2 gennaio 2025
Arezo: Sono afghana. Ho 20 anni. Sono in Italia da tre anni e vivo a Camini da più di due anni. Sono all’ultimo anno di Scienze umane, vorrei studiare medicina e intanto faccio la mediatrice culturale nei progetti di accoglienza. Dopo il ritorno al potere dei talebani nel 2021, io e la mia famiglia (siamo nove, i miei genitori, le mie quattro sorelle e due fratelli) siamo fuggiti grazie a un corridoio umanitario.
Douaa: Sono siriana. Ho 24 anni. Sono arrivata a Camini nel 2016 con la mia famiglia, mamma, papà e cinque fratelli. Studio psicologia e lavoro come mediatrice culturale. Quando parlo di Siria, la maggior parte delle persone non sa che c’è una guerra. Ora se ne parla di nuovo, ma in realtà non è mai finita.
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Arezo: Molti non sanno cosa è successo il 15 agosto 2021 in Afghanistan. Quel giorno i talebani hanno preso di nuovo il potere e il nostro governo – e mi dispiace anche dirlo – è scappato lasciando le donne nelle mani degli estremisti, che sono delle persone violente. Ora le donne vivono in una situazione terribile perché non hanno più i diritti che avevano prima, non possono più studiare o lavorare. Le minorenni sono costrette a sposare uomini molto più anziani di loro.
"So cosa significa dormire e non sapere se domani ti alzerai o meno. Poi siamo stati chiamati dall'Unhcr: c'era la possibilità di venire in Italia con un corridoio umanitario"
Douaa: Fino al 2011 io e la mia famiglia facevamo una vita tranquilla a Damasco. Poi è iniziata la guerra e siamo scappati da un posto all’altro con la speranza di non lasciare la Siria. So cosa significa dormire e non sapere se domani ti alzerai o meno. Mio padre è stato ferito. Da lì, tutta la mia vita è cambiata. Dovevamo lasciare la Siria per trovare un modo di curarlo, così siamo andati in Libano. Pensavamo fosse un posto sicuro, ma non lo era. Abbiamo vissuto in sette in una camera per tre anni. Tre anni di sofferenza. Non potevo studiare, dovevo fare piccoli lavori per mantenere la mia famiglia. Pensavo: "Quando arriva il momento del gioco? Quando non mi prenderò queste responsabilità?". Poi siamo stati chiamati dall’Unhcr: c’era la possibilità di venire in Italia con un corridoio umanitario.
Arezo: Prima di Camini abbiamo vissuto in Sardegna un anno. Non parlavo italiano, non sapevo nulla della vostra cultura e non c’era nessuno che potesse guidarmi. Ho imparato da sola. Siamo rimasti quasi un anno in un albergo e non sono andata a scuola: non sapevamo fosse obbligatorio. Come figlia maggiore non riuscivo a sopportare la disperazione dei miei genitori, e così ho iniziato a studiare l’italiano. Quando sentivo la gente parlare, mi dicevo: "Mamma mia, che lingua! Non la imparerò mai". Alla fine ce l’ho fatta.
Douaa: Siamo arrivati a Camini nel 2016. Allora i progetti di accoglienza stavano iniziando. Ero la prima ragazza con il velo, la prima che parla arabo. C’era soltanto un mediatore di lingua curda che ci aiutava un po’. Sono venuta qui con la speranza di continuare a studiare, ma i miei studi non erano riconosciuti e ho dovuto ricominciare dalla seconda media. Ora studio psicologia. Dal 2020 lavoro come mediatrice culturale. Ho cominciato da sola, poi nel 2022 ho fatto un corso di mediazione per aiutare le persone in difficoltà, come ero io appena arrivata. Ora, in qualsiasi momento, in qualsiasi posto, se c’è bisogno, intervengo, come quel giorno a Roccella Jonica.
"Dopo il naufragio di Roccella Ionica, siamo intervenute come mediatrici culturali. È stato straziante dire alle madri che i loro figli erano morti"
Arezo: Il 17 giugno durante un naufragio a Roccella sono morte 56 persone e non se ne è parlato molto. Douaa e io siamo intervenute come mediatrici per aiutare i familiari delle vittime a riconoscere i loro parenti. Abbiamo visto la loro sofferenza, sentito l’urlo delle mamme che dicevano: "Per favore, dimmi che mio figlio è vivo". Noi sapevamo che non c’era più ed era straziante dare questa notizia a una madre, dirle: "Mi dispiace, tuo figlio non c’è più". È stata la prima volta che lavoravo in queste condizioni. Non mi sentivo preparata, ma ho già sentito le storie di chiè arrivato via mare e sono forte, vengo da un paese che è stato in guerra.
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Douaa: Avevo già lavorato al porto di Roccella all'arrivo delle barche, con Caritas, Croce Rossa e guardia di finanza, però quello del 17 giugno è stato il primo naufragio a cui ho prestato aiuto. È stato terribile dare notizie brutte, ascoltare madri dall’altra parte del mondo e dire loro che il figlio era scomparso. In viaggio sono morte intere famiglie. Dovevo mostrare le foto delle salme in videochiamata per il riconoscimento. Per un mese siamo state male.
Arezo: Le tragedie dovrebbero farci paura e invece sono diventate una cosa comune. Stiamo normalizzando anche le guerre che accadono nel nostro presente, mentre quelle precedenti vengono dimenticate. È molto bello parlare e sensibilizzare le persone, ma allo stesso tempo dobbiamo darci da fare. Sono venuta in Italia per seguire i miei sogni. A volte nella vita ci troviamo davanti agli ostacoli, ma è importante non mollare e andare avanti.
Douaa: Il mio lavoro ha anche aspetti confortanti. Come mediatrice, quando torno a casa dopo una giornata faticosa, sono contenta di aver facilitato la vita di qualcuno.
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