Strage di Cutro, le colpe nascoste

Il 26 febbraio di un anno fa il naufragio al largo di Cutro che costò la vita ad almeno 94 persone. Mentre la procura indaga le autorità per il mancato soccorso e viene condannato uno scafista, il giurista Luigi Ferrajoli denuncia: "Sono le nostre leggi e il clima politico e culturale da esse generato le vere responsabili delle catastrofi in mare"

Francesco Donnici

Francesco DonniciGiornalista

26 febbraio 2024

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Una croce in legno fatta con i resti di una “carretta del mare”. Novantaquattro candele accese sulla spiaggia, a rappresentare altrettante vite spezzate. Pene più severe. Responsabilità più sfuggenti. Uno sforzo di memoria. Ancora morti in mare. È quanto rimane a un anno di distanza dalla tragica notte di Steccato di Cutro dove, tra il 25 e il 26 febbraio 2023, persero la vita almeno 94 persone, di cui 35 minori.

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Una strage evitabile, le cui dinamiche sono al vaglio della procura di Crotone. Da un lato ci sono i presunti “scafisti” – come vengono definite negli atti giudiziari le persone che, volontariamente o meno, si trovano alla guida delle imbarcazioni – e, dall’altro, le autorità nazionali ed europee, per stabilire le colpe del mancato soccorso che avrebbe potuto salvare molte più vite di quelle degli 81 sopravvissuti. "Due procedimenti comunicanti. Se gli scafisti hanno potuto completare il loro drammatico viaggio, questo si deve anche agli sbagli e alle omissioni delle autorità italiane", dice a lavialibera Francesco Verri, l’avvocato che rappresenta in giudizio i familiari delle vittime.

Leggi qui l'intervista integrale all'avvocato Francesco Verri

La terza via starebbe invece portando la Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Catanzaro a indagare l’esistenza di un possibile traffico internazionale di migranti, che potrebbe aprire scenari ulteriori. Resta poi, negli occhi, la lunga fila di bare bianche al Palamilone di Crotone e le formule attribuite a chi non ha ancora un nome. Come quel KR46M0, "bambino al di sotto di un anno", mostrato sul palco di Milano, lo scorso 21 marzo, dal presidente di Libera don Luigi Ciotti, in occasione della Giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie.

Resta negli occhi la lunga fila di bare bianche al Palamilone di Crotone e le formule attribuite a chi non ha ancora un nome. Come quel KR46M0, "bambino al di sotto di un anno", mostrato il 21 marzo a Milano da don Ciotti

Uno è Alì, nato da sette mesi, arrivato a riva senza vita. A lui è intitolato il giardino voluto dal Comune di Crotone, dove sono state piantate 94 tamerici, piante sempreverdi per tenere viva una storia a cui si legano le richieste di verità e giustizia di decine di familiari. "Il loro è un dolore molto composto, come se mettessero in conto di morire pur di sfuggire alle sopraffazioni e ai trattamenti inumani cui vengono sottoposti nei loro paesi", dice ancora l’avvocato Verri. "Su quella barca c’erano molte donne provenienti dall’Afghanistan, dove il solo fatto di esistere, per loro, è un atto eroico. Mettono in conto di morire, ma il punto è che noi non possiamo permetterlo".

Le ultime ore della Summer Love

"Siamo arrivati. Dio ci ha graziato, ci ha voluto bene". Questo messaggio è stato inviato poco prima del naufragio da uno passeggeri della Summer Love, il caicco partito dalle coste turche nei pressi di Smirne il 21 febbraio 2023. Tra il 25 e il 26 febbraio, la mezzanotte è scoccata da pochi minuti e dopo giorni di navigazione comincia a intravedersi la costa calabrese. Circa due ore prima, alle 22.26, l’imbarcazione era stata avvistata 40 miglia a largo della costa dall’Eagle 1, uno dei velivoli che Frontex – l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera – utilizza per pattugliare i mari.

Dalla relazione dell’Agenzia europea della Guardia di frontiera e costiera emergono una serie di dati da cui si arriva a presumere la presenza di migranti a bordo. Possibilità avvalorata da una telefonata partita dall’imbarcazione verso la Turchia proprio in quegli istanti. Secondo quanto riferito nell’immediatezza del fatto e, in seguito, nella relazione alle Camere dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, da Frontex non sarebbero arrivate segnalazioni di pericolo o, per dirla coi tecnici, di distress, che avrebbero autorizzato un’operazione di search and rescue (Sar, ricerca e soccorso) anziché un’operazione di polizia (law enforcement), coordinata dalla Guardia di finanza.

Strage di Cutro: tutte le falle nei soccorsi

"Celebrandosi gli incidenti probatori nei processi contro i presunti scafisti, abbiamo appurato che Frontex, dopo aver avvistato la barca, ha inviato un dispaccio alle autorità italiane, che è stato decodificato correttamente", aggiunge oggi l’avvocato Verri. "La Guardia di finanza – insiste il legale – ha scritto a penna sul suo giornale “avvistata barca con migranti”. Frontex parla di un’imbarcazione con certe caratteristiche e le autorità recepiscono correttamente quelle informazioni".

Il buco e la secca

Il fulcro del racconto sta nel suo pezzo mancante, ovvero nel lasso di tempo tra le ore 23.37 del 25 febbraio e le 3.48 del giorno successivo. È il periodo trascorso tra due segnalazioni giunte alla Guardia costiera italiana. Lo si evince da un passaggio telefonico registrato dal server della capitaneria di porto di Reggio Calabria. "Al momento noi in mare non abbiamo nulla e non mandiamo nessuno. Siamo fermi alle informazioni delle 23.37. Non abbiamo ricevuto richieste di soccorso, c’è solo l’avvistamento dell’elicottero Eagle 1, non c’è certezza che su quella barca ci siano migranti, e nell’ultima posizione nota l’imbarcazione navigava regolarmente".

Strage di Cutro: sale il numero delle vittime

La chiamata era partita da un operatore di sala della Guardia di finanza di Vibo Valentia, che segnalava il rientro alla base di due mezzi inviati per il controllo. Circa un’ora prima (tra le 2.20 e le 2.30) infatti, rispettivamente dalle unità di Taranto e di Crotone, sarebbero partiti il pattugliatore Barbarisi e uno scafo veloce V.5006, salvo doversi ritirare tra le 3.25 e le 3.40 perché le condizioni del mare, "forza 4 in peggioramento, con vento forza 5", non erano adatte a quel tipo di mezzi. Da lì, a detta dei militari, sarebbe stato attivato il "meccanismo di ricerca lungo le direttrici di sbarco".

Sono gli attimi che precedono la tragedia, scanditi da segmenti di azione e inazione separati da un buco di oltre quattro ore. Il primo intervento a terra, a detta di Piantedosi, avverrà alle 4.19. Affermazione che non coincide con quanto raccontato dai testimoni. Ore 4. Mentre alcuni pescatori illuminano il caicco turco dalla riva, i capitani a bordo "pensando che i mezzi avvistati fossero poliziotti, hanno fermato la navigazione cercando di cambiare rotta e modificare il punto di approdo", raccontano i sopravvissuti. Una manovra azzardata, date le onde alte, che piega l’imbarcazione su un lato fino a farla incagliare in una secca, frantumandosi.

"Ho riferito che c'era una barca in difficoltà a causa del mare mosso dalla quale provenivano grida", racconta durante il processo in corso a Crotone Ivan Paone, uno dei pescatori. "La Guardia costiera mi ha risposto che ne erano al corrente. Però sulla spiaggia, nel momento del naufragio, c'eravamo soltanto noi". Sono le 4.30 passate, nessun soccorso. Poco prima della segnalazione dei pescatori, qualche minuto dopo le 4, un numero turco agganciato su una cella in località “le Castella”, a Isola Capo Rizzuto, aveva chiamato i carabinieri di Crotone.

"Ho riferito che c'era una barca in difficoltà – racconta durante il processo in corso  Ivan Paone, uno dei pescatori – la Guardia costiera mi ha risposto che ne erano al corrente. Però sulla spiaggia, nel momento del naufragio, c'eravamo soltanto noi"

Le segnalazioni si susseguono. Intorno alle 5.13 un’attivista italo-marocchina chiama specificando la posizione del caicco. In quegli stessi attimi, il vicebrigadiere Gianrocco Tievoli e il carabiniere Gioacchino Fazio arrivano sul posto e trovano i primi cadaveri sulla battigia. "Abbiamo iniziato a tirare fuori decine di corpi senza vita", dice Tievoli ai giudici crotonesi. La richiesta di intervento era arrivata dalla centrale operativa mentre i due carabinieri erano impegnati in un altro servizio a Rocca di Neto, distante circa un’ora dal luogo del naufragio, e non erano stati avvertiti di uno sbarco in vista. I rinforzi, sempre a detta del militare, arriveranno 40 minuti dopo. Dai verbali si apprende che alle 6.50 c’era ancora gente in mare. Due superstiti raccontano di essere stati salvati intorno alle 7 dalla Guardia costiera. Nell’attesa, il fratellino di uno di loro, sopravvissuto al naufragio, sarebbe morto per ipotermia.

La versione di Frontex

Circa un mese dopo, il direttore di Frontex Hans Leijtens viene audito dal parlamento europeo. Sottolinea come l’Agenzia abbia "assolto al compito di segnalazione alle autorità italiane", anche attraverso l’invio delle foto della barca intorno alle 23.03. "La decisione se fare intervenire la Guardia di finanza o istituire un'operazione Sar spettava a loro". Il fil rouge seguito dagli inquirenti si snoda lungo un rimbalzo di competenze e responsabilità tra i soggetti coinvolti.

Al parlamento europeo, il direttore di Frontex Hans Leijtens ha dichiarato che l’Agenzia ha"assolto al compito di segnalazione alle autorità italiane"

Lo scorso gennaio, il giornale onlien Euractivrende noto un rapporto redatto dall’ufficio dei diritti fondamentali che monitora l’attuazione degli obblighi di Frontex. Viene evidenziato che al momento dell’arrivo della segnalazione dell’Eagle 1 al quartier generale dell’Agenzia a Varsavia, nella sala di monitoraggio erano presenti anche "due rappresentanti italiani" che "svolgevano la funzione di collegamento rispettivamente con il Centro di coordinamento internazionale (Icc) di Roma e con il Centro italiano di coordinamento del soccorso marittimo (Mrcc), “con i quali vi sono scambi costanti, spesso per telefono”".

Tuttavia, "nessuno dei due ha comunicato al team leader della sala di monitoraggio europea che il caso era di particolare interesse". Il rapporto evidenzia anche una falla nelle comunicazioni successive, come ad esempio la mancata risposta alla richiesta di informazioni inoltrata dall’Agenzia alle autorità italiane per avere contezza dell’attività di monitoraggio intrapresa dopo la segnalazione. Monitoraggio che, in casi simili, sottolinea il rapporto, è pressoché "imperativo" per le autorità. Il tutto, ricorda Euractiv, nonostante "sei giorni dopo l’incidente, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva dichiarato alla stampa che “nessuna comunicazione di emergenza è arrivata alle nostre autorità da Frontex. Non siamo stati avvertiti che questa barca rischiava di affondare”".

L’indagine sui mancati soccorsi

Il fascicolo d’indagine aperto per ricostruire cause e responsabilità del mancato soccorso è adesso in mano al sostituto procuratore di Crotone Pasquale Festa. La fase preliminare potrebbe chiudersi proprio intorno alla metà del mese di marzo, ma intanto si sono mossi i primi passi. Sotto la lente della procura guidata da Giuseppe Capoccia sono finiti sei indagati. A giugno 2023 è stato emesso un decreto di perquisizione nei confronti del tenente colonnello Alberto Lippolis, comandante del Roan di Vibo Valentia della Guardia di Finanza, ad Antonino Lopresti, dello stesso Roan, operatore di turno la notte della tragedia, e al colonnello Nicolino Vardaro, comandante del Gruppo aeronavale di Taranto.

Le identità degli altri tre indagati, secondo il Corriere della Sera appartenenti alla Guardia costiera, sono per ora coperte da omissis. Nel decreto, emergono ulteriori aspetti. Ad esempio, quelli legati all’attività della motovedetta della Guardia di finanza che "in quei momenti, lungi dall'essere in navigazione alla ricerca del target, si trovava in realtà all'interno del porto di Crotone".

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Da qui la procura risale a un altro possibile aspetto: l’alterazione dei documenti riguardanti il mezzo in dotazione ai militari. "Il giornale di chiesuola (registro dove vengono annotati gli elementi relativi alla navigazione, ndr) presenta delle significative anomalie. – si legge nel decreto – Le modalità di redazione inducono a ritenere che le circostanze presenti alle pagine 37, 38, 39 e 40, verificatesi in momenti antecedenti al disastro, quindi in una situazione non di emergenza, siano state annotate successivamente ai fatti". Ritardi, inazioni e un possibile insabbiamento che nell’attività degli inquirenti si traducono nelle ipotesi di reato di naufragio colposo, rifiuto e omissione di atti d’ufficio e omicidio colposo.

Processo, condanna, il capro espiatorio

C’è poi un altro pezzo della storia al vaglio della procura di Crotone. Riguarda i presunti scafisti e le persone che avrebbero avuto un ruolo attivo nella gestione e organizzazione di quel viaggio illegale. Anche in questo caso l’attenzione si sofferma su sei persone, una delle quali avrebbe perso la vita nel naufragio. Gli altri sono Fuat Sami di 51 anni e Gun Ufuk di 29, di nazionalità turca; Arslan Khalid e Hassnan Ishaq di origine pakistana, rispettivamente di 26 e 19 anni. Per loro le accuse sono di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, naufragio colposo e morte come conseguenza di altro delitto.

Il sesto nome, aggiunto lo scorso mese di dicembre, è quello di Mohammed Abdessalem, 26enne di origine siriana, detenuto nel carcere di Lecce dopo essere stato raggiunto da un provvedimento cautelare emesso dal gip pugliese nell’ambito dell’inchiesta Astrolabio del 2022, sul traffico internazionale di migranti. Lo scorso 7 febbraio, il gup di Crotone Elisa Marchetto ha confermato la versione offerta nella requisitoria del pm, condannando a 20 anni di reclusione e 3 milioni di euro di multa Gun Ufuk, l’unico ad aver scelto il rito abbreviato, indicato come il conducente della barca.

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Circostanza che l’uomo ha cercato di smentire in tutti i modi. "Io ero solo il meccanico della barca  – ha detto durante il processo – e ho barattato il pagamento del viaggio con il compito di macchinista per riparare il motore. Mi dispiace tanto per il dolore causato ai familiari delle persone morte". Si è definito "perseguitato politico" in Turchia, per aver preso parte al tentato golpe del 2016, motivo che lo aveva indotto a scappare. Rigettata invece la richiesta del Consiglio dei ministri, parte civile nel processo, che aveva chiesto il riconoscimento del danno all’immagine stimato in un milione di euro.

Per il suo legale, l’avvocato Salvatore Falcone del Foro di Crotone, Ufuk sarebbe "il capro espiatorio per chi doveva intervenire". Su queste basi, definisce "fuori luogo" la costituzione di parte civile del Governo. "Ritengo – aggiunge il legale – che la morte di quelle persone non sia avvenuta a causa di una manovra sbagliata o del naufragio perché, se in quel momento ci fosse stata una qualsiasi unità di soccorso, non ci sarebbero stati tutti questi morti".

Repressione e criminalizzazione

Un ulteriore interrogativo legato a questa tragedia. E una scomoda eredità: il Decreto Cutro, una norma che – per dirla con le parole della premier Meloni – si prefigge di "colpire (con pene sempre più severe, ndr) non soltanto i trafficanti che troviamo sulle barche, ma anche i trafficanti che stanno dietro" quei viaggi, sebbene nei fatti finisca per dilatare il perimetro di irregolarità dello status migratorio attraverso misure che "privano migliaia di persone dei documenti, che restringono ancora di più l’ingresso legale e che criminalizzano ancora di più i cosiddetti “scafisti”", si legge in una nota di Arci Porco Rosso.

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Nel mese di gennaio l’associazione palermitana ha presentato il report Senza frontiere sulla "criminalizzazione dei così detti scafisti nel 2023", anno in cui si contano 177 arresti (contro i 261 del 2022), che tuttavia sembrano non avere una diretta influenza sul trend di partenze, sbarchi e, purtroppo, naufragi, come quello avvenuto a largo delle coste tunisine l’8 febbraio, costato la vita ad almeno 40 persone.

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Alle cronache dei viaggi, inoltre, si aggiungono quelle sui trattamenti inumani e degradanti nei Centri di permanenza e rimpatrio, che il 5 febbraio avrebbero portato alla morte di Ousmane Sylla, 22enne suicidatosi nella struttura romana di Ponte Galeria. Aspetti che è possibile sintetizzare attraverso un passaggio tratto da una critica di Luigi Ferrajoli: "Al di là delle colpe specifiche delle nostre autorità per le omissioni di soccorso, – dice il docente dell’Università Roma Tre – sono le nostre leggi e il clima politico e culturale da esse generato le vere responsabili delle catastrofi in mare a cui assistiamo".

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