protezione femminile (Ypj) e alle Unità di protezione popolare (Ypg) di essere una propaggine del Pkk in Siria, nonostante a più riprese sia stato ribadito che si tratta di entità separate. Intanto,  mentre l’Amministrazione cerca un dialogo con Damasco, i raid turchi attorno alla diga di Tishreen non si fermano e continuano a causare ancora danni alle centrali elettriche.

Tra Isis e Turchia

“Non si può comprendere la resistenza di donne, uomini e bambini se non si conosce la storia della Siria del nord est degli ultimi anni – racconta Beritan –. Qui nessuno dimentica l’occupazione di Afrin, Serekaniye e Gire Spi da parte delle milizie filo turche. A dieci anni dalla vittoria di Kobane sull’Isis ognuno sa che la libertà va difesa”. Il riferimento è all’assedio di Kobane, l’operazione militare avviata nel 2014 dall’Isis per conquistare la città siriana ubicata nella regione autonoma del Rojava, nel nord est della Siria, mai riconosciuta dal governo siriano. L'unico riconoscimento ufficiale, a eccezione di gemellaggi locali (anche con l'Italia e altri paesi), è quello del parlamento catalano.

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In quell’occasione i curdi e i loro alleati – fra cui le Unità di protezione popolare (Ypg) e dalle Unità di protezione femminile (Ypj) – riuscirono a respingere l’offensiva e nel 2015 Kobane divenne la città simbolo della resistenza, Le Ypj e le Ypg si riunirono nelle Syrian democratic forces (Sdf) – formate da gruppi armati di altre etnie supportate dalla coalizione internazionale per contrastare l’Isis – e sulle basi piantate dal Confederalismo democratico germogliò l’Amministrazione autonoma democratica della Siria del nord e dell’est (Daanes).

Il progetto democratico sbocciato in Rojava include territori arabi e popolazioni diverse che si trovano ad affrontare la stessa minaccia: quella dello Stato turco. Recep Tayyip Erdoğan, leader del partito nazionalista Giustizia e sviluppo (Akp), in carica come presidente dello Stato turco dal 2014, si è inserito nel conflitto siriano dichiarando di voler combattere lo Stato islamico, portando avanti un conflitto che in realtà era volto all’annientamento delle Ypg e delle Ypj.

La Turchia da tempo lavora alla creazione di  una “zona cuscinetto” per dividere i curdi del Bakur (regione curda nella Turchia meridionale, sul confine siriano) e ricomporre gli antichi confini dell’impero ottomano, che si estendeva dalla città irachena di Mosul fino a Cipro, per metà già occupata dalla Turchia. Questi intenti vengono perseguiti con il supporto di milizie mercenarie jihadiste riunite nell’Esercito nazionale siriano (Sna), che ha lanciato diverse operazioni militari contro il Rojava.

La Turchia da tempo lavora alla creazione di una “zona cuscinetto” per dividere i curdi del Bakur e ricomporre gli antichi confini dell’impero ottomano

I raid filo turchi non si sono mai fermati e nel 2019 l’offensiva “Primavera di pace”, che ha visto anche l’utilizzo di armi chimiche sui civili, ha portato all’invasione di Serekaniye e Gire Spi, un’altra striscia di territorio sul confine turco-siriano. Durante gli attacchi, i droni filo turchi hanno distrutto silos, scuole, strutture mediche, fabbriche, centrali dell’acqua e dell’elettricità, causando decine di vittime e feriti tra i civili.

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