Aggiornato il giorno 23 ottobre 2024
Aggiornamento: La sera del 22 ottobre 2024 il Tribunale di Crotone ha stabilito la scarcerazione di Maysoon Majidi, 28enne attivista iraniana di etnia curda arrestata il 31 dicembre scorso dopo uno sbarco di migranti. Il collegio, presieduto da Edoardo D'Ambrosio, ha accolto l'istanza presentata dall'avvocato Giancarlo Liberati, difensore di Majidi. Dopo aver ascoltato i testimoni della difesa nel corso dell'udienza, i giudici hanno ritenuto che non ci fossero i gravi indizi di colpevolezza. La giovane, che era reclusa al carcere di Reggio Calabria, è stata immediatamente liberata. Resta per ora in piedi l'accusa di aver aiutato lo scafista: la sentenza è prevista a fine novembre.
Prima la fuga dall’Iran degli ayatollah, dalle violenze della “polizia morale” o sofferte tra le mura domestiche. Poi il carcere in Italia, in Calabria, terra di approdo nel 2023. È la storia di due giovani donne, Maysoon Majidi e Marjan Jamali, accusate del reato di “favoreggiamento dell’immigrazione irregolare” e attualmente sotto processo. Casi "di politica criminale piuttosto che giudiziari", dice il loro avvocato, che hanno riaperto il dibattito intorno alle reali finalità della repressione – per qualcuno, della "criminalizzazione" – dei così detti “scafisti”. Un dibattito generato dall’applicazione dell’articolo 12 del Testo unico sull’immigrazione (D.lgs 286/1998), brandito per stanare i trafficanti di esseri umani "lungo tutto il globo terracqueo", come disse la premier Giorgia Meloni dopo il tragico naufragio di Steccato di Cutro del 26 febbraio 2023, ma che "spesso finisce per colpire persone che con il traffico di esseri umani non hanno nulla a che fare", dichiarano dalla onlus A Buon Diritto. "Sono passati due anni dall’uccisione di Jina-Masha Amini. Due anni che organizziamo manifestazioni, ci tagliamo ciocche di capelli e i politici ci chiedono come aiutare le donne iraniane. Poi due di loro arrivano in Italia e vengono trattate come criminali", dice a lavialiberaParisa Nazari, mediatrice culturale e attivista del movimento Donna, vita, libertà, parlando di "ipocrisia" da parte della politica sul tema migratorio.
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Gli attivisti si ostinano ad affermare che le accuse mosse alla giovane curdo-iraniana stridono col suo vissuto di impegno per i diritti umani come membro dell’organizzazione Hana
"Pensavo che tutto fosse andato bene. […] Non c’eravamo ancora allontanati, quando ho sentito un rumore da dietro. Appena ho chiamato gli altri, sono usciti i poliziotti, mi sono spaventata vedendoli, perché pensavo che ci picchiassero e per quello ho subito detto che eravamo rifugiati: 'Aiutateci!'". Nel racconto di Maysoon Majidi, 28 anni, originaria del Kurdistan iraniano, sono questi gli attimi successivi allo sbarco, insieme ad altre 76 persone, avvenuto il 31 dicembre 2023 lungo le coste crotonesi di località Gabella. Allo stesso tempo, sono i momenti che precedono il suo arresto. Il passaggio è estratto da una lettera pubblicata il 5 settembre da il manifesto, scritta dal carcere dove si è stata rinchiusa per circa dieci mesi. Qualche mese prima ne aveva inviata un’altra al presidente Sergio Mattarella, per chiedere clemenza raccontando del suo sogno di "trovare una nuova vita e nuova casa in Europa".
La sua vicenda è arrivata in Senato con un’interrogazione urgente presentata dal gruppo Pd al ministro Carlo Nordio e replicata all’Europarlamento dai neoeletti in quota Avs Ilaria Salis e Mimmo Lucano che mettono in luce, tra le altre, le difformità della normativa italiana rispetto a quella internazionale in materia di smuggling of migrants. Gli attivisti si ostinano ad affermare che le accuse mosse alla giovane curdo-iraniana stridono col suo vissuto di impegno per i diritti umani come membro dell’organizzazione Hana, intervenuta in suo favore ricordandone la partecipazione alle proteste successive all’uccisione, per mano della “polizia morale” iraniana, di Masha Amini, il 16 settembre 2022.
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Il suo esodo sarebbe iniziato già nel 2019, anno del “novembre del sangue”, cruenta repressione ordinata da Ali Khamenei. Da qui la fuga insieme al fratello a Erbil, nel Kurdistan iracheno dove collabora al cortometraggio Thirsty Flight del regista Edris Abdi. Nell’estate del 2023, la Turchia diventa il crocevia per raggiungere la comunità curda in Germania, ma prima di imbarcarsi trascorreranno altri cinque mesi tra minacce, spostamenti di fortuna e truffe – per il viaggio, insieme al fratello, racconta di aver sborsato circa 50mila euro – prima dell’imbarco alla fine di dicembre. "Le persone di etnia curda sono spesso vittime di discriminazione in Iran", spiega sempre Nazari, che nei giorni scorsi ha fatto visita alla giovane nel carcere di Reggio Calabria, dov’è stata spostata dopo il periodo trascorso nel penitenziario di Castrovillari. "È arrivata a pesare circa 38 chili" e la sua "condizione di gravissima depressione e debilitazione", denunciata da Amnesty International, desta preoccupazione.
Il racconto della traversata dalla Turchia alla Calabria è doloroso e convulso. Corpi ammassati e "una situazione terribile" per cui "si vomitava spesso". Poi l’arrivo delle mestruazioni, la reazione ai "maltrattamenti" di un’altra donna. Il tentativo di dialogo col capitano nelle ore che precedono l’arrivo in Calabria. Qualcuno pronuncia i nomi delle prime "cinque persone che dovevano scendere". "Siamo stati nominati io e mio fratello". Arrivati a riva scappano, come gli sarebbe stato suggerito, per evitare l’identificazione in Italia e proseguire fino alla Germania, ma saranno tra i primi a essere fermati dalla polizia. A svolgere gli interrogatori sono i militari della Guardia di Finanza (sezione operativa navale) di Crotone. Sentiranno, però, soltanto due tra le oltre settanta persone a bordo. La circostanza, come riporta il Crotonese, spiegherà in udienza il tenente Gaetano Barbera interpellato sul punto dal presidente del collegio giudicante Edoardo D’Ambrosio, era dovuta all’impiego – e contestuali difficoltà di organico – di gran parte delle forze dell’ordine al “Capodanno Rai” programmato quella sera a Crotone.
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I due testimoni, Ali e Hassan, rispettivamente originari di Iraq ed Iran – le cui dichiarazioni vengono però tradotte da un interprete afgano – avrebbero indicato come capitano dell’imbarcazione il turco Akturk Ufuk mentre Maysoon Majidi viene indicata come "la donna" incaricata di mantenere "la calma a bordo", che "ci dava da bere e stava sempre sopra (coperta, nda)", ovvero colei che "aiutava il capitano durante la traversata nella gestione dell’ordine a bordo".
Il turco Akturk Ufuk, indicato come capitano dell'imbarcazione, confessa, spiegando che "il compenso per il [suo] viaggio è stato quello di aver accettato di condurre la barca", ma allo stesso tempo scagiona Majidi
Ufuk confessa, spiegando che "il compenso per il [suo] viaggio è stato quello di aver accettato di condurre la barca", ma allo stesso tempo scagiona Majidi, che dal canto suo respinge le accuse. La procura crotonese, tuttavia, si sofferma su altri particolari come il possesso di soldi – si parla circa 150 euro – e del telefono cellulare, come da prassi restituitole – scrive nella lettera – per contattare la famiglia una volta raggiunte le acque italiane. Il sostituto procuratore Rosaria Multari avanza nell’accusa formulata sulla base dell’articolo 12 del Testo unico sull'immigrazione e richiede il processo con “giudizio immediato” per entrambi.
Nel frattempo, i due testimoni lasciano l’Italia. "La procura ha parlato di non rintracciabilità e quindi di impossibilità di avere riscontro di quelle dichiarazioni, non fonoregistrate, in udienza – dice a lavialibera l’avvocato Giancarlo Liberati –, ma io ho li ho trovati rispettivamente in Germania e in Inghilterra". Uno di loro viene raggiunto a Berlino, nel centro rifugiati sorto nel 2022 vicino all’area dell’ex aeroporto di Tegel. "Dice di non aver mai accusato Maysoon". Posizione che lo stesso avrebbe confermato ai microfoni de Le Iene: "Io non ho mai detto che era complice del capitano. […] La polizia insisteva, ma io negavo". Dall’altro lato, la procura afferma che "solo gli scafisti" possono avere disponibilità di telefoni – nella relazione del consulente tecnico, il telefono di Maysoon sarebbe stato acceso durante l’intera traversata a differenza di quanto dichiarato – e contanti una volta a terra. Ma per la difesa, proprio "i contenuti del telefono di Maysoon, come i messaggi di aiuto alla famiglia e al partito o i pagamenti del viaggio" rappresenterebbero ulteriori "prove in suo favore".
"Piuttosto che aver svolto un ruolo chiave nell’agevolare le condotte del capitano in ordine al reato contestato (ex articolo 12 del Testo unico sull’immigrazione), era invece una mera migrante a bordo dell’imbarcazione"Tribunale di Crotone - Ordinanza del 22 ottobre 2024
Nell’udienza del 1 ottobre 2024, il tribunale si è riservato alcuni giorni per valutare l’ennesima richiesta di modifica della misura cautelare che permetterebbe all’imputata di spostarsi dal carcere ai domiciliari, possibilità che è stata nuovamente negata il 3 ottobre, in una abitazione messa a disposizione dall’associazione crotonese Sabir. La pm si è opposta parlando di rischio di "inquinamento probatorio" dovuto all’esposizione mediatica assunta dal processo come emergerebbe "da articoli e video postati sul caso".Altre richieste di modifica della misura cautelare, tra cui quella avanzata nell’ambito delle dichiarazioni spontanee pronunciate da Majidi nel corso dell’udienza dello scorso 18 settembre, sono state tutte rigettate.
Il 22 ottobre, dopo dieci ore di udienza e una serrata camera di consiglio, il Tribunale di Crotone ha ritenuto esser "venuti meno gli indizi di colpevolezza in ordine al reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare" e ha disposto la revoca della misura cautelare detentiva ordinando "l’immediata liberazione" per Maysoon Majidi dopo circa 10 mesi di carcere, in attesa del giudizio. Il presidente D’Ambrosio ha letto l’ordinanza poco oltre le nove di sera, dopo aver ascoltato le testimonianza di Rajan, fratello di Maysoon, di una famiglia di migranti che insieme a loro aveva fatto il viaggio dalla Turchia fino alle coste calabresi e del capitano Akturk Ufuk. Proprio dal racconto di quest’ultimo sono emersi una serie di elementi utili. Scrivono i giudici: "Pur emergendo che l’imputata, durante la traversata, abbia avuto dei contatti nell’imbarcazione con il capitano tali da profilare una interlocuzione, financo sfociante in un principio di amicizia, e sia poi fuggita a bordo del tender proprio con quest’ultimo, le dichiarazioni rese in udienza, tanto da quest’ultimo, quanto dagli altri testimoni non consentono di ravvisare allo stato i gravi indizi di colpevolezza" in ordine al reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare.
In altre parole, i testimoni hanno ridimensionato il quadro accusatorio, fondato su una serie di elementi in base ai quali Maysoon Majidi aveva agevolato la condotta del capitano aiutandolo "nella gestione dell’ordine a bordo durante la traversata", come in un primo momento era stato riferito da altri due migranti alle forze dell’ordine. Di conseguenza, sempre nelle parole utilizzate dai giudici di Crotone, "piuttosto che aver svolto un ruolo chiave nell’agevolare le condotte del capitano in ordine al reato contestato (ex articolo 12 del Testo Unico sull’Immigrazione), era invece una mera migrante a bordo dell’imbarcazione".
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Sorte diversa, almeno in tal senso, è toccata a Marjan Jamali, 29 anni, anche lei di origine iraniana. Il suo arresto era avvenuto alla fine di ottobre 2023, dopo lo sbarco a Roccella Jonica dov’era arrivata insieme ad altre 102 persone. "Marjan è un’altra vittima", dice sempre Liberati, che ha assunto anche la sua difesa. Per lei, il tribunale del Riesame di Reggio Calabria, lo scorso 27 maggio ha disposto la modifica della misura cautelare che le ha permesso di lasciare il carcere e spostarsi ai domiciliari (con applicazione del braccialetto elettronico) così da potersi ricongiungere col piccolo Faraz, il figlio di appena 8 anni insieme al quale aveva affrontato la traversata. Oggi sono ospitati entrambi dal centro Sai di Camini, grazie alla disponibilità manifestata dalla cooperativa Jungi Mundu, che gestisce i progetti di accoglienza attivi nel borgo a pochi chilometri da Riace.
"La sua è una storia di violenza domestica – racconta la mediatrice culturale Parisa Nazari –. Scappava da un marito violento e da una situazione sociale che non le permetteva di vivere". Ad accusarla di essere una "aiutante del capitano" sono stati altri tre migranti dai quali avrebbe "subìto un tentativo di violenza sessuale per cui avrebbe sporto denuncia", che per questo motivo si sarebbero vendicati coinvolgendo – e denunciando – anche il connazionale Amir Babai, a detta della donna "intervenuto in sua difesa" e oggi coimputato. Le dichiarazioni dei tre uomini sono stare bollate dalla difesa come "contraddittorie". Per i giudici, invece, sarebbe calata in questi mesi l’intensità dei presupposti che giustificavano la custodia cautelare in carcere, tra cui il pericolo di fuga che, ribadiva la difesa, "non può sussistere" quantomeno in Iran, date "le conseguenze [cui potrebbe andare] incontro".
"Entrambe hanno indicato i veri responsabili dei traffici fornendo elementi precisi e circostanziati. All’udienza del 18 settembre ho chiesto se sulla base delle dichiarazioni di Maysoon fosse stata avviata un’indagine, ma è stato opposto il segreto istruttorio"Giancarlo Liberati - Avvocato di Majidi e Jamali
Tuttavia, nel provvedimento del Tribunale del Riesame permangono dubbi sulla versione resa da Marjan e non confermata dal coimputato, che si è "limitato a negare gli addebiti" a suo carico. Il processo davanti al tribunale di Locri è iniziato il 18 giugno 2024. Anche in questo caso, i tre testimoni hanno lasciato il territorio italiano e non è stato possibile ascoltare le loro dichiarazioni. "Agli accusatori – commenta Nazari – viene dato un foglio di via e sono liberi di scappare. I loro verbali però possono essere ammessi nel processo. È una situazione ingiusta che si somma a quelle delle tante persone che pur guidando la barca, è dimostrato, non fanno parte delle organizzazioni, ma sono delle vittime" sottoposte alle ulteriori sofferenze del “limbo” carcerario.
In base ai dati raccolti in un’inchiesta pubblicata da Altreconomia, fino al marzo 2023 in Italia erano detenute 1.124 persone per “favoreggiamento dell’immigrazione irregolare”, quasi tutte straniere (1.012). In questi casi "emerge inoltre un’incidenza fortissima dell’utilizzo della custodia cautelare in carcere: la percentuale di persone detenute in attesa di primo giudizio è del 30 per cento" di gran lunga superiore a quella rispetto "alla media che si riscontra per altri detenuti stranieri in attesa di primo giudizio imputati per altri reati (17 per cento)". Emerge poi un altro aspetto rimarcato a lavialibera dall’avvocato difensore: "Entrambe hanno indicato i veri responsabili dei traffici fornendo elementi precisi e circostanziati". Majidi, in particolare, avrebbe riportato su un taccuino nome e numero di telefono di un presunto trafficante che si troverebbe ora sul territorio inglese. "All’udienza del 18 settembre – aggiunge il legale – ho chiesto se sulla base delle dichiarazioni di Maysoon fosse stata avviata un’indagine, ma è stato opposto il segreto istruttorio".
Qui riemerge l’interrogativo principale: perseguire gli “scafisti” – o figure affini – è utile alla prevenzione o al contrasto del traffico internazionale di esseri umani?. "La domanda sul perché le persone guidano le barche ci distrae dalla vera domanda: perché sono criminalizzate?" Evidenzia Richard Brodie di Arci Porco Rosso, tra i curatori del report Dal mare al carcere che si interroga sulla "criminalizzazione dei così detti scafisti".
Sulla base dei dati messi a disposizione dal ministero dell’Interno risulta che nel periodo tra il 2015 e il 2018 sono stati arrestati circa 1.300 presunti “scafisti”. Nello stesso arco temporale si è assistito a una riduzione sensibile del numero degli sbarchi, complice anche la stipula del memorandum Italia-Libia. Non è chiaro, però, se le due tendenze siano strettamente connesse.
Uno spunto lo forniscono proprio le autorità inquirenti nella relazione sulle attività svolte dalla Direzione nazionale antimafia pubblicata nel 2019. Qui vengono ammessi i "risultati non pienamente soddisfacenti della strategia di contrasto" al traffico di esseri umani "messa in campo negli ultimi anni". Motivo per il quale si richiede "un forte impegno politico e sociale, prima ancora che giudiziario" e ci si interroga "sulle modalità attraverso le quali rendere l’azione dello Stato più efficace e soprattutto più funzionale alle esigenze di protezione e di assistenza delle vittime", che con l’attuale sistema rischiano spesso di essere perseguite – ingiustamente – come presunti attori dei traffici.
L’attuale governo non ha raccolto l’invito rimarcando la linea repressiva da ultimo col decreto “Cutro”, che "oltre a togliere forme di protezione offerte dall’Italia ai cittadini stranieri e a disporre un potenziamento dei Cpr – denuncia l’associazione Antigone nel report Capitani dietro le sbarre – ha anche inasprito le pene previste per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare e introdotto una nuova fattispecie incriminatrice (articolo 12-bis Tui) che dispone una detenzione da venti a trent’anni nel caso in cui siano morte delle persone durante l’attraversamento della frontiera". E nonostante ciò, l’emorragia di traffici e naufragi continua a tingere le acque del Mediterraneo.
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