30 ottobre 2023
All'alba di sabato 28 ottobre, a otto mesi dalla strage di Cutro un’altra strage dell’immigrazione. A Marinella di Selinunte, in provincia di Trapani. Un altro “sbarco fantasma”, un altro barcone arrivato sotto costa senza che nessuno se ne accorgesse, arenato a poche decine di metri dalla riva, una sbandata per il forte vento, l’urto contro una secca, proprio come a Cutro (in Calabria), decine di persone che finiscono in mare. Diverso il bilancio, ma non meno drammatico: 94 morti e 11 dispersi a Cutro, 5 morti accertati e 15-20 dispersi a Selinunte. Tutti tunisini perché il vecchio peschereccio era pieno solo di persone di quella nazionalità. Non quei barchini in ferro, “bare naviganti”, che trasportano dalla Tunisia immigrati subsahariani, gli ultimi tra i migranti, per loro solo “terza classe” con molte probabilità di morire.
Sul peschereccio naufragato in gran parte giovani. Partono da una Tunisia in piena crisi, economica, sociale, politica, malgrado i soldi dell'Unione europea (ne sono arrivati ancora pochi), “donati” in cambio di controlli più severi sui trafficanti di uomini e sulle partenze verso l’Italia. Nelle ultime settimane i barchini in ferro sono scomparsi, dopo arrivi in massa tra agosto e settembre. Il governo Meloni ha sbandierato i successi della politica estera italiana, ma intanto erano comparsi, quasi dal nulla, gli sbarchi a Pantelleria, molto più vicina alla Tunisia di Lampedusa (35 miglia, rispetto a 115).
A bordo di più sicuri gommoni e barconi in legno, solo tunisini, disposti a pagare più dei subsahariani. Poi succede che anche questi viaggi diventano pericolosi, il tempo, così strano in questo autunno effetto dei mutamenti climatici, cambia repentinamente, il vento è imprevedibile, il mare respinge. Così il peschereccio che punta verso le coste trapanesi (le stesse di Pantelleria) resta in mare per tre giorni, stranamente nessuno se ne accorge, e non è certo piccolo. Così finisce su una secca e molti cadono in mare.
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A 10 chilometri da Selinunte c’è Campobello di Mazara, uno dei luoghi simbolo dello sfruttamento dei braccianti immigrati, che arrivano soprattutto per la raccolta delle olive
Si torna a morire a poche decine di metri dalla costa, dalla splendida spiaggia di Marinella, tanto apprezzata dai turisti, a pochi chilometri da Selinunte, uno dei siti archeologici più importanti d’Italia, città della Magna Grecia tra le più ricche e potenti, vincitrice di guerre anche contro Atene, ma poi sconfitta, invasa e distrutta da Cartagine. Strana coincidenza, Cartagine è in Tunisia. La storia si ripete, ma questa volta i tunisini non invadono, cercano invece proprio qui una nuova vita e muoiono.
Ma questa terra trapanese non è solo da oggi terra di immigrazione. A 10 chilometri da Selinunte c’è Campobello di Mazara, uno dei luoghi simbolo dello sfruttamento dei braccianti immigrati, che arrivano soprattutto per la raccolta delle olive (è la terra della Nocellara del Belice, Dop), ma sono costretti a vivere nei ghetti. Purtroppo il destino di tanti che sbarcano sulle nostre coste, non invasori, come li chiama certa propaganda di destra, ma sfruttati. Prima durante il viaggio e poi in Italia. Sempre che ce la facciano. Ma ora, come ripetono la premier Meloni e vari ministri, l’importante è non farli partire. O parlare d’altro.
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Proprio mentre arrivavano le prime notizie sul naufragio, Giorgia Meloni tornava a parlare del “Piano Mattei” per l’Africa, parlando però solo di fonti energetiche e non di uomini, tantomeno di morti in mare. Ma partono ugualmente, con ogni tempo.
Per fortuna c’è chi li soccorre e salva, sia la guardia costiera e la guardia di finanza, sia le Ong. Non contrapposte, in mare. Venerdì, mentre il peschereccio tunisino viaggiava verso il naufragio, la centrale della guardia costiera ha contattato la Humanity1 che, dopo aver salvato 58 persone, si stava dirigendo verso Taranto, porto assegnato (assurdità decisa dal governo). Ma c’era un’altra barca in difficoltà, a rischio naufragio, al largo delle coste calabresi. Così da Roma la guardia costiera ha chiesto all’ong, non lontana, di intervenire. Perché in mare in primo luogo si salva e la politica, anche quella “cattiva”, non può impedirlo. Così gli operatori della Humanity1 hanno messo in sicurezza i migranti attendendo l’arrivo di una motovedetta italiana che ha poi portato le 50 persone fino al porto di Crotone. Lo ha comunicato con un post la stessa ong. Una bella collaborazione tra gente di mare. Poche ore dopo, nella notte, proprio come a Cutro, si concretizza la tragedia di Selinunte.
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Secondo i dati dell’Oim, quest’anno le vittime nel mare sono 2.166, quasi 900 morti in più rispetto allo stesso periodo del 2022
E se del salvataggio in collaborazione tra ong e guardia costiera non ha scritto nessuno, i morti sulla spiaggia trapanese non hanno avuto grande spazio sull’informazione. Certo c’è la guerra in Medio oriente (ne vedremo gli effetti anche sui flussi migratori), c’è quella passata in secondo piano in Ucraina, c’è la faticosa manovra economica, ma l’impressione è che ai morti in mare ci stiamo purtroppo abituando. A quelli evitati e anche a quelli, purtroppo, avvenuti. Secondo i dati dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) quest’anno le vittime nel mare sono 2.166, quasi 900 morti in più rispetto allo stesso periodo del 2022. Mentre nelle ultime ore sono ripresi gli arrivi a Lampedusa. Di nuovo dalla Tunisia e anche dalla Libia. Così come nell’ultima settimana sono stati quasi quotidiani gli arrivi in Calabria, soprattutto a Roccella Jonica, provenienti dalla rotta turca. Sbarchi, soccorsi ma ancora tanti morti. Troppi.
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